lunedì, settembre 03, 2007

il cinema delle mostre, di chi ha perso i riferimenti culturali ma soprattutto del pubblico che si è rincoglionito

Il coraggio di Brian De Palma di raccontare uno stupro-massacro degli americani in Iraq. Il coraggio di Brian De Palma di raccontarlo al cinema con pezzi presi da altri contesti, dal web, dai video amatoriali, dalle foto digitali, dai filmati di propaganda messi in rete dai terroristi-sgozzatori. L'intimismo di Paolo Franchi, la stampella chiesta alla psicoanalisi per introdurre la macchina da presa nella dimensione privata degli individui. A Venezia, lo stesso giorno sono stati presentati l'americano Redacted e l'italiano Nessuna qualità agli eroi; solo da questo confronto sembrerebbe veramente che il nostro cinema abbia perso riferimenti culturali e passione civile, accontentandosi di mettere in scena un'Italia minore, messa al riparo dai drammi e dalle tensioni che attraversano la contemporaneità.Il dibattito che in questi giorni ha visto coinvolti storici e registi (Galli della Loggia, Lizzani, Bellocchio, Olmi ecc.) ruotava proprio intorno a questo interrogativo: il cinema è ancora in grado di raccontare la nostra storia, di costruire un ordito narrativo in cui tutti gli italiani possano riconoscersi protagonisti di una stessa vicenda collettiva? Io credo di sì.”

Giovanni de Luna,
La Stampa, 03.09.2007

Il cinema delle stelle senza idee è spesso all'avanguardia della cultura penitenziale occidentale, e si è di molto rincretinito. Era racconto, animava passioni feroci, inaudite tenerezze e lacrimevoli, incubi d'autore in forma più o meno eversiva, giochi fantastici e ambigui d'intrattenimento. Ora, con i De Palma e i loro eterni stupri di guerra, prima in Vietnam poi in Iraq, e i Clooney contro le corporation che pagano i loro spot, il cinema è diventato un botteghino conformista dove si ricomprano gli editoriali del New York Times. [...] Il docu-film convenzionale di denuncia, è insieme serioso e parodistico, allude al potere senza il suo cinismo, senza la sua necessità, senza la sua inaudita motivazione tragica. [...] Shakespeare non era un drammaturgo di denuncia, un intellettuale impegnato, moralista, incalzato dall'urgenza delle idee giuste, e oggi avrebbe raccontato la scomparsa del sacro in occidente [...] non la buona coscienza introvabile di un avvocato newyorkese o la famosa buona volontà dei pacifisti. Per questa caratteristica di commediografo e di autore drammatico ha lasciato dei tipi umani interessanti atraverso i tempi, di cui le presenti generazioni di spettatori rincoglioniti dal cinema senza talento sanno ormai quasi niente. [...] Andare al cinema dovrebbe essere un agire diverso da quello di comprare in edicola l'Espresso o Newsweek, viste le ambizioni spesso smodate di chi gira su un set. Invece no, nella piccola trappola del grande film di denuncia cascano tutti, dal manifesto al giornale dei vescovi.[...] Fino a ieri il cinema, che era una buona letteratura moder4na, sapeva che la tragedia e la commedia non nascono dalle idee giuste, ma dal mondo sbagliato in cui si abita. Le star alla De Palma e alla Clooney lo hanno dimenticato, e tendono a rendere il mondo, giusto o sbagliato che lo giudichino, un po' più stupido ad ogni fotogramma.”

Giuliano Ferrara,
Il Foglio, 03.09.2007

[mi sembra superfluo aggiungere altro.]

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