domenica, ottobre 14, 2007

il 12 ottobre 2007 il cd è morto (e anche i Radiohead non se la passano benissimo)

Il 12 ottobre è morto il cd, su questo mi pare che nessuno possa avere alcun dubbio. In quella data, e per la prima volta nella storia della musica, un gruppo – i Radiohead – ha pubblicato un disco solamente tramite il web, escludendo qualunque canale tradizionale e saltando molti processi nella filiera produttiva, arrivando ad avere un prodotto assemblato e commercializzato con la formula “dal produttore al consumatore”. Senza quindi l’appoggio di alcuna etichetta discografica, e tanto meno della Emi con la quale in precedenza la band capitanata da Thom Yorke aveva venduto svariati milioni di dischi. Tutto questo basterebbe per evidenziare la forte portata innovativa della cosa. Ma dobbiamo aggiungere almeno altri due elementi. Il primo, il più importante e il più rivoluzionario, quello per cui tra 50 anni ancora ricorderemmo In Rainbows e la sua data d’uscita, è il fatto che il prezzo lo fa l’acquirente. Chi vuole comprare il disco decide quanto pagarlo, punto. Volendo può decidere di “portarselo a casa” gratis, se non fosse per una tassa fissa di 0.45 sterline che rappresentano il ricavato della W.A.S.T.E., la società che vende il merchandise del gruppo e che in questo caso si è occupata della distribuzione on-line del disco. Questo è sicuramente l’elemento fondamentale dell’uscita, la vera rivoluzione. Ci si può interrogare sulle sorti della discografia dopo questo straordinario avvenimento, e in seguito alle dichiarazioni di altri illustri colleghi dei Radiohead – dai Nine Inch Nails ai Charlatans – che hanno manifestato la ferma intenzione di fare lo stesso in un futuro nemmeno troppo lontano. Possiamo star qui ore a discutere se sono le case discografiche ad aver sbagliato, pensando di dominare il mercato digitale e finendo per esserne dominate, oppure se le case discografiche alla fine la spunteranno, perché ci potrà sempre essere bisogno di loro per i giovani artisti. In seguito ad avvenimenti fondamentali nella storia della discografia, come l’uscita di questo In Rainbows necessariamente è, si pensa subito non tanto al giro di soldi vero o presunto che mancherà all’artista famoso, perché i Radiohead da parte loro si saranno fatti due conti e avranno visto che, comunque, le cose non sarebbero potute andar male. Al contrario, si pensa sempre agli artisti emergenti, e alle opportunità che il web mette loro a disposizione per promuovere la musica e per metterla in vendita bypassando tutti i canali tradizionali e potendo avere il controllo del tutto. Di questo sono molto più scettico. Il web è una giungla, molto più grande ed incontrollata rispetto a quella che c’è nella vita reale. Ed è facile sbancare quando si è un nome anche fuori dal web, quando per anni si è vissuto in modo tradizionale e – per rimanere nel campo musicale – sono stati firmati contratti con importanti etichette discografiche le quali hanno contribuito allo smisurato successo laddove il talento naturale dell’artista da solo non bastava. Trasferire tutto ciò in rete e molto più facile che crearlo lì dentro ex novo. Ecco perché forse, in un futuro quanto meno prossimo, delle etichette discografiche ci potrà essere ancora bisogno. Non di tutte ovviamente, ma solo di quelle più intelligenti che sapranno coniugare il business tradizionale con quelle che sono le nuove tecnologie, che riusciranno ad utilizzare la rete per migliorare il loro lavoro – che è quello di promuovere, vendere e soprattutto scoprire nuovi talenti – e che la vedranno più come un utile compagno di strada che come un perfido concorrente. Insomma, ci sarà ancora bisogno delle etichette discografiche coraggiose le quali, se questo sarà il trend, avranno anche il carico di lavoro alleggerito da tutti quei gruppi famosi che privilegeranno il web e la filosofia – invero risalente al punk e quindi ad una trentina di anni fa, a dimostrazione che la storia è ciclica – del do it yourself.

Il secondo fatto importante da sottolineare dopo la morte del compact disc in favore dell’mp3 è la morte dei Radiohead. I quali sembrano aver avuto la stessa sorte della musica da loro commercializzata che è passata da un supporto fisico concreto ad uno astratto, sfuggevole, incolore ed insapore. Che lo abbiano voluto fare per caratterizzare ulteriormente l’uscita di In Rainbows potrebbe essere un’astuta mossa commerciale, ma dal momento che i nuovi pezzi erano già stati suonati parecchie volte durante i precedenti live – i bootleg testimoniano – dubito che le cose stiano così. Da un gruppo che con Ok Computer ha composto uno dei dischi più importanti dell’ultimo decennio del secolo scorso ci si aspettava ben altro che questo sciatto, insipido e traballante In Rainbows. Dentro il quale qualche buona idea è sepolta ora sotto uno sfuggevole tappetino electro-trance (!) (“15 Step”) ora sotto le tonnellate di malinconia notturna (“All I Need”) che non è più stata la stessa fin dai tempi di “Karma Police”, ancora oggi uno dei punti più alti della carriera dei Radiohead. Tuttavia tutti si ricorderanno di questo nuovo album, proprio per i motivi espressi sopra. Un album che in virtù del fatto di essere un tremendo scossone all’industria musicale tutta, era già un capolavoro musicale ancora prima di uscire. Un disco che tutti compreranno per provare l’effetto che fa a decidere il prezzo di un bene – e in questo i Radiohead hanno insegnato anche una straordinaria mossa commerciale e di marketing. Il suo nome è stato marchiato a fuoco, sarà inevitabilmente una pietra miliare, il primo termine di paragone per gli anni a venire. È un po’ quella che chiamo “sindrome da Video Killed The Radio Star”: tutti si ricordano di questa canzone, ma nessuno sa che dietro la frivola apparenza dei Buggles si nascondevano musicisti con le palle quali Trevor Horn e Geoff Downes indubbiamente sono. È stato però il primo video ad essere trasmesso da Mtv, una piccola rivoluzione quindi. Che per altro impallidisce davanti a questo 12 ottobre 2007.

[prossimamente su altri schermi.]

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