sabato, marzo 07, 2009

m'inquieta.

La questione legale, in sé, la lascio perdere ché non sono buono a fare questo genere di commenti. E poi, sinceramente, già in troppi hanno infilato il loro nasino, o approfittato dello spiraglio per allinearlo al loro sfintere e prodigarsi in commenti quali «mi auguro che non venga concesso il rito abbreviato perchè [sic!] questo deve meritarsi l’ergastolo», «questo essere ignobile deve marcire in carcere […] e dopo il carcere pagherà anche dopo la morte» fino ad arrivare alle certezze che solo il popolino alimentato dal qualunquismo imperante riesce a raggiungere, cose del tipo «è sicuramente colpevole» - perché se siamo tutti allenatori il lunedì mattina appoggiati al bancone dei gelati, per quale motivo non potremmo essere tutti giudici, e andare a pubblicare le nostre sentenze nella pancia della rete?
Detto questo, delle indagini sul delitto di Garlasco c’è un qualcosa che mi inquieta di più di tutto questo sputare sentenze contro o a favore di vento. Mi inquieta da persona esterna, mi disturba nella misura in cui solo chi non ha sentimenti in gioco nella questione può essere disturbato. Mi disturba cinicamente, se solo mi distraggo un attimo da quella che è la questione principale. E l’oggetto del disturbo è la pubblicazione – su giornali, tv e internet – di fotografie private che nulla tolgono e nulla aggiungono non all’indagine, ma alla percezione che il pubblico – esterno alla cosa, è bene ricordare – si forma del caso. Semmai, la percezione, la distorcono. Per quale motivo, mi chiedo, pubblicare le foto di Alberto Stasi, Chiara Poggi e terzo amico assolutamente estraneo alla vicenda, sorridenti in quel di Londra? Perché mostrare una sua foto, in vacanza, e farci una didascalia del tipo «ecco l’ultima foto in vita di Chiara Poggi». Perché porre continuamente l’accento sul fatto che sembrano tre (due più l’intruso, l’amico, ora catapultato in prima pagina) ragazzi normali, spensierati, quando non si capisce quale vuole essere il corollario della dimostrazione che ha come premessa questa normalità? Perché?
Salendo di un paio di scalini sulla strada che conduce al cinismo più bieco, mi spingo più in là. Pare che sul computer di Alberto Stasi siano state trovate delle fotografie di piedi femminili, catalogati in una sottocartella dal nome amateur o qualche bizzarria del genere. Ecco, sto giungendo alla conclusione senza nemmeno sforzarmi: perché mai io lettore, io spettatore, dovrei essere a conoscenza di questa cartella? Non dovrei, e infatti non lo sarei se il tg delle 20 non me l’avesse detto; e una volta che me l’ha detto, penso che debba per forza essere d’interesse. Che poi, scusate, stiamo parlando di fotografie di piedi infilati in scarpe, sandali, infradito, fatte con il cellulare e tenute in una cartella – nemmeno divulgate, ecco. Va bene, forse è un’azione illegittima. Ma viviamo nel 2009, riusciamo a scattare fotografie e girare brevi e non filmati pure con la penna a sfera, per cui non riesco a capire quale grave indizio di colpevolezza o di perversione sia l’avere fatto un paio di foto ai piedi di turiste – se in Italia – o di pulzelle autoctone se il turista al momento era il fotografo. Ecco, tutto questo proprio non me lo spiego. Non l’avrei voluto nemmeno sapere, perché potrei farmi un’idea sbagliata, e non sarebbe giusto. Metti che poi il giudice, quello vero, decida che Stasi in carcere non ci debba nemmeno andare, figuriamoci addirittura marcire?

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