giovedì, marzo 05, 2009

parallelismi di carta (stampata)



«Io non percorro la vostra strada»
Friedrich Nietzsche, esergo dell’ultimo Indipendente diretto da GbG, 05.02.2005

«Né io né lei siamo buoni ad attaccare manifesti elettorali, ci verrebbero tutti grinzi e sgocciolanti»
Luigi Castaldi, lettere al direttore, L’Indipendente - 05.02.2005, p.4

Strano che nessuno l’abbia ancora detto, ma quanto succede in questi giorni all’Unità, con la redazione in sciopero contro i tagli che l’editore Soru starebbe per approvare, ha un precedente recente nella carta stampata. Ricordate l’Indipendente? Non mi riferisco a quello nato nel 1991 per mano di Ricardo Levi e condotto da Vittorio Feltri al traguardo delle 120.000 copie cavalcando la tigre di Tangentopoli. Mi riferisco, invece, a quello riportato in edicola da Giordano Bruno Guerri nell’aprile del 2004, nel formato classico del quotidiano d’opinione post-Foglio (4 pagine). Bene, l’editore quella volta era l’attuale vice-capogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino. Il quale, tra le altre cose, nel febbraio 2005 era candidato per il centrodestra alla guida della regione Campania. Quanto successe allora, tanto da rievocare oggi questo parallelismo, è presto detto: Guerri, che stava facendo un ottimo giornale, fuori dagli schemi, orientato su un anarchismo a-partitico che a volte – solo a volte – si appoggiava su uno strano asse FI-Lega Nord (strano perché la testata era campana, usciva in panino con un giornale salernitano e l’editore e tutti gli imprenditori coinvolti erano campani), che poco amava il sub governo che il partito dell’editore insieme ai centristi dell’Udc voleva formare all’interno della legislatura Berlusconi 2001-2006, fu silurato improvvisamente e, apparentemente, senza motivo. Apparentemente perché, sotto sotto, il motivo c’era. Ed era lo stesso per cui Soru ha pensato bene di comprarsi l’Unità: avere giornale che, all’occasione, fungesse anche da megafono pro-editore in campagna elettorale. Per questo al posto di Guerri fu chiamato alla direzione dell’Indipendente Gennaro Malgieri, intellettuale di area An (lo stesso partito nel quale, al tempo, militava Bocchino), ex direttore del Secolo d’Italia, parlamentare e consigliere Rai. Il cambiamento fece incazzare parecchio i lettori di allora, che si trovarono al posto di un giornale un po’ sgangherato ma vivo, vitale, pensante e che faceva pensare, una copia sbiadita e compressa in quattro pagine del Secolo d’Italia. Un giornale senza mordente, senza spunti d’interesse. Scialbo. Certo, non c’erano strilli in prima pagina che facevano il tifo spudorato per l’editore (come è avvenuto negli ultimi tempi sull’Unità), ma insomma il quotidiano faceva il suo mestiere: non rompeva le palle all’editore, non lo imbarazzava e, quando c’era bisogno, era pronto a buttare giù qualche riga in suo favore. Sia detto con franchezza: nulla di inconsueto nel mondo della stampa, né tantomeno illegittimo. Solo era evidente un po’ di quella «prostituzione intellettuale», concetto che ora grazie ad un fighetto seduto in panchina pare essere diventato di esclusivo dominio del mondo pallonaro.
Noi, i lettori di quel giornale, capimmo subito che aria tirava, e piano piano lo mollammo. Il quotidiano perse copie, e insieme ad esse splendore e vitalità. Nel frattempo la campagna elettorale era finita, l’editore aveva perso la presidenza della regione Campania contro il candidato del centrosinistra, il direttore se ne andò – e non fu cacciato perché amico e all’interno dello stesso partito, di più: della stessa corrente, non si fanno questi sgarbi. La testata fu venduta a un altro gruppo di editori, nessuno dei quali a mia memoria aveva forti interessi nell’usare il giornale come manifesto elettorale. Anzi, non aveva interessi particolari nella carta stampata tout court, visto che il nuovo corso fu un fallimento (l’ennesimo?) e la testata, insieme con i suoi redattori, fu assorbita da una fondazione di stampo berlusconiano prima e casiniano adesso, guidata da un ex comunista con i fiocchi, per farne un quotidiano così e così.
Finito il parallelismo, cosa rimane? Rimane che le due situazioni sono simili: due megafoni che partono pieni di promesse (dell’editore) e terminano il servizio quando non servono più. Una funzione stupida della stampa. Non rimane nient’altro, nel vero senso della parola – mi piace solo far notare questo, e condividerlo con chi se lo ricorda. All'Indipendente, solo, non ricordo che scioperarono.

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