Musicalia / Boomtown Rats Pink Floyd e Morgan
Premessa: inconsciamente in questa Musicalia si è parlato solo di roba vecchia, spesso anche di trent’anni. Colpa mia se gli ultimi giorni sono stati così? E poi, suvvia, è sempre tempo di (ri)scoprire roba dal passato, no?
C’è un signore che tutti conoscono e del quale tutti ignorano il passato musicale: Sir Bob Geldof. The Man dietro l’organizzazione di quelli che sono passati alla storia come i due più grandi eventi rock’n’roll sulla terra, sto parlando del Live Aid e del più recente – e più scarso per qualità di gente coinvolta, e più scialbo per tutte le polemiche, ed infinitamente ancora più inutile in termini di aiuti rispetto al fratello maggiore – Live 8. Se tutti conoscono la canzone I don’t like Mondays è sicuramente perché su quella Bob Geldof ci ha costruito l’intera carriera, tant’è che la ripropone ancora – sempre e solo quella – per provare lo sfinimento del pubblico. Ma nessuno sa che quella canzone è il maggior successo del gruppo di Bob Geldof, i Boomtown Rats. Che negli ultimi giorni girano a ripetizione nel mio stereo, con il loro terzo – e ultimo, e più famoso, e più venduto – disco: The fine art of Surfacing. E se è pur vero che per riemergere ci vorrà anche bravura, i Boomtown Rats lo hanno dimostrato con questa perla. Frizzante ancora a distanza di oltre 25 anni, tremendamente moderno. Un perfetto ibrido tra il rock’n’roll sguaiato – chiamarlo punk? Chiamatelo punk… - e la nascente new wave, di cui per altro possiamo considerarli protagonisti. Ma non ci si ferma qui manco pe’ niente. Perché dentro vi troviamo glam, tanto glam, coretti oh/oh/oh, chitarrine dal chiaro gusto Sweet. Ed elettronica, sperimentazioni, qualche – giusto qualche e nulla di invadente – voce filtrata, ritmiche quadrate. Insomma, sembra di sentire i Clash, depurati dalle tentazioni reggae-caraibiche ed il momento dopo i Kraftwerk. Per due secondi, perché poi si ritorna agli Slade. E qui si gode, si gode. Per la musica, per Someone’s looking at you, per Diamond Smiles, per Wind Chill Factor – il trittico d’apertura, il detonatore – e per Sleep, per la già citata e celebratissima I don’t like Mondays, per Nothing Happened today. Per la voce di Geldof, così urlata, così ubriaca. Per le parole, per quel She stands to the side / there’s no more to this than meets the eye / Everybody drinks Martini dry / and talks about clothes and the latest styles che ti infila in vena un ago pieno di adrenalina, di piacere e di glamorous. I Boomtown da queste parti si amano per tutto questo. E si chiede loro scusa per due motivi: il primo, aver tardato troppo tempo a scoprire questa perla. Il secondo: “scusa, Geldof, quando cazzo la smetti di fare il samaritano, di mirare ad un nobel per
Secondo viaggio nel passato, con premessa iniziale: ho sempre snobbato i Pink Floyd. E, no che non sono stupido, avrò avuto i miei buoni motivi, no? Fin da quando era piccino quel disco dal titolo onomatopeico, Ummagumma, mi spaventò: come possiamo spacciare per arte i suoni di una stalla? Ma, insomma, la storia mi dava torto, e pesantemente, perché se i Pink Floyd sono i Pink Floyd (tanto da potersi anche permettere una figura barbina in quel di Hyde Park lo scorso giugno al Live 8), un motivo ci sarà. Allora a couple of days ago – ma anche qualcuno di più – il mio inconscio mi ha fatto porre rimedio: mi ha guidato fino all’interno di uno di quei insopportabili megastore del centro di Milano, ha fatto sì che la cassiera mettesse su una raccolta dei Pink Floyd e poi mi ha guidato fino allo scaffale, mi ha fatto afferrare The Dark Side of the Moon – in edizione Super Audio CD, ché se devo fare le cose le faccio bene – e me lo ha fatto pagare (poco, perché tutto il catalogo dei PF era in offerta fino alla fine del mese). Dunque, tornato a casa con il disco in questione, l’ho ascoltato e che dire? Qualche pregiudizio è lentamente scivolato giù dalla mia testa e, dopo svariati tentativi, ho realizzato che trattasi sicuramente di buon disco. Perché impossibile negare che Time, The Great Gig in the Sky, Money, Us or them ed Eclipse siano ottimi pezzi, sopravvissuti alla prova del tempo e ancora moderni – insomma: quanti gruppi di adesso hanno le palle e le capacità di scriverli? Come impossibile negare che certe sperimentazioni secondo me fin troppo spinte – non nel senso della ricerca quanto proprio della forzatura – come On The Run siano, fantozzianamente parlando, delle “cagate pazzesche”. Scivolerà via anche questo, di pregiudizio?
Ho iniziato questo Musicalia bene, ho parlato in termini entusiastici persino dei Pink Floyd, ora serve la stroncatura. Morgan, Canzoni dell’Appartamento. Che roba è? Un tentativo di rendere cantautorali le elucubrazioni mentali del sig. Castoldi Marco, verrebbe da dire al primo impatto. E anche al secondo non ci si allontana molto dal primo giudizio. Undici canzoni scritte dall’ex leader di quei geniacci dei Bluvertigo, che fanno il verso a Battiato – tanto che a volte sembra di sentire lui al microfono – tanto quanto ai canzonieri francesi. Roba per intelligentoidi, ma d’altronde non ci si poteva aspettare molto da uno che dice di applicare “alla vita i puntini di sospensione”, anche se sembra che oltre alla vita li ha messi pure al disco. Mi piace Altrove. Scoperto con ritardo, nessun rimpianto, come direbbe Max Pezzali, di cui però non vi parlo, ché è un blog serio questo.
(vecchie Musicalia: qui e qui)
2 Commenti:
Ummagumma non ha soltanto suoni di stalla, in quel cd è presente uno dei più bei brani mai composti da Roger Water "Grantchester Meadows".
Ma sempre i suoni della stalla ci sono!
saluti
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