domenica, dicembre 10, 2006

Ascoltare Welby è un atto di pietas

Staccare la spina, in questo caso, non vuol dire compiere un atto di eutanasia. Anche lessicalmente le cose non coincidono. Eutanasia infatti vuol dire provocare deliberatamente la morte, ovvero prendere un soggetto e farlo morire, con l'aiuto di medicinali. È una pratica che esiste, basta andare in Olanda o in Svizzera, dove la dolce morte è perfettamente legalizzata: si chiama il medico, si firma un pezzo di carta e si muore nel giro di cinque minuti. Piergiorgio Welby non vuole questo, non vuole che qualcuno gli faccia un'iniezione letale, anche perché sa benissimo che non troverebbe nessuno disposto a fargliela, se non altro perché l'atto in Italia non è consentito. Welby vuole solamente avvalersi del diritto di non essere più curato, soprattutto ora che la cura alla sua micidiale malattia costituisce quello che viene definito accanimento terapeutico, ovvero l'atto di accanirsi con la medicina – in questo caso combinata con la tecnologia – su un soggetto per il quale non esiste medicina (e le sue condizioni che si sono aggravate in queste ore lo dimostrano). Welby chiede solo di essere staccato dalla macchina che lo tiene in vita, e nel farlo esercita la sua più grande libertà: quella personale, che è “inviolabile” per Costituzione. Di più: quello che vuole è tutelato sempre dalla Costituzione, che all'Art. 32 afferma chiaramente che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo”. Diritto, non dovere, come sottolinea anche Amedeo Santosuosso, fondatore della Consulta di Bioetica, in un'intervista a La Stampa [10.12.2006 pag.6], per cui una persona può anche decidere di non avvalersene.

Il dibattito al quale si sta assistendo rappresenta un questione troppo delicata e fragile per poter formulare un giudizio. Chiunque, se non bugiardo, ammetterebbe che per poter avere un preciso e fondato pensiero a riguardo bisognerebbe trovarsi nella situazione di Welby, e poi decidere: rimanere attaccati alla macchina o staccarsi. E l'uomo in questione lo sta chiedendo da tempo, e in tutti i modi possibili: dalla lettera al Presidente della Repubblica a quella, più recente, ai media. Come non esaudire il suo desidero, essendo egli stesso per giunta nel pieno delle sue facoltà mentali e quindi decidendo in modo personale e legittimo sul suo corpo? Come non accontentarlo, anche semplicemente mossi dalla pietas che non dovrebbe mancare a nessuno? Poi tutti siamo d'accordo sul fatto che legiferare sulla questione è una inutile sofisticatezza. Un'esagerazione. Perché prima di tutto qui non si sta uccidendo una persona; e poi perché è da pazzi pensare che lo Stato possa autorizzare la morte – anche se altrove la cosa succede.


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