martedì, marzo 13, 2007

Compensi equi.

L’intervista al Presidente della Siae Giorgio Assumma [La Stampa, 12.03.2007 pag.27] ci offre il modo di parlare di un argomento fastidioso, l’equo compenso, che altro non è se non il balzello che ognuno di noi deve pagare per poter fare la copia privata – spettante per legge – di un supporto del quale è in lecito possesso in seguito ad un lecito acquisto. Utilizziamo subito il termine “balzello” per fugare il campo da ogni dubbio: Assumma precisa infatti che “chiamare tassa l’equo compenso è una cosa assurda”, ma sa di essere in errore primo perché qualche riga dopo ciò che sarebbe “assurdo” chiamare tassa viene associato da lui stesso al termine “evasione” quando non viene corrisposto, e poi perché l’analogia con il prelievo fiscale è evidente: un balzello che colpisce indistintamente all’acquisto del supporto, senza una differenziazione a seconda dell’uso che del supporto devo poi farne. In parole povere: pago la tassa sull’acquisto di un cd-r anche quando quel disco ottico mi serve per fare un archivio delle foto che ho fatto al mare con la mia famiglia, e non solo quando faccio la copia – ad uso privato, con mezzi privati – di un disco comprato in modo lecito nel lecito negozio di dischi sotto casa.

Proprio quest’ultima per il Presidente Siae, ma anche per noi utenti finali, è una discriminazione forte, ma la colpa secondo lui non è di chi riceve e ripartisce l’equo compenso, bensì della legge la quale fino a che non troverà il modo valido per far pagare la tassa in base all’uso del supporto, colpirà tutti indistintamente – e secondo Assumma tutto ciò porta ad un equo compenso invero basso, poiché “nella determinazione dell’importo si è già tenuto conto di chi non usa questi supporti per copiare opere altrui, altrimenti l’incidenza sarebbe maggiore”.

Il compenso che si paga per poter usufruire del diritto di copia privata, che è garantito dalla legge sul diritto d’autore, non riguarda solamente i supporti fisici ma anche i registratori analogici e digitali. In Italia è applicato dal 2003, ovvero dall’entrata in vigore della direttiva n. 2001/29 CE, del 22 maggio del 2001, che va a modificare quindi le norme relative al diritto d’autore che in Italia sono regolate dalla legge n. 633/1941. Il compenso è stabilito nel seguente modo: per gli “apparecchi esclusivamente destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi” si ricava “da una quota del prezzo pagato dall’acquirente finale al rivenditore, che per gli apparecchi polifunzionali [es: gli impianti hi-fi all in one, nota mia] è calcolata sul prezzo di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione” o, qualora determinare questo prezzo fosse impossibile “da un importo fisso per apparecchio” [n. 633/1941 art. 71 – septies comma 1]. La quota sopraccitata, occorre dirlo, è intorno al 3% del prezzo di vendita dell’apparecchio. Nel caso dei supporti fisici “di registrazione audio e video, quali supporti analogici, supporti digitali, memorie fisse o trasferibili destinate alla registrazione di fonogrammi o videogrammi, il compenso è costituito da una somma commisurata alla capacità di registrazione resa dai medesimi supporti” [ibidem]; per i supporti dedicati dunque la tassa è in base alla capacità: un cd-r da 80 minuti sarà più tassato di un cd-r da 74 minuti e meno tassato di un dvd-r da 4,7 gigabyte di memoria.

Il problema, secondo Assumma, è che molti “evadono” – ecco perché non è sbagliato parlare di tasse – l’equo compenso. Ciò vuol dire che i rivenditori, per poter tenere prezzi più competitivi, vendono i supporti senza considerare il costo dell’equo compenso (che corrisponde a 29 cent per un cd e a 59 cent per un dvd, iva esclusa) e la cosa avviene tanto nei tradizionali negozi quanto su internet: basta farsi un giro su Ebay per vedere quante sono le aste on-line di “campane” da 100 cd-r a prezzi veramente bassi. Questo mancato pagamento dell’equo compenso ha portato la Siae a ben 40 azioni legali contro aziende ree di evaderlo e a circa 10.000 cancellazioni – apprendiamo dall’articolo – di offerte di aste on line. Ovviamente la perdita è di quelle grosse, considerando che l’equo compenso per la copia privata porta nelle casse della Siae – la quale non agisce su mandato dei suoi associati ma su disposizioni legislative di cui al comma 3 dell’art. 71-septies legge n. 633/1941 – 72,8 milioni di euro all’anno (dati del 2005) su un totale di 645 milioni di euro: quasi quanto la società incassa dai settori teatro/tv e cinema.

Vendendo al punto fastidioso: l’equo compenso per la copia privata porta all’avente diritto il conseguimento di un onere oppure i soldi finiscono ripartiti in altro modo? Ad esempio: se io compro l’ultimo disco di Vasco Rossi e me ne faccio una copia privata da tenere in macchina, perché sono pignolo e i compact disc al sole cuociono, il balzello pagato sull’acquisto del cd-r (e preventivamente quello sul cd-recorder) finiscono nella ripartizione monetaria destinata a Vasco Rossi, quindi entrano nel portafoglio del rocker di Zocca? Certo che no, poiché i soldi vengono ripartiti su criteri generali (la cosiddetta “ripartizione supplementare”) per il 50% agli autori e per il 50% ai produttori fonografici (proprietari del diritto di riproduzione del fonogramma che loro stessi hanno creato), senza ovviamente tenere conto dell’autore al quale i soldi spetterebbero. Mi si potrebbe obiettare che è impossibile sapere a priori quale disco o quale film finiranno copiati per uso privato sul supporto che ho appena comprato: sicuro, ma nell’epoca di internet e di dispositivi tecnologici che addirittura ostacolano il diritto alla copia privata che ognuno di noi possiede (e per fortuna le limitazioni sono facilmente aggirabili) è altrettanto impossibile non prevedere un meccanismo che trasferisca ad un database Siae, analogamente al sistema di banche dati Cddb, le informazioni circa il disco che stiamo copiando o convertendo in mp3 (anche quest’ultima è una copia privata, ma per il momento non c’è alcuna tassa sugli hard-disk anche se, ammette Assumma, “è una possibilità che stiamo valutando”). I soldi che la Società incassa per l’equo compenso, ovvero le cifre che abbiamo presentato qualche riga sopra, sono invece ripartiti tra gli iscritti in modo casuale; non spettano cioè solo agli aventi diritto, i quali come appena spiegato non sono nemmeno esattamente definibili in quanto ognuno del supporto vergine ne fa l’uso che vuole, bensì spettano a tutti gli “aventi concorso” in base a criteri sconclusionati ed illogici. Prendiamo come esempio l’ordinanza di ripartizione Siae per la Sezione Musica; la classe che ci interessa è la V, quella delle riproduzioni meccaniche e registrazioni. Bene, vi si legge che per quanto riguarda “i compensi incassati forfetariamente a corrispettivo di utilizzazioni per la registrazione e la riproduzione meccanica di opere la cui identificazione non sia possibile sono attribuiti alla Ripartizione Supplementare di Classe V”, la quale ripartizione supplementare dice che hanno diritto a percepire quei compensi “coloro che abbiano concorso per la Sezione Musica e proporzionalmente all’ammontare di tutti i rendiconti analitici di Classe V lettera A”. Semplicemente: sono coloro che all’interno della Siae compaiono più volte sui programmi analitici che vengono compilati per le “composizioni riprodotte su disco, nastro o altro supporto o apparecchio analogo destinato alla messa in circolazione per la vendita o la distribuzione al pubblico”, ovvero coloro tra gli iscritti alla Siae che pubblicano i dischi. Quindi pare evidente che se voi acquistate un cd-r per farvi l’archivio dei testi che scrivete, date dei soldi a chi fa i dischi in base tra l’altro al criterio secondo il quale chi ne produce di più – e quindi compare più volte sui rendiconti – incassa di più dalla ripartizione supplementare. Allo stesso modo se avete un gruppo con il quale vi divertite a suonare e avete prodotto in home-recording un album, senza essere iscritti alla Siae e senza metterlo in commercio ma solo con il fine di masterizzarlo alle fidanzate e ad un paio di amici, date dei soldi a chi i dischi li fa, li vende ma soprattutto è registrato in Siae.

Ecco perché il balzello per l’equo compenso è fortemente ingiusto, nonostante le belle parole di Assumma nella sua intervista. Intervista in cui, tra l’altro, il Presidente si tradisce verso il finale, quando dichiara senza nemmeno un po’ di pudore che nei piani della Siae c’è anche la tassazione degli abbonamenti ad Internet, basata sul presupposto che in rete viaggiano materiali coperti da copyright poiché – ammette – la loro “vocazione è quella di far pagare il più possibile”. Nel frattempo il download illegale è sempre più evoluto e più sfruttato, nonostante chi poi si incazza con la Società Italiana Autori ed Editori sia anche chi – come il sottoscritto – scarica solo ed esclusivamente in modo legale, senza poter masterizzare il disco di un artista australiano comprato su iTunes evitando di pagare in modo indiretto gli artisti italiani iscritti in Siae che pubblicano più dischi. Ma questo Assumma non l’ha detto nemmeno per sbaglio.

E poi, alla fine di tutto, la questione potrebbe non essere nemmeno questa, bensì la presa di coscienza da parte degli aventi diritto che l’equo compenso, rappresentando una sorta di indennizzo per le copie private, rappresenterebbe anche l’accettazione che tali copie, benché sempre nel circuito “privato”, siano parte del mercato poiché implica la rinuncia al diritto esclusivo di riproduzione, che dal solo produttore fonografico passa anche all’acquirente per uso personale.

Certo, alla Siae possono sempre prendere in considerazione il fatto che agli stati membri della Comunità Europea, quindi a quelli interessati dalle disposizioni della direttiva n. 2001/29/CE (che ha introdotto l’equo compenso), viene lasciata “una certa flessibilità nel valutare i casi in cui, in relazione alla limitazione dei diritti, debba essere introdotto l’equo compenso nonché nelle modalità e criteri di commisurazione del suo ammontare” [Stefania Ercolani, “il diritto d’autore e i diritti connessi – la legge n. 633/1941 dopo l’attuazione della direttiva n. 2001/29/CE”, Giappichelli editore, pag. 78]. Cosa vuol dire tutto ciò? Semplicemente che l’Italia potrebbe anche decidere di giocare la carta dell’equo compenso in modo autonomo, non essendo fissata una linea guida dell’ammontare. Mentre per Assumma “siamo arrivati in ritardo rispetto ad altri Paesi dove l’equo compenso esiste da molti anni, e abbiamo tutto l’interesse a recuperare il tempo e i guadagni perduti”, il che è un modo come un altro per ribadire il concetto che la Siae non ha tempo da perdere per cercare di regolarizzare aspetti burocratici intrigati e che semmai l’obbiettivo di far pagare più soldi possibili è sempre ben presente nei piani della Società.

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