Iscriveremo i blog al Roc. Ma poi?
Di questa cosa del nuovo disegno di legge che dovrebbe riformare l'editoria ci ho capito poco. Non credo per limiti miei, ma per limiti che stanno nel (poco) tempo che gli ho dedicato. Ho letto sui giornali, sui siti specializzati (1 – 2), ho letto la sfogo di Beppe Grillo, ho letto l'opinione di celebri blogger – alcuni di essi, celebri nella vita pur senza un perché. Ho persino dato un'occhiata fugace al testo della legge. Poi ho letto un'opinione interessante e controcorrente. La mia idea, che mi riprometto fin da subito di argomentare meglio in un futuro quanto meno prossimo, con la speranza di mantenerla, la promessa – la mia idea, dicevo, è questa: la legge è una stronzata, che come idea ammetto non essere granché. Ed è una stronzata per molti motivi. Uno tra i tanti, uno tra i più coloriti: l'Italia fortunatamente non è la Cina, e dubito che agli italiani piacerà sentirsi come i cinesi. Poi ho pensato anche che la mia libertà di espressione verrà seriamente messa in discussione, ma non perché mi si potrebbe chiedere l'iscrizione al Roc – e qui dico: serve un direttore responsabile? Basto io, né pubblicista né professionista? - bensì perché regolamentare i blog – e più in generale i siti che forniscono “informazione” ma anche “intrattenimento”, come da testo della legge – mi pare una baggianata, per dirla con parole fin troppo carine. Ci piglieranno per il culo tutti, con o senza iscrizione al Roc. E ci piglieranno per il culo tutti anche se suddetta iscrizione sarà gratuita. E che, ovviamente, se nelle condizioni di poterlo fare, faremo tutti, perché altrimenti diremo addio ciascuno di noi al suo spazio – bello, brutto, intelligente o stupido che sia. In fondo è più o meno quello che avviene quando uno registra un dominio .it.
Ed è qui che mi è scattata una molla: io sono ospitato da Blogger, che è un servizio gratuito recentemente acquistato da Google. Non credo – ma non ne sono nemmeno troppo sicuro – che i suoi server, quindi le macchine che ospitano anche queste parole che ora state leggendo, siano in Italia. Inoltre il mio è un dominio cosiddetto di terzo livello: una sorta di “sottodominio” della piattaforma che mi offre il servizio, ovvero di Blogger e della digitura blogspot, essendo l'indirizzo di questo blog composto da nomedelblog.blogspot.com, quindi semmai della registrazione al Roc se ne dovrà occupare Blogger e non il sottoscritto. Una sola cosa mi spaventa: pare che dovrò essere responsabile non solo di ciò che vado scrivendo, ma anche di quello che sono andati scrivendo gli altri nei commenti e che io ho erroneamente trascurato: il che mi sembra una minchiata bella e buona, perché mi costringerebbe a mettere uno di quei moderatori automatici ai commenti che tanto odio, non bastando più il disclaimer che già potete leggere nella barra alla vostra destra.
Certo una cosa va detta. La legge è opera di Ricardo Franco Levi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'editoria. E fondatore, nel 1991, del quotidiano l'Indipendente, tentativo di fare il Times londinese a Milano naufragato – e salvato poi da Vittorio Feltri – nel giro di qualche mese dopo aver esaurito l'ingente quantità di soldi che aveva a disposizione al momento del debutto. I motivi del naufragio, concordano gli studiosi di giornalismo e i giornalisti, stavano nelle scarse capacità del direttore-fondatore Levi di comprendere i meccanismi del mercato giornalistico italiano, dunque nel non capire che in Italia un giornale modello inglese, con i fatti separati dalle opinioni e con articoli che interessano solamente a 19 mila disperati – gli stessi che compravano l'Indipendente di Levi – è un tentativo fallito ancor prima di essere messo in moto. Ecco, la speranza è che naufraghi anche la nuova legge sull'editoria – oltre che il Governo che ha dato ad uno come Levi, la cui vita editoriale è costellata di insuccessi, la delega all'editoria. Non perché non ci vogliamo iscrivere al Roc, se necessario. E nemmeno perché vogliamo coprire di fango chiunque con parole poco carine. Ma perché non esiste che in un paese sedicente democratico quale l'Italia è o, secondo i Beppe Grilli della situazione, dovrebbe essere, un governo si permetta non di regolamentare ma di stringere per i coglioni il mondo della rete e la libertà di espressione. E poi, scusate, un blog personale, gestito da un privato, senza ragione sociale, senza dipendenti, senza niente di niente ma solo con un pizzico di passione, un paio di idee e molto tempo a disposizione, perché mai deve essere per legge paragonato ad un prodotto editoriale come un quotidiano cartaceo, ovvero ad un'impresa, con una storia, un compito, una redazione e quant'altro? Se il problema sono le diffamazioni, libertà di espressione non vuol dire libertà di diffamare, bensì libertà – e quindi agilità e facilità – di potersi esprimere. Il contrario di quanto affermato da questa nuova legge.
Per capire meglio il personaggio che ha le mani sull'editoria italiana, poco visibile ma con una fama inversamente proporzionale all'influenza che il nostro ha sul Presidente del Consiglio, Romano Prodi, un paio di citazioni:
“Ha collezionato vistosi fallimenti, pensando invariabilmente di avere ragione [...] Al Sole 24 Ore fu subito chiaro che Ricardo e il giornalismo potevano fare a meno l'uno dell'altro. Era un cronista prudente, spontaneamente allineato al potere. «Ricky sta al giornalismo come Jovanotti all'opera lirica», dice un collega che lo conosce bene. [...] Ricardo lasciò il Corriere e, nel 1991, fondo l'Indipendente. Doveva essere un quotidiano anglosassone, i fatti separati dalle opinioni. Ricky riuscì a separare le opinioni dalle opinioni. Quando, in piena Tangentopoli, fu arrestato l'Ing. Carlo De Benedetti, scrisse un editoriale con due titoli. Uno in testa: «Perchè l'Ingegnere ha torto», l'altro al centro: «Perchè l'Ingegnere ha ragione». Mentre poi le procure arrestavano a destra e a manca, il giornale se la cavava con due colonne e non prendeva partito. Un surgelato. [...] l'Indipendente precipitò a 20 mila copia. Sei mesi dopo, Ricky fu cacciato. Rimise di tasca propria cinque miliardi di lire. Ma tuttora, gonfio com'è, continua a dire: «Ah, se mi avessero lasciato fare...». [...] Ora, dopo aver fallito come editore, giornalista e portavoce, Levi ha in mano noi della stampa.” [1]
“Nacque alla fine del '91 sulla scia del britannico Independent con l'idea di farne un quotidiano di stile anglosassone, cool, distaccato, imparziale, neutrale. Il direttore, Ricardo Franco Levi, non poteva essere scelto meglio per la bisogna: gelido come il sangue di un pesce e vestito all'inglese o, per meglio dire, come un italiano crede che si vestano gli inglesi. Purtroppo anche un giornale venne fatto come un italiano crede che siano fatti i giornali inglesi, più che neutrale risultò neutro e senza anima.” [2]
“Un morticino vestito bene” [3]
Note:
[1] Giancarlo Perna, “Levi , l'ombra di Prodi che fa collezione di flop”, Il Giornale, n. 248, 19.02.2007, reperibile qui
[2] Massimo Fini, “Giornale outsider in sapore di Lega”, Il Giorno, 28.06.1996
[3] Eugenio Scalfari a proposito dell'Indipendente, vedi [1]
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