sabato, novembre 19, 2005

Il pezzo lo troverete da qualche parte, tra un po'...

Mercoledì 16 novembre, al Senato sono circa le 19 e 30 quando viene approvata una nuova riforma targata Casa delle Libertà, la devolution così tanto voluta dalla Lega di Bossi. Centrodestra praticamente compatto nel votare a favore (l’unica defezione registrata è stata quella del vice presidente del sentato Fisichella, che votando no ha anche colto l’occasione per dimettersi da Alleanza Nazionale, in polemica col partito), centrosinistra altrettanto unito a votare contro e a promettere una futura battaglia referendaria. Intanto, dalle “tribune d’onore” Umberto Bossi, moglie e figli al seguito, ha alzato il pugno alla lettura dell’esito della votazione (170 sì, 132 no e 3 astenuti). Di più non poteva fare, la malattia che l’ha colpito lo scorso anno ancora lascia i segni. Vorrebbe, presumibilmente, alzarsi, urlare, sbraitare, mostrare tutta la felicità verso i suoi compagni di partito e verso il centrodestra (quasi) intero. Non può, ma in quel pugno e in quel ghigno l’idea viene comunque resa. Ma al di là della cronaca, degli avvenimenti, del colore, cosa cambierà con questa benedetta devolution? Inutile girarci troppo intorno: essendo una riforma cosiddetta costituzionale, andrà a modificare parte della costituzione, precisamente l’articolo 117. Ma non è abbastanza per storcere il naso minacciando una presunta “morte della Carta”, in verità nemmeno lontanamente auspicabile. La riforma della devolution attribuisce competenza esclusiva alle Regioni per quanto riguarda l’organizzazione sanitaria, scolastica e la polizia amministrativa locale, questo il quadro generale. Per quanto riguarda la sanità, non cambia nulla: la legge conferma i poteri che le regioni già hanno per quanto riguarda l’organizzazione e la gestione delle strutture sanitarie ed ospedaliere. Riguardo alla scuola, saranno le regioni a rendersi carico dell’organizzazione del personale, mentre non cambierà la formulazione dei programmi scolastici, che sarà ancora centralizzata, con la possibile aggiunta di integrazioni – e non dunque di privazioni o stravolgimenti - da parte di specifici enti locali. Infine le regioni avranno il potere di istituire o meno un nuovo corpo di polizia locale con funzioni amministrative. Con la riforma non è stata introdotta solo la devolution, bensì anche altre modiche riguardanti il Senato della Repubblica che diventa federale. Il numero dei senatori passa così da 315 a 252 membri, eletti in ciascuna regione durante le votazioni regionali (nelle quali, quindi, si voteranno anche i membri del Senato). Diminuisce anche il numero dei deputati, che scende a 500 (da 630). Infine si rafforzano i poteri del premier, che per insediarsi non avrà più bisogno della fiducia del Parlamento, ma solo di un voto del programma. Il Premier potrà però essere sfiduciato dai membri della stessa maggioranza, a patto che venga indicato il nome di un nuovo Premier. Inoltre spetta al Presidente del Consiglio nominare o revocare i ministri, oltre alla scelta di sciogliere le camere, e non più al Capo dello Stato. Questi i tecnicismi della riforma, queste le modifiche che alla sinistra fanno urlare uno scandalo che sinceramente è arduo vedere. È stato detto da chi era contrario a questa devolution, che le regioni avrebbero avuto troppi poteri, che l’Italia sarebbe stata disunita. Niente di più falso, tant’è che è stata comunque inserita una clausola, chiamata di “interesse nazionale” che prevede il blocco di una legge regionale se questa dovesse pregiudicare l’interesse nazionale dello Stato. Come può dunque minacciare l’unità d’Italia? Per quanto riguarda il Sud, erroneamente indicato come vittima dalla devolution, c’è da dire invece che questa è un’occasione e per niente un danno. Questa riforma, responsabilizzando le amministrazioni regionali, conferisce loro il potere di decretare le scelte migliori per lo sviluppo del territorio, senza che queste vengano prima discusse all’interno di un ministero. In pratica gli amministratori del Sud si trasformano in governanti. Il che non è poco, e soprattutto non pregiudica lo sviluppo. Ovviamente ora la legge dovrà scontrarsi con un referendum ideato da coloro i quali anziché analizzare la riforma per quello che realmente è, hanno preferito bocciarla “senza se e senza ma” perché – come accade da sempre con questa ridicola opposizione – qualsiasi cosa propone il governo è sinceramente sbagliata. Non si tratta di essere leghisti o di difendere Bossi, anzi. Solamente di valutare un’ottima riforma che dà più potere alle regioni e che porta come risultato nient’altro che una maggiore governabilità in quelle istituzioni – scuola, sanità. Polizia locale – sempre fuggevoli al farsi governare. E, molto importante, di rafforzare i poteri del Premier che è praticamente l’unico vero capo dello Stato, essendo votato direttamente dalla popolazione.

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