martedì, gennaio 10, 2006

Parliamo un po' di energia?

La recente questione tra Mosca e Kiev riguardo la fornitura di gas, con la Russia che accusava l’Ucraina di “rubare” l’energia dai tubi e questa che rispondeva dicendo che Mosca la stava stringendo in una morsa, volendole aumentare il prezzo delle forniture, ha avuto risvolti anche su altri Paesi. In un primo momenti infatti in alcune nazioni europee, tra i quali anche l’Italia, si è accusato un calo di fornitura. Fortunatamente la questione si è poi risolta, se non per i due paesi protagonisti, almeno per gli altri paesi europei che pagavano in diminuzione di energia in entrata, e tutto sembra essere tornato alla normalità. Anche in Italia. Dove però si è aperto, ancora una volta e fortunatamente, il dibattito sulla questione energetica. L’Italia è infatti dipendente dall’importazione del gas per oltre il 60% del suo fabbisogno interno, senza calcolare le importazioni di energia nucleare e petrolio. Una percentuale enorme se si pensa che la maggior parte dei paesi europei lo è spesso per meno del 25%, perché la rimanente parte viene prodotta all’interno della nazione stessa con il nucleare. La soluzione per poter arginare questo problema rimane dunque la stessa anche in Italia: la produzione interna dell’energia necessaria a sostenere il fabbisogno del nostro paese. Il che, oltre a scongiurare il rischio di blackout o peggio di essere vittime di ricatti da parte dei nostri fornitori esteri, si traduce anche in un notevole risparmio economico. Cifre nell’ordine dei miliardi, non bruscolini. Per poter attuare ciò sono due le soluzioni che sembrano essere tra le più ragionevoli: impianti di rigassificazione e un riavvio del progetto nucleare. Gli impianti di rigassificazione permettono all’Italia di importare gas naturale, allo stato liquido, e poi di gassificarlo all’interno del nostro paese. In questo modo il costo è minore, trattandosi di materia prima, e le importazioni avvengono via mare, andando così ad eliminare la fastidiosa dipendenza dalle forniture via tubo. Per fare ciò vanno costruiti appositi impianti di rigassificazione. Il governo, per voce del presidente della Commissione Ambiente Pietro Fanfani, ha ritenuto opportuno avviare tre progetti di costruzione per tre impianti di rigassificazione, da costruire ovviamente in punti strategici: uno sul mar Tirreno, uno sull’Adriatico e uno sullo Ionio. Questo per permettere la trasformazione dallo stato liquido a quello gassoso immediatamente dopo che la materia prima è sbarcata nei porti. Un progetto ragionevole, sostenuto tra l’altro anche dall’opposizione, per voce del prodiano Enrico Letta (Margherita). Ma come sempre accade, in Italia operazioni di questo tipo si devono sempre scontrare con un ambientalismo tutto all’amatriciana. E fu così che, tenendo fede al dogma Not in my backyard (non nel mio giardino), si sono costituiti comitati locali attorno ai luoghi dove i rigassificatori andavano costruiti. Un po’ come successo nella Val di Susa, con l’unica differenza che in questo caso i governatori della provincia – Puglia, si parla del progetto del rigassificatore sul mar Adriatico, a Brindisi – sono scesi in campo pro e non contro questi comitati. Con il risultato che Niki Vendola, governatore della regione Puglia e Rifondarolo, si è opposto a questa costruzione. Capriccio di cento, pagano mille, e così continueremo a importare gas dall’estero, pagandolo molto di più e sperando che nessuno un giorno ci ricatti fornendocene di meno. Un po’ lo stesso discorso vale anche per il progetto nucleare. Un referendum del 1987 mise fine agli impianti nucleari presenti sul suolo italiano. Vennero dunque fatte chiudere – con conseguente perdita di denaro – le centrali nucleari di Latina, Montalto di Castro (che, unica, venne in seguito convertita a centrale per la lavorazione di olio e gas), Caorso e Triino Vercellese e tutti i programmi riguardanti la costruzione di nuove centrali nucleari vennero annullati. Niente, stop, basta il nucleare in Italia, questo il grido degli ambientalisti dell’epoca (ai quali, va detto, si aggregarono anche i socialisti, al tempo al governo, con il probabile scopo di attirare nella loro orbita i Verdi). C’è forte motivo di credere che la decisione del referendum sia stata determinata anche dalla sciagura nucleare di Chernobyl, avvenuta l’anno prima. Gli italiani, l’opinione pubblica, coloro i quali non necessariamente seguivano il credo degli ambientalisti, era scossa, turbata. E, forse giustamente, temeva che il disastro sarebbe potuto accadere anche da noi. Bisognerebbe quindi dire chiaramente, ora e forse anche allora, che l’Italia è importatrice di energia nucleare. E, soprattutto, che in paesi come la Francia esistono centrali atomiche che distano pochi chilometri dalle nostre frontiere. E che non sono, ne sono state mai, chiuse. Dunque averle in casa nostra – con la conseguenza di altro notevole risparmio di denaro – no perché è contro una politica ambientalista corretta e poi si ha paura, mentre importare a caro prezzo energia da centrali che distano pochi chilometri dal nostro confine e che, qualora malauguratamente dovessero esserci dei problemi, creerebbero un danno anche al nostro territorio, va bene. Controsensi all’italiana.Queste sono le due possibili soluzioni al problema, gli impianti di rigassificazione e il nucleare. Le migliori, le più efficienti sul piano della produzione (e della sicurezza, perché le tecniche odierne sono avanti anni luce rispetto a quelle di venti o trenta anni fa), dei costi e del risparmio. Fa dunque specie sentire avanzare proposte, da chi tra le altre cose si prepara presumibilmente a guidare l’Italia da aprile in poi, totalmente inutili come i pannelli solari. Sì, inutili. E anche danarosi perché la loro implementazione avrebbe costi eccessivamente elevati se paragonati alla produzione energetica che ne deriverebbe, di circa il 2% del fabbisogno di un paese come l’Italia. Fabbisogno energetico che, non dimentichiamoci, con il passare del tempo e con l’avanzata delle tecnologie diventerà sempre più ingente.

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