Dalla rubrica “Posta e Risposta”, La Stampa, domenica 28 maggio 2006, pag. 28
Sono un vecchio maestro di scuola elementare, direttore didattico dal 1979 e successivamente dirigente scolastico. Ho letto con interesse le interviste pubblicate su questo quotidiano il 24 scorso e raggruppate sotto una simpatica titolazione (“Mamma, ho perso il corsivo”). Genitore di un figlio felicemente laureato in giurisprudenza con il massimo di voti e menzione nonché di una figlia laureanda con un anno di frequenza scolastica a San Diego, California, e uno a Madrid, ho scoperto di avere dei motivi d'allarme per i miei figli: scrivono in stampatello. Leggono abitualmente in italiano e in varie lingue, frequentano giovani con interessi culturali in vari campi, ma non “inanellano”. Gli svergognati sic! Non scrivono in corsivo, e io, come padre, li ho sostenuti nell'impresa. Inoltre come maestro e come uomo di scuola ho sostenuto e sostengo gli insegnati che nella loro inattualità si sono resi conto che i libri, i giornali, le riviste, le macchine da scrivere, i pc sono strumenti del diavolo, in quanto distolgono dalla centralità del corsivo. Sono quindi doppiamente colpevole. Non mi consola certo il fatto che negli scambi epistolari dei ragazzi risulti che ogni loro corrispondente tedesco, inglese, scandinavo e nordamericano scriva esattamente come loro, in quanto nelle loro scuole i docenti non si occupano di corsivo ma pretendono varie forme di stampatello. E quei minori che soffrono di disturbi di cui si occupa l'ortofonologia? Senza corsivo, come potranno essere recuperati dalle loro logopediste i bambini tedeschi, inglesi, scandinavi, nordamericani e italiani in condizione di “a-corsività”? Anche se, per fortuna, sembra che la personalità di questi giovani possa svilupparsi comunque. Ce lo attestano i periti di grafologia che nello stesso servizio giornalistico dichiarano che anche su chi non usa il corsivo si possono compiere perizie, in quanto il tracciato, i legami, la dimensione e l'inclinazione delle lettere corrispondono all'individualità di ciascuno. Ritiene lei che il nuovo ministro dell'Istruzione, medico, debba essere chiamato a occuparsi di questa grave sindrome che serpegga nelle scuole?
Seguono firma e risposta di Lucia Annunziata.
Io dico che è un bluff. Una sòla, come la chiamerebbero a Roma. Possibile che creda in ciò che ha scritto? E la lettera, mi si perdoni, come l'ha mandata? In busta chiusa, alla redazione di via Marenco 32 Torino, scritta in un elegantissimo corsivo con pennino, calamaio e carta assorbente? Se i gentilissimi redattori responsabili delle pagine di Cultura de La Stampa pubblicassero nei prossimi giorni una fotoriproduzione della lettera, faccio mea culpa sul blog.
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