sabato, novembre 25, 2006

Arcitalianissimo

Da Panorama in edicola ieri, un magistrale Giuliano Ferrara

La moralità dei giornalisti è un argomento che ha sempre fatto ridere i grandi, da Honoré de Balzac a Henry James, a Karl Kraus. I grandi non potevano prevedere che questa losca belluria del giornalista integro e indipendente come i magistrati di un tempo che fu (e non fu) sarebbe passata anche nel XXI secolo per le mani di piccole combriccole politico-editoriali. Invece accade.

Massimo Mucchetti, un analista economico-finanziario del Corriere della sera, ha scritto un libro intitolato Il baco del Corriere. Il pamphlet non dice che Marco Tronchetti Provera, uno dei padroni del giornale riunito con molti altri nel patto di sindacato Rcs, gli ha messo sotto controllo il computer (a lui e all’amministratore delegato poi sostituito, Vittorio Colao) per verificare di quali documenti si servisse l’intrepido investigatore, che cosa avesse nel cassetto l’operatore inconcusso dell’informazione sopra le parti, eccetera.

Non lo dice: lo insinua, lo suggerisce, lo adombra a mezzo di accostamenti perigliosi, pettegolezzi di corridoio, racconti da spy story di serie B. Lo avesse detto, ne sarebbe nata una discussione pubblica di quelle che piacciono a me e a qualche altro giornalista immoralista. Avendolo soltanto lasciato tra le righe, quel pettegolezzo entrerà come mezzo di produzione di ultima generazione nella fabbrica dei pettegolezzi che piace al pamphlettista moraleggiante, il giornalista senza padroni e con la schiena dritta.

L’autore del libriccino galeotto è un prodiano conclamato (lo negherebbe, questo è sicuro), ma non di quelli simpatici come Angelone Rovati, che agisce nel segreto senza fare la morale, e se bisogna espropriare Tronchetti Provera della Telecom almeno gli suggerisce la strada dell’irizzazione nella Cassa depositi e prestiti, né un prodiano galantuomo del Regno sardo come l’amabile e indisponente ma affidabile Arturo Parisi. No, la sua è la versione untuosetta del prodismo, quella bancaria.

Tratta benone Consorte & Sacchetti, i banchieri coop che hanno accumulato la famosa riserva di 40 milioni di euro intonsi, a disposizione da anni e senza bisogno di investirli, e una condannuccia in primo grado per insider trading: dice (non dice, insinua) che contro di loro il Tronchetti ha montato la famosa campagna estiva dei furbetti del quartierino, facendosi tenere bordone dal direttore del giornale, Paolo Mieli, ma era tutta panna, sostiene questo Mucchetti, perché non è vero che i Ds erano dietro ai loro banchieri di riferimento.

Queste insinuanti amenità escono in libreria al momento giusto per confortare il coraggio, il carattere e la moralità di un giornalista da combattimento come l’autore del libro sul baco. Prodi è al potere. Tronchetti si è dimesso dalla presidenza della Telecom. Il patto di sindacato è instabile, e Corrado Passera, che aveva difeso l’amministratore delegato estromesso e amico di Mucchetti, il Colao, ce l’ha su con gli altri del patto, non va alle riunioni dell’esecutivo.

È forte, il Passera, perché è appena andata in porto la fusione di Intesa e San Paolo, la sua superbanca, il grande gioco è in via di sistemazione, qualche sorpresa giudiziaria è immaginabile, è il momento giusto per l’assalto editoriale e politico al giornale di via Solferino e alla sua direzione.

Il bresciano della sezione economica del Corriere ha ovviamente fatto solo il suo mestiere, ha citato con dovizia Luigi Einaudi e Luigi Albertini, tiene banco in materia di trasparenza delle proprietà editoriali e di indipendenza da potentati e partiti, ma il libro sembra fatto apposta per la bisogna. Non c’è nemmeno da pensar male, la cosa è di tutta evidenza a chi sa leggere tra le righe, perché certi servizi alla libertà di stampa si fanno soltanto tra le righe.

A difendere lo stile Mucchetti, prima in una noiosa trasmissione vista da nessuno (La 7, editore Tronchetti Provera), poi con una banale recensione per La Repubblica (editore Carlo De Benedetti, vecchio amico di Passera), è arrivato Gad Lerner. Di lui si sa già di più. Si sa che è stato per anni a menarla in Lotta continua, ma ha imparato poco del meglio di quell’esperienza generazionale. Ha imparato qualcosa di più alla Stampa, dove si faceva portare dall’avvocato Giovanni Agnelli, padrone di casa, a vedere i buzzurri della Lega sul Po, in elicottero (cose tipiche della deontologia di Einaudi e Albertini).

Si sa che ha incamerato 7-8 miliardi senza lavorare, perché quando Tronchetti è arrivato alla Telecom e alla tv della Telecom, al posto di Roberto Colaninno e del gruppo della tv de sinistra, ha detto che non gli reggeva l’anima per il cambiamento di linea editoriale, e ha incassato. Poi si è fatto riassumere da quel padrone delle ferriere che mette sotto controllo il computer del suo sodale Mucchetti e ha continuato a prendere il resto, ma sempre con l’idea che la sua è una cattedra di specchiata moralità giornalistica, che lui è l’unico contro la mafia, l’unico difensore dei giudici, degli immigrati, del multiculturalismo e del multiparaculismo. Anche per lui è arrivato il momento buono, e via con l’ennesimo assalto maramaldo di una carriera votata alla verità e all’integrità professionale. Dicendo e non dicendo, così nei giochini di potere per bambini si fa largo la sontuosa moralità del giornalismo italiano.


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