La vergogna della guerriglia urbana allo stadio
La cosa paradossale, talmente paradossale che se non si tenesse conto del contesto e di ciò che è avvenuto la si potrebbe addirittura definire ridicola senza correre il rischio di compiere un'esagerazione, è che prima della partita Catania-Palermo è stato rispettato un minuto di silenzio per esprimere il presunto cordoglio che il mondo del calcio avrebbe voluto inviare ai parenti di quel dirigente calabrese di terza categoria, ucciso a calci e pugni dopo un'insulsa partita della quale i più non sapevano nemmeno dell'esistenza. Ecco il paradosso: dolore e ammonimento per la triste vicenda e rispetto ai famigliari; poi, tutti in guerra, come al solito, perché i minuti di silenzio si fanno e si dimenticano. Quello a cui l'Italia – rimbalzato poi nel mondo intero – ha assistito ieri sera è solamente l'ennesimo episodio di violenza sui campi da calcio. Si sapeva che l'ultimo prima di ieri non sarebbe stato l'ultimo, ovvio. Troppe volte è capitato e troppe volte si sono trovate soluzioni incredibilmente molli, incredibilmente inefficaci. Pagine di commenti, ore di dibattiti televisivi e parlamentari, perché se se ne occupa anche la Politica allora la gente pensa che sia una cosa seria. E invece no: è tutto da rifare. 14 arrestati, la maggior parte ragazzini minorenni: vorrà pur dire qualcosa, no? Vorrà pur dire che il problema è a monte, il problema va risolto dal principio e che questo principio, sebbene non molto definibile, non è certamente individuabile (solo) nella sicurezza negli stadi o nella militarizzazione di questi. È un problema intrinseco nel calcio, questo sì, e sebbene dispiaccia dirlo. Ma non è un problema solo di calcio, o solo del grande calcio, inteso come quello internazionale, di Serie A o al massimo di Serie B. E' un problema di cultura dello spettatore che riguarda tutto il calcio, anche quello giocato in ambito parrocchiale, dove la violenza, con le determinate proporzioni, è pure presente – se ne vedono di tutti i colori: dagli zii che si azzuffano tra di loro sugli spalti ai genitori che per sfogare la frustrazione sui figli per ciò che non sono mai stati, minacciano di botte i pargoli se non fanno almeno un gol. Non dobbiamo star qui a fare troppa retorica: sono cose che si dicono da una vita e mezza, e si tirano fuori immancabilmente ogni volta che ci scappa il morto, o al massimo un numero dignitoso – per la notizia, s'intende – di feriti. Ed ogni volta, tempo qualche ora, tutto viene accantonato. Fino alla prossima. La Federcalcio ha promesso, in accordo con il governo, col mondo pallonaro e con l'opinione pubblica sempre pronta a condannare ma c'è da scommetterci anche a partecipare alle violenze (siamo in Italia, inutile stupirsi), che questa volte ci saranno misure drastiche, si faranno tavoli e riunioni, e il circo non riprenderà gli spettacoli fino a quando la questione non sarà risolta, a costo di usare soluzioni drastiche. Apprezzabile, encomiabile, ancora e per l'ennesima volta. Nel frattempo, inutile credere troppo alla favoletta dei campionati fermi a tempo indeterminato: chi lo spiega agli sponsor? Chi lo spiega agli abbonati – privati e bar – delle pay tv? Chi lo spiega al bambino al quale da troppo tempo è stato promessa la gita domenicale allo stadio, e questa volta i biglietti tanto sospirati li ha in tasca da un mesetto e, povero, l'innocenza mica gli permette di capire la gravità di quello che è successo. Sì, ci sarà un turno di stop, al massimo due, in via del tutto eccezionale si può arrivare persino a tre. Ma poi? Il problema verrà risolto davvero? E, soprattutto, c'è bisogno di fermare i campionati? Basta non parlarne più e se misura drastica debba essere, che lo sia da subito, prima di formare i tavoli e i tavolini. Tutti i campionati su campi neutri e a porte chiuse. Le società per una volta capiscano, visto che non hanno mai mosso un dito né messo la propria faccia per cercare di risolvere il problema. Tutti gli altri si adeguino e si chiedano – adesso sì, facciamo un po' di retorica – se sia ancora il caso di seguire questo sport. Se sia ancora il caso di impazzire per una partita e di coltivare una sana passione per un gioco che di sano non ha più nulla, nel suo seguito prima ancora che nelle scaramelle di carattere burocratico-giudiziario, che semmai eccitano gli animi ancora di più. Facciamoci questa domanda, pensiamo seriamente alla sua risposta, e facciamo in modo di non avere paura poi a dirla ad alta voce. Per il resto, ci auguriamo davvero che il vergognoso episodio siciliano sia l'ultimo e che d'ora in poi sarà possibile d'ora in avanti andare allo stadio per divertirsi, portarci la fidanzata, portarci il bambino piccolo che sgrana gli occhi dinnanzi ai suoi campioni preferiti. Ma ce lo siamo augurati già troppe volte che ormai siamo quasi tentati dal non crederci più.
Questo blog da par suo e con fare infinitamente snob ha in mente di pubblicare, ogni settimana, i risultati di un altro sport minore a caso, non importa quale. Si sarebbe pensato all'hockey perché – chiedendo l'aiuto ad un caro amico – è quello che viene più facile da fare e sinceramente il meno seguito tra pallavolo e basket. Ma se mi gira, è facile anche che possiate leggere i risultati del cricket d'oltremanica.
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