«I feel it in my fingers, I feel it in my toes»
Wet Wet Wet, “Love Is All Around”, 1995
Rientro lento, lentissimo. Riprendere il ritmo ma senza strafare, ché qui tra il troiaio di vallettopoli e la figura di merda che stiamo facendo con tutti – americani, europei, persino afghani, non fa differenza – mi viene l’emicrania. Deve risultare un po’ come uscire di casa la mattina con gli occhiali da sole anche se c’è nuvolo: si vuole evitare quel senso di accecamento, quell’inutile fastidio che ci farebbe stropicciare gli occhi per tutto il resto della giornata. Emergere dai fatti di questi giorni, dal baraccone informativo che ha trovato la ragione in quelli che si presumeva avessero torto e che, personalmente, premia fra tutti quelli che nella merda non hanno infilato nemmeno il più piccolo dei mignoli della mano sinistra. Picchiettare le dita sulla tastiera ma senza foga. Riprendere il tran tran quasi in modo ordinario, senza per forza dover arrivare alla sbornia. Evitare di ripetere il già detto e per giunta fuori tempo massimo, precludendo ogni possibilità di fare brutta figura – e quindi, per inciso, inutile ribadire dell’immonde trattativa con i talebani, o di Massimo “Alice nel paese delle meraviglie” D’Alema, come l’ha definito ieri un quotidiano, o di Gino Strada al quale consegnano sotto banco l’asso di picche e quindi si tiene tutto lui, come nelle più tradizionali delle scope. Questo, per il momento, ti garantisco caro – e credimi, non è poco.
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