Io e te, figli delle musicassette, che anche se non so cosa vuol dire, mi piace.
Non si dovrebbe mai rendere pubblico il contenuto delle lettere private, anche quando in queste non si dice nulla che stia al di fuori di un semplice scambio di battute, di quelli che potrebbero essere allargati a tutto l'universo mondo. Quindi mi perdonerà un mio caro amico, e in subordine mi perdonerete voi, cari lettori, se mi permetto di riportare qui la chiusura di una e-mail che mi ha mandato ieri sera: “D'altra parte io e te siamo due nostalgici, basti vedere che compriamo ancora i dischi originali, figli delle musicassette quali siamo”.
Dunque, carissimo, io e te compriamo i dischi originali, e ci mancherebbe altro. D'altronde le vicende burrascose che stanno intasando la tua – e poi la mia – casella di posta elettronica di questi giorni stanno proprio lì a dimostrarlo: mica per niente compriamo i dischi originali, noi; facciamo anche di più: non consideriamo il bene 'musica' come un qualcosa di gratuito, come un servizio che un'entità – lo Stato? - ci rende in cambio del pagamento delle tasse. Noi alla musica portiamo rispetto, e dunque anche a chi la musica la produce, e qualora ci venisse – più a te che a me – in mente di metterci ad organizzare un concerto così, partendo dal nulla, non chiameremmo mai – sempre in nome del rispetto per la musica di cui sopra – a suonare nel nostro cortile i nostri amici. Né tantomeno arriveremmo a pagarli, perché se siamo fessi noi a chiamarli e loro ad accettare, c'è sempre il fattore “amicizia” sullo sfondo, comprendente quindi anche uno scambio – si spera reciproco – di stima che vada oltre un mero compenso economico. E se decidessimo di chiamare qualche nome di quelli forti – oddio... - non staremmo lì a trattare sul prezzo: o ce li possiamo permettere, perché magari abbiamo alle spalle qualche sponsor, oppure molliamo il colpo e ci rivolgiamo altrove o ci teniamo quel che c'è, compreso il niente. Metterci lì a fare le trattative come con i cinesi che in corso Buenos Aires ti fermano per venderti calzini di scadente qualità - “puro filo di Scozia”, dicono pure – è quanto meno deplorevole e umiliante. Per noi e per loro: noi che quel rispetto per la musica dimostreremmo di non averlo, loro che di mestiere fanno quello e devono campare, e fare i musicisti richiede impegno e serietà e mai ci sogneremmo di pensare che suonare è un lavoro meno lavoro di – chessò – fare il ciabattino. Tu quando porti le suole a risuolare il ciabattino lo paghi, non pretendi il servizio gratis; e se pensi che questo voglia troppi soldi le cose sono sempre due: o ti rivolgi altrove, o ti tieni i buchi sotto i piedi – vedi che tutto torna, ad utilizzare le metafore?
D'altronde noi non abbiamo mai, e dico mai e spero mai, rubato nulla a nessuno. Spendiamo i nostri bravi soldini e poi ce ne stiamo zitti e impariamo cosa vuol dire rispettare una persona – ché anche l'artista lo è, pienamente -, senza sognarci nemmeno lontanamente di rubare il frutto del suo duro lavoro. Noi, però, “figli delle musicassette”, non altri, che figli delle musicassette non lo sono mai stati e sono passati dal 33 giri direttamente all'mp3, anche di scarsa qualità, l'importante è “che non sia rovinato, perché cazzo non è possibile scaricare roba che salta e vaffanculo devo star lì tutta la notte e pure l'hard disk insomma ne ho già fritto uno”.
Ecco perché ti scrivo questo, caro amico mio. E poi perché quell'essere “figli delle musicassette” non so sinceramente da dove l'hai tirato fuori, ma almeno per farmi perdonare di questa specie di filippica delle mie ti metto questo link – che magari serve anche a tutta la comunità, motivo per cui queste righe le pubblico qui e non te le mando in privato, sapendoti comunque mio appassionato – e paziente – lettore. È un articolo tratto dall'Independent – ultimamente per leggere qualcosa di sinistra senza che mi venga la nausea mi sono dato alla stampa estera – ed è proprio bello, semplicemente. Tra l'altro quando è uscito, nel giro di due giorni l'hanno ripreso anche un paio di quotidiani nostrani, cercando di far credere che l'idea fosse venuta a loro – ma, al solito, il risultato è stato una cazzimma tale da non crederci.
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