Revisionismi Independenti
Quando la mattina del 18 marzo scorso i lettori dell’Independent si accingevano ad acquistare la loro consueta copia dell’edizione domenicale, non sapevano dello shock che li attendeva all’edicola. Quel giorno infatti il quotidiano inglese titolava a tutta pagina: “Cannabis, an apology”. Cannabis, ora vi dobbiamo delle scuse. Se infatti 10 anni prima il quotidiano più liberal (e libertario) di tutto il Regno Unito aveva portato avanti un’imponente campagna per la liberalizzazione o almeno la depenalizzazione delle droghe leggere, ora crede che sia giunto il momento di offrire ai propri lettori delle scuse. Il motivo di tutto ciò è semplice: le canne che i giovani fumano al giorno d’oggi non sono le stesse che si fumavano 20 o 30 anni fa. Mentre prima si trattava di innocua erba, un po’ di sballo tutto sommato sano, oggi viene inalato nei polmoni di ragazzi sempre più giovani il terribile skunk, pianticella ricavata da semi geneticamente modificati, selezionati per genere (solo la pianta femmina contiene il principio attivo) e poi incrociati tra di loro. Se non addirittura coltivati in serre a raggi ultravioletti o innaffiati con liquidi nei quali vengono preventivamente sciolti acidi. Il risultato sarebbe un potenziamento di oltre 25 volte del delta-9-tetraidrocannabinolo (thc), il principio attivo della cannabis. Le scuse sono ben motivate da Jonathan Owen, il giornalista che firma il reportage di copertina del quotidiano: “nel 1997, mentre questo giornale chiedeva la depenalizzazione, milleseicento persone erano in cura per dipendenza da cannabis. Lo scorso anno sono diventate ventiduemila”, di cui più della metà ragazzini sotto i 18 anni. Nel settembre del 1997 l’allora direttrice dell’edizione domenicale, Rosie Boycott, firmava un editoriale dagli intenti fin troppo evidenti, intitolato “the time is right to depenalize cannabis”, mentre esattamente un anno dopo, settembre del 1998, radunava a Hyde Park uno stuolo di persone per supportare l’uso terapeutico delle droghe leggere; in suo soccorso la solita parata di vip: da Paul McCartney a Peter Grabriel allo scrittore Nick Hornby (anche se Rob Fleming in “Alta Fedeltà” ogni giorno acquista la sua brava copia del Guardian, diretto concorrente dell’Independent). Ora invece a dare man forte all’inchiesta dell’Independent “redento” c’è anche il London Institute of Psychiatry il quale, in un suo recente studio, afferma che continuare a paragonare il nuovo skunk con il vecchio hashish è quanto di più sbagliato e diseducativo ci possa essere, dal momento che l’uno sta all’altro “come il whisky alla birra”. Le conseguenze fisiche per i giovani sarebbero mancanza di entusiasmo, aumento del sonno direttamente proporzionale alla perdita di voglia di vivere, oltre ai sempre più frequenti e preoccupanti casi di schizofrenia giovanile.
Ma la strana voglia di revisioni dell’Independent non si ferma di certo alla cannabis. Ultimamente sul quotidiano inglese ci è capitato di leggere di tutto, e sempre su toni molto sconvolgente per il suo classico pubblico progressista. In un editoriale del 4 maggio a firma del columnist Dominic Lawson troviamo scritto che in Inghilterra esistono ancora moltissimi medici che si rifiutano di praticare aborti e la cosa, se fino a qualche anno fa avrebbe portato a sicuri sberleffi, ora è giustificata in nome di “ottime ragioni morali”. Già, morali, un termine invero un po’ bacchettone che nessuno si aspetterebbe di leggere su quelle autorevoli colonne libertarie. E l’articolo prosegue affermando che abortire “non è certamente una cosa glamorous o sexy; non è come togliere calli. Nessuno si vergognerebbe di dire ai propri amici che toglie calli per vivere, e c’è una ragione per questo: non è come fermare un cuore che batte”. Per avere una prova di quanto clamore possano aver suscitato tali affermazioni nei lettori inglesi del quotidiano più classicamente indipendente da qualsivoglia legame politico, pensate se in Italia le stesse cose le avesse scritte il manifesto e poi immaginatevi la reazione dei suoi lettori. E per il povero acquirente sopravvissuto a tutto questo revisionismo dilagante, a tutto questo ritrattare posizioni difese con la spada fino a qualche anno fa, si passa ad attaccare il kit recentemente acquistabile nelle farmacie del Regno Unito e che promette di svelare il sesso del nascituro dopo soli 6 settimane dal concepimento, in tempo perfetto per un ripensamento. E infatti la sentenza del quotidiano è chiara: “favorisce il ricorso all’aborto”. Selettivo, s’intende, perché non c’è nessuno che ritenga terapeutico voler appendere sulla porta di casa un fiocco rosa anziché azzurro, giusto?
Certo, capita ancora di leggere su l’Independent qualche sana battaglia liberal, come è successo l’8 maggio scorso a favore dell’eutanasia. Una siringa enorme campeggiava in copertina, piena di un veleno color violaceo, e il titolone a nove colonne dichiarava il “the right to chose death” – il diritto di scegliere la morte. L’editoriale di introduzione cominciava così: “il numero dei malati terminali che dalla Gran Bretagna vanno a concludere la loro vita nelle cliniche svizzere lo scorso anno è raddoppiato”, per poi proseguire all’interno del giornale con l’inchiesta vera e propria, nella quale si spiegava come “la legge trasformi persone disperate in criminali”, essendo l’eutanasia considerata dalle corti britanniche al parti dell’omicidio, e dunque punibile con l’ergastolo.
Noi, che consideriamo la testata come una delle più interessanti del Regno Unito, nel frattempo ci riserviamo di dare un nostro giudizio ben compiuto tra una decina d’anni, quando probabilmente l’Independent avrà ritrattato anche questa sua posizione, perdendo i vecchi lettori ma guadagnandone di nuovi. Ci attendiamo, ovviamente, anche George W. Bush in copertina, rivalutato dai posteri con il seguente titolo: “ti demmo dello stupido, ma ora hai vinto la guerra”, perché al meglio non c’è limite.
L’impressione è che questi continui voli pindarici, come nel caso di cannabis e aborti, uniti alle battaglie condotte in nome di una “morte dignitosa” e di un’invidia per le cliniche svizzere, sia il segnale tangibile di come non basti superare legalmente certe questioni – pensiamo all’aborto, legale nel Regno Unito da quarant’anni – poiché continueranno a tenere banco nei dibattiti etici, dimostrandosi argomenti che poco hanno a che fare con la legislazione e molto con la morale. Proprio come dice l’Independent.
[una cosa per un’altra cosa. Ma perché – mi son detto – non testarla?]
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