martedì, maggio 06, 2008

digitalizzare l'amministrazione non vuol dire fare le cose a cazzo di cane

Ammettiamo che sia vero che i dati dei contribuenti italiani siano stati messi sul sito dell’Agenzia delle Entrate per sottostare alla decisione di applicare la “normativa sulla predisposizione e pubblicazione degli elenchi dei contribuenti e di quella del codice dell’amministrazione digitale” e per soddisfare un non meglio precisato bisogno di “trasparenza fiscale al quale l’Agenzia ha inteso attenersi” – come da parole dell’Agenzia delle Entrate stessa. Dunque, ammettiamo questo. Ma ci è altresì impossibile ammettere che un’azione come quella che è stata condotta sia regolare e corretta, solo perché i dati erano già consultabili da chiunque in formato cartaceo, previa richiesta, e siccome ora siamo nell’era digitale dove tutto è a portata di click, deve essere possibile la loro libera consultazione via web.

Scenario “antico”: io, cittadino, so che la legge mi permette di poter consultare le dichiarazioni dei redditi presso l’ufficio apposito del mio Comune; e, sempre io, siccome voglio avvalermi di questa possibilità concessami, inoltro apposita richiesta dove dichiaro nome, cognome e voglia di curiosare. È lecito, mi è permesso, ma tutti sanno che sono io a farlo, avendone fatto richiesta. Scenario “attuale”: ho la curiosità, accendo il computer, vado sul sito dell’Agenzia delle Entrate e leggo le dichiarazioni dei redditi degli italiani; nessuno sa che sono io a farlo, perché internet mi copre, e quindi se usassi quei dati per qualcosa di illecito, nessuno saprebbe che sono stato io ad adoperarli. Questa non si chiama trasparenza fiscale in ottemperanza ad un progetto di amministrazione fiscale. Questa si chiama violazione della privacy. Se si vuole fare un progetto serio di amministrazione digitale, si permetta il riconoscimento on-line di chi ha richiesto la visione dei dati; in questo modo si ha una perfetta trasposizione digitale di ciò che avveniva prima tra timbri e scartoffie, in osservanza della legge. Certo, ora è tardi per tappare la falla, i dati circolano liberamente e in Rete non vi è modo di fermarli. Bisognava pensarci prima di fare il classico lavoro a cazzo di cane, tipico della burocrazia italiana.

Edit: è cosa buona e giusta che un quotidiano serio come Il Sole 24 Ore abbia pubblicato sul suo sito gli elenchi con i redditi, presi direttamente dai programmi di file sharing. Giusto per far capire ai burocrati il casino che hanno combinato.

Re-edit: dopo che il Garante per la Privacy ha stoppato la diffusione dei dati in rete, è sparita la pagina dal sito del Sole 24 Ore. La decisione è legittima ma inutile, visto che se i dati girano comunque nei sistemi di file sharing tanto valeva lasciarli disponibili sul sito di un quotidiano.

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