Vi racconto un fatto. Liceo dell'hinterland milanese, lo stesso che ho frequentato io ormai anni or sono. Stamattina alcuni studenti, i soliti che chiunque abbia fatto le superiori conosce e che sembrano reincarnarsi ogni quinquennio sotto nuove sembianze, facevano un picchetto fuori da scuola per impedire agli altri alunni – quelli che a scuola ci vanno per studiare – di entrare. Il motivo, uno sciopero. Di quelli autogestiti, come si dice in gergo; di quelli organizzati grazie al tam tam di sms, di e-mail e, ultimamente, di Facebook: «Ragazzi, a questo giro non si entra, mi raccomando! Facciamo sciopero!». Queste cose le so perché mio fratello frequenta quel liceo. E non è uno studente reincarnato, portatore in corpo di qualche teppistello del '68. No, è uno studente dell'altro tipo, descritto qualche riga più su come di quelli che a scuola «ci vanno per studiare». Capita – proseguo nel racconto del fatto – che io sia l'unico in famiglia in grado di poterlo far uscire da scuola anticipatamente: i miei sono in vacanza all'estero, e lui è ancora minorenne. E capita anche che in classe di mio fratello solo in due non hanno aderito allo sciopero: lui e una sua compagna di classe. Come logico, la professoressa di latino non farà lezione, e così anche tutti gli altri che verranno nelle ore successive. Di più, quella di latino invita mio fratello e la sua compagna di classe ad uscire dalla scuola se vogliono, senza dover adempire a tutti gli obblighi burocratici per l'uscita anticipata: apprezza il loro comportamento, apprezza che siano voluti entrare in classe, ma la campanella è appena suonata, lei fingerebbe un leggero ritardo e dice che no, farebbe finta di non averli visti e non segnerebbe la loro presenza sul registro. Ma i due compagni di classe sono curiosi: oggi la professoressa avrebbe riconsegnato i compiti in classe di latino, e loro vorrebbero conoscerne l'esito. Optano quindi per rimanere in classe almeno la prima ora, poi i fratelli – io e la sorella della compagna di classe – andranno a prenderli durante l'ora successiva. La professoressa accetta, e consente che sia fatta col cellulare una chiamata a casa per avvisare di andare a prenderli.
Sono le 10 della mattina e varco senza alcun rimpianto i cancelli del mio ex liceo: a mio fratello è andata bene, gli impegni mi permettevano di assentarmi per una mezzoretta. Entro, e lo trovo con il registro in mano, pronto per portarmi dalla vice-preside a firmare il permesso di uscita anticipata. Ma proprio fuori dall'ufficio di presidenza succede una cosa: prima di me è arrivata la sorella della compagna di classe di mio fratello, e sta discutendo con la vice-preside la quale proprio no, non vuole saperne di far uscire in anticipo la studentessa. Non ce ne sarebbe motivo, secondo lei. La sorella maggiore fa notare che un'uscita anticipata necessita di una giustificazione formale ma che in pratica non si devono fornire elementi particolari; insomma, per quanto potesse saperne la vice-preside, in casa loro era morto il gatto e non volevano condividerne il dolore con il primo passante. La preside, stronzissima, dice che non le interessa, l'alunna non può uscire e «ringrazi che non metto a sua sorella una nota disciplinare che pure meriterebbe: ha usato il telefono cellulare in classe, il che è proibito dal regolamento». E fa nulla se proprio la professoressa di latino, che dovendo far rispettare le regole può concedere anche delle deroghe, era al corrente delle telefonate. Mio fratello capisce la situazione, vede il mio sguardo e, conoscendomi, mi dice di lasciar perdere, tornerà in classe a studiare o a passare il tempo in qualche altro modo. Io, che lo conosco almeno quanto lui conosce me, accetto la sentenza senza fiatare, anche se mi giravano le palle per il principio e – a quel punto – anche per il tempo perso. Andrò a casa. Faccio per uscire dal corridoio che porta agli uffici del preside e del suo vice quando, appesa alla bacheca «avvisi della presidenza», trovo la fotocopia ingrandita di un articolo di giornale che annuncia la manifestazione dei sindacati della scuola contro il ministro Gelmini e la sua riforma, prevista per il 30 di questo mese. E mi viene il dubbio che mio fratello e la sua compagna di classe non li abbiano fatti uscire perché crumiri.
Etichette: scuola
1 Commenti:
speriamo che fra gli esuberi ... ci siano anche questi "docenti" ... veri e propri pezzi da museo
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