sabato, novembre 01, 2008

lo studente è fesso. Sempre e comunque

Per rendersi conto di quello che è lo stato dell'opposizione in Italia – e questo per tacere del governo, che inizia ad avere solo ora un po' di tremarella dopo una luna di miele che se si dovesse concludere adesso, sarebbe la più lunga e la più desiderata da qualunque altro Presidente del Consiglio della storia repubblicana, passata e futura – lo stato dell'opposizione, si diceva. Per rendercene conto basta osservare il caso creato intorno al decreto Gelmini. Senza per altro andare nella sostanza del decreto, ché non serve alla bisogna della strumentalizzazione della piazza. E così abbiamo visto politici del Piddì andare in piazza, arringare la folla con il megafono fuori dal Senato, cercare di piazzare le loro manine viscide e avide di voti sulla folla degli studenti, che tanto più si dichiarano non strumentalizzabili tanto più si fanno strumentalizzare dai politici prima e dalle baronie scolastiche poi. Mi si dica: che c'entrano in piazza manifestanti di scuole medie – inferiori e superiori – e universitari con il decreto Gelmini? Si vuole re-introdurre il grembiulino negli atenei? Non mi pare. E in effetti suddetto decreto, tanto odiato e tanto vituperato, non tocca né licei né univeristà. Queste ultime, semmai, sono toccate dai tagli presenti nella Finanziaria varata lo scorso luglio. E, sia chiaro, tagli come se ne fanno ogni anno, ad ogni Finanziaria, indipendentemente dal colore del governo che la vara (o ci siamo già dimenticati dei tagli di Padoa Schioppa patrocinati dallo stesso Ministro Mussi ora in piazza fianco fianco con gli studenti nella speranza di rimediare qualche voto per la sua Sinistra Democratica?). Sta di fatto che lo scorso luglio né Veltroni né Di Pietro hanno detto nulla sul futuro dell'università: perché? Sostanzialmente d'accordo con i tagli? Non credo. Semmai: non essendoci studenti incazzati, perché l'anno scolastico era in dirittura d'arrivo e ottobre e novembre sono i mesi delle occupazioni, dai quali recuperare qualche voto, non c'era nemmeno bisogno di fare cagnara. Recuperano adesso, dimostrandosi per altro incoerenti con sé stessi e sperando che la massa degli studenti – la maggior parte ignorante dei motivi per cui protesta: è sufficiente raccontare una cazzata che lo studente-sfaticato medio ci crede – non se ne accorga. I due vogliono proporre un referendum contro il decreto, sottintendendolo – immagino – contro i tagli all'istruzione. I suddetti tagli, come detto, sono stati inseriti in Finanziaria. Per cui, Costituzione alla mano, “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio” (art. 75). Gli studenti, come ovvio, si berranno anche questa panzana, incuranti del fatto che se il referendum si farà e dovesse andare per la meglio (per chi l'ha promosso), al massimo verranno tolti i grembiulini alle elementari. Lo studente, nel frattempo, ha fatto ancora la figura del fesso. Quella che più gli si addice, tra l'altro.

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mercoledì, ottobre 29, 2008

Aggressione politica.


Walter Veltroni, con il solito aplomb che ormai lo contraddistingue (leggi: una certa dose di faccia come il sederino) ha dichiarato che gli scontri tra studenti in Piazza Navona a Roma sono il risultato di «un'aggressione politica». Forse perché, come hanno testimoniato i tiggì di mezzogiorno, questa mattina il capogruppo del Pd al Senato, sen. Finocchiaro, “arringava” con tanto di megafono la folla di studenti incazzati e applaudenti?

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venerdì, ottobre 10, 2008

vi racconto un fatto.

Vi racconto un fatto. Liceo dell'hinterland milanese, lo stesso che ho frequentato io ormai anni or sono. Stamattina alcuni studenti, i soliti che chiunque abbia fatto le superiori conosce e che sembrano reincarnarsi ogni quinquennio sotto nuove sembianze, facevano un picchetto fuori da scuola per impedire agli altri alunni – quelli che a scuola ci vanno per studiare – di entrare. Il motivo, uno sciopero. Di quelli autogestiti, come si dice in gergo; di quelli organizzati grazie al tam tam di sms, di e-mail e, ultimamente, di Facebook: «Ragazzi, a questo giro non si entra, mi raccomando! Facciamo sciopero!». Queste cose le so perché mio fratello frequenta quel liceo. E non è uno studente reincarnato, portatore in corpo di qualche teppistello del '68. No, è uno studente dell'altro tipo, descritto qualche riga più su come di quelli che a scuola «ci vanno per studiare». Capita – proseguo nel racconto del fatto – che io sia l'unico in famiglia in grado di poterlo far uscire da scuola anticipatamente: i miei sono in vacanza all'estero, e lui è ancora minorenne. E capita anche che in classe di mio fratello solo in due non hanno aderito allo sciopero: lui e una sua compagna di classe. Come logico, la professoressa di latino non farà lezione, e così anche tutti gli altri che verranno nelle ore successive. Di più, quella di latino invita mio fratello e la sua compagna di classe ad uscire dalla scuola se vogliono, senza dover adempire a tutti gli obblighi burocratici per l'uscita anticipata: apprezza il loro comportamento, apprezza che siano voluti entrare in classe, ma la campanella è appena suonata, lei fingerebbe un leggero ritardo e dice che no, farebbe finta di non averli visti e non segnerebbe la loro presenza sul registro. Ma i due compagni di classe sono curiosi: oggi la professoressa avrebbe riconsegnato i compiti in classe di latino, e loro vorrebbero conoscerne l'esito. Optano quindi per rimanere in classe almeno la prima ora, poi i fratelli – io e la sorella della compagna di classe – andranno a prenderli durante l'ora successiva. La professoressa accetta, e consente che sia fatta col cellulare una chiamata a casa per avvisare di andare a prenderli.
Sono le 10 della mattina e varco senza alcun rimpianto i cancelli del mio ex liceo: a mio fratello è andata bene, gli impegni mi permettevano di assentarmi per una mezzoretta. Entro, e lo trovo con il registro in mano, pronto per portarmi dalla vice-preside a firmare il permesso di uscita anticipata. Ma proprio fuori dall'ufficio di presidenza succede una cosa: prima di me è arrivata la sorella della compagna di classe di mio fratello, e sta discutendo con la vice-preside la quale proprio no, non vuole saperne di far uscire in anticipo la studentessa. Non ce ne sarebbe motivo, secondo lei. La sorella maggiore fa notare che un'uscita anticipata necessita di una giustificazione formale ma che in pratica non si devono fornire elementi particolari; insomma, per quanto potesse saperne la vice-preside, in casa loro era morto il gatto e non volevano condividerne il dolore con il primo passante. La preside, stronzissima, dice che non le interessa, l'alunna non può uscire e «ringrazi che non metto a sua sorella una nota disciplinare che pure meriterebbe: ha usato il telefono cellulare in classe, il che è proibito dal regolamento». E fa nulla se proprio la professoressa di latino, che dovendo far rispettare le regole può concedere anche delle deroghe, era al corrente delle telefonate. Mio fratello capisce la situazione, vede il mio sguardo e, conoscendomi, mi dice di lasciar perdere, tornerà in classe a studiare o a passare il tempo in qualche altro modo. Io, che lo conosco almeno quanto lui conosce me, accetto la sentenza senza fiatare, anche se mi giravano le palle per il principio e – a quel punto – anche per il tempo perso. Andrò a casa. Faccio per uscire dal corridoio che porta agli uffici del preside e del suo vice quando, appesa alla bacheca «avvisi della presidenza», trovo la fotocopia ingrandita di un articolo di giornale che annuncia la manifestazione dei sindacati della scuola contro il ministro Gelmini e la sua riforma, prevista per il 30 di questo mese. E mi viene il dubbio che mio fratello e la sua compagna di classe non li abbiano fatti uscire perché crumiri.

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