sabato, marzo 25, 2006

Musicalia / Non c'è solo la narcolessia

Scrive Bruno Giurato su Il Foglio del 25 marzo, pag. IV dell'inserto, riguardo lo stato del rock in Italia: “e adesso che hai sregolato tutti i sensi come voleva il poeta e sei passabilmente scafato ed esigente (quindi perverso), trovi sempre più che i gruppi d'Italia ti fanno venire sonno. Hai speso tanti euri in dischi vari: dai Marlene Kuntz ai Baustelle. I primi a sentire un loro testo cercano «la bellezza ovunque», e questa si trova dappertutto meno che nelle loro linee melodiche. I secondi fanno la new wave italiana: voci scure e accordi minori su ritmi beat.” [segue poi anche una digressione – ché l'articolo riguarda roba siciliana, Roy Paci et similia - sui Marta sui Tubi, ma quella la sottoscrivo in toto]. L'affermazione di Giurato mi pare condivisibile sino a quando dice che in Italia c'è la tendenza alla narcosi. Quello sì, è vero. Pur con una doverosa specificazione: il sonno che intendo io – ma credo anche quello che intende Giurato – non è un sonno causato da una questione prettamente musicale; è più che altro la mancanza totale di creare sentimento nell'ascoltatore, quel sentimento che ti scuote mentre ascolti un brano e ti allontana dallo stato, appunto, del sonno. Meno condivisibili però mi sembrano gli esempi presi da Giurato (sempre con il distinguo dei Marta Sui Tubi). Voglio dire, Marlene Kuntz prima e Baustelle proprio ora mi sembrano due ottimi esempi di musica pop italiana che riesce a suscitare sentimento. Roba che non la si ascoltava, rimanendo più o meno nello stesso ambito e quindi escludendo dal discorso tutto il periodo dei cantautori, dai tempi dei primi Litfiba o dei Diaframma, o di qualche avanguardia punk bolognese (Confusional Quartet su tutti). Perché i Baustelle – che di new wave forse hanno solo le cravatte del cantante, a meno che io abbia un'idea confusa di new wave: in questo caso però mi sento di estendere la confusione su molti – scuotono, verbalmente e musicalmente. Eccitano, esaltano, e intristiscono, sanno far venir voglia di riascoltarli, pur nella loro semplicità. Non hanno la pretesa di “saperla lunga”, tipica del cantautore degli anni '70. Né a livello armolodico né a livello delle liriche. Ti dicono come la pensano, e quello che più piace è che lo fanno nel migliore dei modi: mantenendo un certo qual distacco dall'ascoltatore, così che questo non si senta “schiacciato” dall'operato dell'artista e riesca a non stancarsi, pur col passare del tempo, così facilmente (cosa che invece fa il bel rivoluzionario con, a titolo puramente esemplificativo, 'La Locomotiva' di Guccini). Per quanto riguarda i Marlene Kuntz, che tra i miei preferiti non lo sono mai stati (un gradino sopra metto gli Afterhours, quelli magari d'annata, non questi che strizzano l'occhio al commercio, con Ballad for little Hyenas), c'è però da riconoscere loro una certa originalità nel pur poco originale territorio del garage-noise. Perché è facile dire che nei loro testi cercano “la bellezza ovunque” e poi accusarli di far latitare “il bello” proprio nelle loro canzoni. Semplicemente perché il bello nelle loro canzoni lungi dall'essere latitante, anzi, non è così impossibile da scovare. Io, ad esempio, quando voglio cercare un po' di bellezza (musicale, verbale, d'immagine) metto su un loro pezzo, che inizia esattamente così: non c'è contatto di mucosa con mucosa/e pur m'infetto di te/ che arrivi e porti desideri e capogiri/ in versi appassionati indirizzati a me/ e porgi in dono la tua essenza misteriosa/ che fu un brillio fugace qualche notte fa/ e fanno presto a farsi brevi i miei sospiri/ che alle pareti vanno a dire “ti vorrei qua”. (La canzone si chiama “La Canzone che Scrivo per Te”, il gruppo la canta con Skin, l'anno era il 2000 e il disco si chiama “Che cosa Vedi” - ho controllato e la trovate tranquillamente nell'iTunes Music Store, e credetemi che per 99 centesimi nessuno può darvi di meglio). Se non è bellezza – a tutto tondo – questa, caro Giurato, mi dica lei. Ed è bellezza anche per chi si sente “scafato ed esigente – e quindi perverso”, mi creda.


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