sabato, luglio 01, 2006

Omaggio al grande Indro

Indro Montanelli
Furecchio, Firenze, 22 aprile 1909 – Milano 22 luglio 2001

5 anni fa, esatti, moriva il principe del giornalismo italiano. Siccome ricordare questi anniversari è sempre motivo di inutile retorica – e Dio me ne scampi dal voler tediarvi con la retorica – ripubblico l'editoriale che Indro Montanelli scrisse per il suo Giornale. Era il 25 giugno del 1974.

Al Lettore – Il Giornale Nuovo, 25 giugno 1974
Questo
quotidiano nasce da una rivolta e da una sfida. La rivolta è contro uno stato di fatto che espone i giornalisti a ogni sorta di condizionamenti padronali e corporativi. La sfida è alla ineluttabilità di questa situazione. Noi siamo convinti che un gruppo di uomini professionalmente selezionati e fermamente decisi a servire soltanto il lettore possono ottenere da lui quanto basta a sostenere la loro impresa senza bisogno di mettersi all'ombra – e alla greppia – di un «protettore». I più benevoli ci definiscono sognatori. I più malevoli, pazzi. Noi ci consideriamo soltanto sensati.

Naturalmente, per avviare questa iniziativa, abbiamo avuto bisogno di capitali; anche Albertini per lanciare il Corriere, anche Beuve-Mery per fondare Le Monde, dovettero ricorrervi. Come per loro, così per noi, della fonte di finanziamento si sono propalate fantasiose versioni. Quella nostra è documentata negli atti depositati presso il Tribunale, a disposizione di chiunque desideri consultarli. Per chi voglia risparmiarsene il disturbo, eccola in sintesi.

Una grande società pubblicitaria, la Spi, ci garantisce presso le banche per tre anni, lasciandoci in toto proprietari della testata, di cui ci siamo divisi tra noi le quote azionarie. La nostra è dunque una società editrice di redattori che col finanziatore hanno un solo impegno: lasciargli a titolo permanente, la esclusiva della pubblicità e riservargli il cinquanta per cento degli eventuali utili fino a completa rifusione dei passivi iniziali. Se al termine dei tre anni avremo vinto la sfida raggiungendo il pareggio, vorrà dire che la parte del finanziatore sarà stata assunta dal lettore, l'unico che può esercitarla senza coartare la libertà di un giornale, anzi garantendola.

L'urgenza di questo traguardo c'impone notevoli sacrifici. Il corpo redazionale è ridotto all'osso, per un quotidiano a diffusione nazionale: cinquanta uomini, sia pure affiancati da un folto nucleo di collaboratori esterni. Non avendo una tipografia, dobbiamo stampare in casa altrui, stivati in poco e disagiato spazio. Lo schiacciante costo della carta c'impone di uscire a diciotto pagine, che talvolta potranno calare anche a sedici. E infine dobbiamo rinunciare al numero del lunedì per sottrarci ai costi del lavoro «in straordinario» domenicale che contribuiscono a mandare in dissesto le altre aziende editoriali.

Questi sacrifici, se dietro di noi ci fossero veramente i miliardi che ci vengono attributi, non li compieremmo. Ma li accettiamo con animo lieto. Siamo pochi ma siamo tutti scelti tra noi. I nostri mezzi sono limitati, ma noi ne siamo i padroni. Dobbiamo rassegnarci a un prodotto quantitativamente scarso, ma siamo sicuri di poterne compensare il lettore con la qualità.

Chi sarà questo lettore noi non sappiamo Perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione»: l'assassinio della mondana all'idroscalo sarà debitamente registrato, ma non avrà l'onore delle sette colonne in prima pagina e la precedenza sul viaggio di Nixon a Mosca. Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo.

E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. Del sistema in cui viviamo conosciamo tutte le piaghe, e non ci stancheremo di metterle a vivo. Ma per contribuire a cicatrizzarle, non a propagarne la cancrena. Perché a questo sistema non ci sono che due alternative: la caserma, o il mapo di concentramento. E ad entrambe noi preferiamo il nostro, anche con le piaghe.

Qualcuno ci avverte che, con tutte queste esclusioni, di lettori ce ne resteranno pochi. Ma secondo i calcoli degli esperti, a un giornale condotto coi nostri economici criteri, ne bastano per sopravvivere centocinquantamila. E noi ci rifiutiamo di credere che in Italia non ci siano centocinquantamila persone disposte a secondare lo sforzo di un gruppo di giornalisti che per servire soltanto la pubblica opinione hanno rinunziato a poltrone più comode e sicure. È questa la sola clientela che c'interessa, confidiamo che sarà tutta con noi, ma per moltiplicarla non scenderemo a nessun compromesso. Noi ci contentiamo di dar vita a un giornale: ce ne sono fin troppi. Vogliamo creare, o ricreare, un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida.

Fra i tanti malvezzi a cui vogliamo porre fine, c'è anche quello delle vanità mortuarie, che abbiamo sempre considerato disdicevole al rango di questa città. Chi vuole inserire un necrologio si presenti al nostro sportello. Gli sarà praticata la solita tariffa proporzionale al millimetraggio. Ma a intascarla non saremo noi: l'importo sarà messo dentro una busta, su cui lo stesso inserzionista scriverà l'indirizzo dell'opera assistenziale o caritativa cui egli vuol devolverlo in onore del defunto e impostato sotto i suoi occhi secondo le modalità che indichiamo a pie' della seconda pagina, in modo che il necrologio e la partecipazione non siano più un mercato alle spalle del morto, ma un contributo alla solidarietà reso in omaggio alla sua memoria.

Quanto al nostro modo di intendere e di praticare l'obiettività dell'informazione e la sua netta distinzione dal commento, vera garanzia d'imparzialità giornalistica, non vogliamo dilungarci perché da oggi in poi esso sarà sotto gli occhi del lettore, unico giudice competente a pronunziarsi.

A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo.

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page