venerdì, gennaio 05, 2007

C'era una volta, Cat Stevens

I go where true love goes / I go where true love goes”
Yusuf Islam, Heaven (Where true love goes”, singolo dell'album An Other Cup

Direttamente dall'esibizione ad Oslo dello scorso 11 dicembre, in occasione del maxiconcerto organizzato per i Nobel della Pace, Yusuf Islam, al secolo Cat Stevens, è sbarcato a Napoli per ritirare – e non per cantare, fa sapere stizzito il suo entourage – il “Premio Mediterraneo” durante il tradizionale concerto dell'Epifania, per essersi “distinto nel dialogo tra le fedi religiose” [Kataweb Musica]. Nobel per la Pace e Concerto dell'Epifania sono entrambi concetti che al cantautore dovrebbero suonare strani, se non addirittura scomodi. La sua conversione all'Islam, che lo ha “folgorato” dopo aver rischiato di morire annegato nel 1977, dovrebbe come minimo cozzare con il ritiro di un premio in occasione della celebrazione di una festa a sfondo religioso – o meglio, di un'altra religione – e certe sue dichiarazioni, fatte in un passato nemmeno troppo remoto, non si intonano granché bene con la consegna dei Premi Nobel per la Pace.

Yusuf Islam è un personaggio che non ama circondarsi di persone esattamente “comuni”: due suoi amici sono lo sceicco Omar Abdel-Rahman, condannato per terrorismo negli Stati Uniti, e Omar Bakri, predicatore bandito dal Regno Unito. Il nostro inoltre dopo l'11 settembre è figura indesiderata negli Stati Uniti, così come è stato espulso da Israele in seguito ad una non troppo nascosta raccolta di fondi da destinare ad Hamas, fazione politica che come noto non ci mette né uno né due a compiere qualsiasi cosa gli venga in mente.

Nel 1989 si è poi reso protagonista di una memorabile esibizione, roba che non si ricordava dai tempi di “Wild World”. In seguito alla fatwa per blasfemia emanata dall'Ayatollah Khomeini nei confronti dello scrittore Salman Rushdie per via dei “Versetti Satanici”, Yusuf disse al London's Kingstone Polytechin che qualora Rushdie avesse bussato alla sua porta lui avrebbe “chiamato Khomeini per dirgli esattamente dove [Rushdie, ndr] si trova”, perché in fondo “la blasfemia il Corano la considera un'offesa capitale” e “la sentenza per Rushdie, come per ogni scrittore che abusa del Profeta, è la morte”. Innocuo, no? Ma il suo curriculum è ancora più vasto; ha minacciato in televisione lo scrittore Farruk Dhondy, “reo” di accusare l'Islam di “distruggere le menti dei giovani e di condurli al terrore suicida in cui hanno ucciso sei mila innocenti”. E per Yusuf il Niqab è giusto, perché “la bellezza e la forma della donna” non devono essere viste “da maschi che non le sono vicini”, dove la “bellezza” e la “forma” risiedono nello splendore del volto e nella figura del corpo, non certo nell'intimità o nella nudità di una persona.

Sempre nel 1988 affermò che “gli Ebrei non sembrano rispettare Dio né la sua creazione” aggiungendo che “non ci sarà giustizia fino a che la Terra non sarà riconsegnata ai legittimi proprietari”. La conclusione, a questo punto ovvia, è che “solo l'Islam può portare pace in Terra Santa”, e vedendo ciò che succede oggi, con Hamas contro Fatah, si può tranquillamente affermare che Yusuf non ci vide granchè lungo, come si suol dire.

Dopo aver letto cotante dichiarazioni [estrapolate dal Foglio del 30.11.2006 pag.1] è doveroso leggere quando padre Giuseppe Reale, presidente dell'associazione “oltre il chiosco”, organizzatrice del concerto di Napoli al quale Yusuf ha preso parte, ha detto. Per il religioso l'ultimo disco del cantante, “An Other Cup”, è la sintesi di “un Islam moderato che deve emergere, importantissimo perché nel loro mondo non c'è magistero, e in questi casi si comprende quanto sia cruciale il ruolo di un interlocutore come la Santa Sede, un'autorità cioè che impedisca derive fondamentaliste” [La Stampa, 04.01.2007, pag. 42]. Il disco, singoletto e videoclip molto occidentale a parte, non lo si è ascoltato. Ma sull'autorità che impedisca le derive fondamentaliste, sinceramente, non si potrebbe guardare altrove?


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