mercoledì, gennaio 03, 2007

Il microfono che scotta

I Queen vengono eletti dalla Bbc la band migliore in assoluto. E Paul, baffoni sul volto, si trovò da un giorno all'altro il cantante più scomodo della storia della musica.

Che poi la prima cosa che pensa una persona è: “Povero Paul”. Dove Paul sta per un tizio che, da un giorno all'altro, si è trovato sulle spalle un pesante fardello, quello di cantare nella band inglese migliore in assoluto, secondo un recente sondaggio della Bbc, i Queen. Paul, l'uomo che qualche sfizio se l'era anche tolto, un paio di singoli piazzati con i suoi precedenti gruppi, i Bad Company e i Free, ma nulla che si potesse anche solo lontanamente paragonare al clamore della parte operistica di Bohemian Rapsody, o alla glaciale teatralità di Innuendo, dove se All Right Now può andare bene per qualche raduno di bikers, We Are the Champions è canzone che conoscono anche i bambini, se non altro per via di qualche partita di pallone, detto solo per ribadire le proporzioni. Ora invece canta al posto di Mercury, e non solo nelle arene traboccanti di gente pronta ad accusarti alla prima incertezza, alla prima stonatura, perché la voce non è quella e figurarsi i baffi; nossignori, anche in studio, con quello che si preannuncia essere il primo disco della band migliore di tutti i tempi, secondi e terzi Beatles e Stones, mica dei Take That – quarti – o dei Duran Duran qualsiasi – quinti.

Povero Paul, massima onorificenza alla carriera per tutto ciò che è stato fatto addirittura prima che May e Taylor – Deacon, da signore, ha declinato l'invito limitandosi alla benedizione – alzassero il telefono e lo recuperassero da una nuova vita in perfetto anonimato, fatta da tournée nei Pub e da royalties per dischi venduti oltre 25 anni prima, il minimo sindacale per poter vedere la pensione garantita, con magari la villetta in campagna, il cane, la moglie, le tazze di té e due marmocchi a cui raccontare quanto era fico e rocckerrol papà negli anni '70. Paul, che presto dovrà farsene una ragione, se non altro per evitare di somatizzare lo stress psicologico che il confronto spietato impone, sarebbe meglio che in questi giorni non accenda la televisione, non legga i giornali, perché in Terra d'Albione sarà tutto uno scrosciare di ricordi, di nostalgie, di “Freddie Mercury l'Immortale”, come se sul palco non ci fosse invece lui, col perfetto nome inglese ed il cognome che beati quelli che se lo ricordano. Se poi non bastasse, anche Johnny Depp arriva a mettere la cigliegina sulla torta della depressione. Lui, attore sempre pronto ad inzupparci il biscotto non appena la ghiotta occasione si presenta ai suoi occhi, è stato chiamato ad interpretare Mercury. Dove – se gli sceneggiatori mostreranno segnali di clemenza per quest'ultima parte di storia – per fare Paul basterebbe un Denny de Vito solo un tantino più alto e un filino più snello, con un bel paio di baffoni a manubrio posticci.


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