giovedì, gennaio 11, 2007

Ti spacciano lo statalismo e il dirigismo per liberalizzazioni

Nel conclave di Caserta il governo ha promesso, per voce di Pierluigi Bersani, di affrontare la questione dei costi di ricarica dei telefonini, con la speranza di abbatterli e di cancellare questa macchia dall'onore del nostro paese, essendo noi gli unici che in Europa ancora paghiamo per ricaricare il cellulare. Quello che dai più viene visto come una liberalizzazione è, al contrario, un pesante intervento dello Stato. Perché va bene i costi di ricarica, va bene che le compagnie dovrebbero smetterla di lucrare. Va bene tutto, ma che uno Stato si intrometta nel libero mercato di aziende che, dunque, sono libere anche di fare i prezzi, imponendo la diminuzione di un costo e per di più strumentalizzando l'interesse sacrosanto del consumatore, è quanto di più statalista ci possa essere. Dopo l'affaire Telecom che ha messo in imbarazzo Prodi lo scorso autunno e le conseguenti dimissioni di Angelo Rovati, questo delle ricariche telefoniche sembra essere più che una salvaguardia dei consumatori un “piano quinquennale” [Alberto Mingardi, Libero 11.01.2006, pag. 7]. Bersani che afferma che “questa pratica delle ricariche è anticoncorrenziale” è quanto di più brutto si sia ascoltato da un Ministro del Governo da qualche mese a questa parte. Perché, come già ribadito, si tratta di libero mercato e di liberi prezzi e, in un paese come l'Italia con quattro operatori e migliaia di piani tariffari differenti tra di loro, tutto ciò si traduce in ottima concorrenza e in vasta scelta per il consumatore. Il quale consumatore, fosse un po' meno fesso di quello che è, saprebbe che sopra un certo “taglio” i costi di ricarica si abbassano in modo più che ragionevole: tre ricariche da 30 euro comportano il pagamento di 15 euro di costi, una ricarica da 100 euro comporta il pagamento di 5 euro di costi – insomma, non è roba ad uso esclusivo di laureati in Economia o, al massimo, di ragionieri. Il consumatore che saluta il Governo Prodi come colui che libera nos a costo adgiuntivo dovrebbe anche sapere che, senza la mano longa dello stato, sarebbe meglio fare l'abbonamento anche per il cellulare e pagare la bolletta. Se Bersani infatti vuole davvero tutelare il consumatore, dovrebbe prima eliminare il balzello che tutti coloro i quali hanno il cellulare con la bolletta sono costretti a pagare allo Stato. Proprio così: anche in questo caso siamo l'unico paese. La tassa, una concessione governativa che grava quindi su quanti hanno un telefonino in abbonamento anziché in modalità “ricaricabile”, è stata introdotta nel 1993, forse perché allora – l'alba della telefonia mobile, almeno in Italia – il cellulare era visto solamente come uno sfizio che solo i ricchi sfondati potevano permettersi, e per ciò andava punito con un bella tassazione. Lo stato da questo balzello riceve un gettito totale annuale di 600 milioni di euro, con una media a bolletta di 5,16 euro per un uso del telefonino privato e di 12,81 euro per un uso aziendale. Insomma, i soldini che finiscono direttamente nelle casse dello Stato non sono esattamente pochi e difficilmente questo rinuncerà a cotanta abbondanza. Anche se, e arrivo al punto, eliminata la tassa il consumatore potrebbe orientarsi maggiormente verso un telefonino ad abbonamento (per ora solo il 2% del totale) mentre per il momento, secondo un'indagine congiunta di Antitrust e Authority per le Telecomunicazioni [qui il pdf, particolare riferimento alle pagg. 52-60], al consumatore conviene comunque pagare i costi di ricarica: rispetto alla tassa governativa sono in media la metà esatta. Se il governo non strumentalizzasse l'insofferenza del consumatore – il quale, sa va sans dir, può sempre lasciare telefoni e telefonini sugli scaffali – taglierebbe la fastidiosa tassa e favorirebbe la migrazione verso gli abbonamenti. In caso contrario, si facesse i fatti suoi e, al limite, faccia intervenire l'Autorità competente senza prendere iniziative con tendenza dirigista. Ma da un governo delle tasse, che spaccia statalismo per liberalizzazioni, cosa ci si può aspettare? Se il prof. Rossi ha mollato il colpo, e polemicamente, un motivo ci sarà: non è stato il marcio ad andarsene dal buono, ma l'esatto contrario. All'inizio era l'economista Francesco Giavazzi a voler dettare l'agenda al governo, mentre ora quest'ultimo sembra farsela dettare da Beppe Grillo. Il quale, va da sé, s'incazza e rivendica il merito.


2 Commenti:

Blogger mugnolo ha detto...

Ci fosse uno statalismo che garantisse il mercato libero e il pluralismo istituzionale.
Qui si fa parecchia confusione. Le cose dette saranno anche giuste, ma si dovrebbe ripetere il lessico delle scienze politiche.

3:32 PM  
Blogger ordinegenerale ha detto...

Oibò, le cose sono due:
- non ho capito io, e quindi tu sostieni che ce ne fossero di statalisti come quelli dell'Unione i quali, secondo te, garantiscono "il mercato libero e il pluralismo istituzionale" e dunque è una gran cazzata, perchè questi qui altro che libero mercato - semmai, ficcano il naso ovunque (vedi Telecom)
- non hai capito te e sostieni che confondo alla base dirigismo con libero mercato. E magari mi sono pure espresso male io, ci mancherebbe - ma fammi dubitare

Saluti

6:31 PM  

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page