Mentre l’accordo concluso dalla Apple con la Emi non solo porterà ad una sempre maggiore quantità di musica venduta digitalmente priva di Drm, ma toglierà anche la casa di Steve Jobs dall’imbarazzante accusa di monopolizzare il mercato, un’altra tegola giudiziaria ha però colpito l’azienda di Cupertino. La Commissione Europea, dopo aver avviato una battaglia (non ancora conclusa) contro la Microsoft di Bill Gates, ha deciso di mettere sotto torchio la Apple. L’accusa che ha portato l’antitrust europeo ad avviare una procedura d’infrazione contro la Mela e contro la maggior parte delle case discografiche, è quella di aver violato la legislazione europea in materia di concorrenza, in particolare imponendo – nelle parole della commissaria europea alla concorrenza Neelie Kroes – “restrizioni territoriali” nell’acquisto di musica via internet. “I consumatori possono comprare la musica di iTunes soltanto nel paese di residenza e dunque subiscono restrizioni nella scelta del luogo in cui comprare, nella gamma di musica e nel prezzo”. Effettivamente per ogni paese esiste una versione dello store di Apple e non è possibile, ad esempio, per un italiano acquistare nel negozio francese poiché la provenienza viene controllata dalla banca di emissione della carta di credito e dall’indirizzo di fatturazione: per poter acquistare in un negozio straniero bisogna essere possessori di una carta di credito emessa da una banca di quello stato e con indirizzo di fatturazione anch’esso appartenente allo stato. La cosa non è andata giù all’antitrust europeo anche per una questione di prezzi: tra il negozio italiano e quello britannico la differenza per un singolo brano è del 18% (1,56 dollari in Gran Bretagna contro i 1,32 dollari per i paesi dell’area Euro). L’accusa però regge solo all’apparenza. Apple infatti fa sapere non solo di non aver “fatto nulla per violare le leggi europee” ma anche di aver sempre avuto nei suoi piani quello di creare un unico negozio virtuale valido per tutta l’Europa, “accessibile a tutti in tutti gli stati membri” ma di essere stata ostacolata in questo dalle “case discografiche e società di editori” i quali hanno spiegato che esistono alcune restrizioni legali sui diritti. Le case discografiche, infatti, al momento di siglare gli accordi con la Apple hanno imposto restrizioni territoriali a causa di precedenti accordi che le stesse avevano a loro volta stretto con le società che gestiscono i diritti di autori (come ad esempio l’italiana Siae). L’accordo, conosciuto come “accordo di Santiago” prevede infatti che chiunque voglia aprire un negozio di musica su internet possa trattare i diritti delle canzoni che mette in commercio solamente su chiave locale. Apple quindi più che in una posizione di accusa, ne esce infatti come vittima: l’alternativa a questo era rinunciare non solo quindi ad un unico store europeo, ma anche ai vari negozi locali. Anche la Commissione Europea in questo riconosce la casa di Steve Jobs come penalizzata, poiché “l’accordo è imposto dalle major della discografia e non è giustificato”. Già nel 2004 Bruxelles aveva cercato di contrastare l’accordo di Santiago e, dopo che il tutto era finito nel dimenticatoio, sembra ora aver intenzione di riprovare a distruggere l’accordo, mettendo in mezzo però la Apple, la quale ora ha due mesi di tempo per rispondere formalmente – per il momento la linea della società è di continuare “a lavorare con la Ue per risolvere ogni problema”. Se l’accusa di violazione delle norme sulla concorrenza dovesse essere confermata, sia per l’azienda produttrice di iTunes che per le case discografiche il rischio potrebbe essere quello di una multa molto salata. A discapito prima della Apple che pagherebbe per una colpa non sua, e poi del consumatore il quale proprio dall’antitrust dovrebbe essere tutelato.
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