sabato, marzo 28, 2009

quella volta che la musica è stata uccisa due volte, e sempre dalle stesse persone

Gino Castaldo, uno dei maggiori critici musicali italiani nonché storico critico musicale de La Repubblica, qualche mese fa ha pubblicato un libricino – un «pamphlet» dicono quelli che ne sanno – di denuncia, una vera e propria (secondo l’autore che ne ha fatto il sottotitolo del suo lavoro) «ode in morte alla musica». Il leggero volumetto («Il buio, il fuoco, il desiderio», Einaudi Stile Libero, 155 pp, 11,50€), che si beve tutto in un fiato, parte da una tesi ben precisa e facilmente intuibile: la musica è morta. Non nel senso che sia morta realmente, ma nel senso che i tempi moderni mancherebbero di una colonna sonora, è tutto un ricicciare il passato e manca l’innovazione vera e propria che possa dare un’impronta a questi primi anni del nuovo secolo. Insomma, manca la rivoluzione musicale che lascerà il segno, di quelle che ciascun decennio precedente al nostro ha, nel bene o nel male, avuto. E questa colonna sonora dei giorni nostri, avverte l’autore, non manca non perché non ci siano «musicisti di valore, molti che a livello individuale soddisfano la dignità della ricerca stilistica» bensì perché l’impressione che il Castaldo ne ricava è «come se qualcuno abbia premuto il tasto “pausa” agli ingranaggi dell’evoluzione culturale» e l’ascoltatore preferirebbe quindi illudersi che questo sia un «meritato letargo» anziché «un pigro abbandono al nulla». La dimostrazione alla tesi viene poi data attraverso una serie di esempi di quando la musica – ovviamente si fa riferimento all’ambito «popular» – è morta in seguito ad avvenimenti storici e il corollario alla dimostrazione, la via di uscita, viene data attraverso varie modalità di come la musica debba essere «liberata, per poterla riascoltare». Per quanto la tesi di Castaldo sia comprensibile, personalmente non la condivido, perché a grattare un po’ il sotto il mainstream, sotto quello che passa il convento, sotto quello che sembra essere l’unico elemento esistente e quindi fruibile, si trova non solo l’innovazione culturale (parolona di per sé fastidiosa), ma anche dell’ottima musica la quale solo per il fatto di non poter essere pubblicata sulle pagine di Repubblica (proprio per la sua provenienza non mainstream) mica vuol dire non possa essere un’ottima colonna sonora dei giorni nostri – e dei giovani nostri, sembra intendere Castaldo, i quali infatti non comprano l’ultimo disco di Mina e molti nemmeno quello degli U2.
Ma il punto di questo post, evidentemente, è un altro. Il libro di Gino Castaldo l’ho comprato sul finire dello scorso anno, appena uscito (quella in mio possesso è la prima edizione – novembre 2008). L’ho letto, come detto, tutto di un fiato. Ne ho apprezzato l’analisi, talvolta anche alcuni sfoghi ma – ripeto – non la tesi di fondo. Quello che interessa a me, ora, è una questione più cronologica che di merito. Ricordate: novembre 2008.
Salto nel tempo. Sul Foglio [28-03-2009, p. IX] Stefania Vitulli scrive una paginata in memoria della musica che fu. Quella dei suoi tempi – par di capire gli anni Ottanta, e il post-punk di Cure e Siouxsie & The Banshees, seppur viene difficile capire come, da adolescenti, insieme ai due gruppi sopracitati quelli della sua generazione avevano anche i Nirvana, ma vabbé. La musica che fu e che ora non si ritrova più nei dischi, semmai nei romanzi scritti da ex artisti del periodo o che hanno per protagonisti personaggi che ascoltano quegli artisti. Una piccola morte della musica anche in questo caso, sebbene sembrerebbe essere una morte della musica che piace alla Vitulli anziché – come nel caso di Castaldo – della musica di massa in generale. Anche qui, però, non entro nel merito più di tanto. Ciò che ha attirato la mia attenzione, nel pezzo della Vitulli, è è il modo in cui la musica è morta, modo che tanto mi ha ricordato qualcosa di già sentito, di già letto – ma di non citato, in mezzo a tante altre parole, questa volta citate e virgolettate, già sentite e già lette. Precisamente, quanto segue (i corsivi sono miei):
perché in fondo [la musica] è morta infinite volte, no? La musica è finita un’infinità di volte: quando Schönberg [sic!] disse che il futuro era “una melodia di timbri”. Quando David Tudor a Woodstock eseguì il silenzio intitolato di Cage 4’33’’. Quand precipitò l’aereo con a bordo Buddy Holly, Richie Valens e Big Bopper Richardson. Quando Sid Vicious è annegato nel vomito, Robert Wyatt è caduto da una finestra, Mark Chapman ha ucciso John Lennon e Eminem ha lasciato che il suo fan Stan si suicidasse prima di aver letto i suoi appelli disperati. E via così.

Urca, se l’avevo già sentito. E mica mi sbagliavo. Prendo in mano il volumetto del Castaldo, apro a p. 6 e leggo (i corsivi sono sempre miei):
La musica è finita un’infinità di volte. È finita quando Schöenberg disse che il futuro era una melodia di timbri [senza il virgolettato attribuibile al compositore]. È finita il 29 agosto del 1952 quando per la prima volta David Tudor (guarda caso a Woodstock) eseguì il silenzio intitolato da Cage [«da» Cage e non «di» Cage, come nel pezzo della Vitulli] 4’33’’, una suite in tre movimenti in cui il pianista si limitava ad abbassare e rialzare il coperchio del pianoforte per segnalare il passaggio tra un movimento e l’altro. È finita quando l’innocenza del rock’n’roll precipitò il 2 febbraio del 1959 con l’aereo che portava a bordo Buddy Holly, Richie Valens (che aveva vinto il posto in aereo giocandoselo a testa o croce col chitarrist Tommy Allsup, usando una moneta da 50 cent) e Big Bopper Richardson. È finita quando i Kraftwerk capirono che anche un’autostrada aveva una sua propria musica da esprimere, è finita nel vomito di Sid Vicious, è finta il primo luglio del 1973, quando Robert Wyatt cadde per motivi mai del tutto chiariti da una finestra del quarto piano, è finita quando Mark Chapman ha ucciso John Lennon, è finita quando i Devo hanno detto che Satisfaction l’avevano scritta loro che i Rolling Stones l’avevano copiata vent’anni prima, è finita quando Fabrizio De André decise di far iniziare Nuvole in sua assenza, annullando se stesso e con sé anche la figura del bardo-cantore, è finita quando Eminem ha lasciato che il suo fan Stan si suicidasse prima di aver letto i suoi appelli disperati, è finita quando si Sigur Rós hanno inventato una propria indecifrabile lingua dichiarando che non aveva alcuna importanza che qualcuno capisse o no quello che stavano cantando.

Al di là di quest’ultima affermazione sulla lingua dei Sigur Rós (il gruppo francese Magma, per dire di un esempio, negli anni Settanta cantava in una lingua inventata, il Koboïano), la considerazione sul chi ha copiato chi è fuori discussione. Ricordate la data del libro di Castaldo, novembre 2008? Bene, la Vitulli che non ha messo le virgolette forse credendo che non fossero necessarie avendo cambiato una preposizione e saltato un paio di gruppi nell’elenco, poteva almeno citare il libro come ha fatto per altri titoli. Una forma di correttezza, nient’altro.

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1 Commenti:

Blogger ordinegenerale ha detto...

Ricevo e volentieri pubblico:

Caro Ordine Generale,
(che non so a chi o che cosa corrisponda perché sono tencicamente incapace di arrivare al blogger dal blog - e se me lo volesse dire, a chi corrisponde, ne sarei lieta) in riferimento al suo post del 28 marzo sulla musica uccisa due volte, devo dirle che ha in parte ragione.

Nel pezzo originariamente destinato al Foglio non soltanto compariva la menzione del libro di Castaldo, che ho letto con piacere tempo fa, ma anche di molti altri e dunque la citazione si accoppiava perfettamente, nella stesura originale, con la sua origine autorale.

Tuttavia poi il pezzo, per esigenze di spazio è stato tagliato più volte, per esigenze stilistiche, rimaneggiato più volte (nessuno è perfetto e io meno di tutti) e, per esigenze velocistiche, a un certo punto si è persa la versione originale.

Passaggi redazionali che, a seconda di chi lei sia, potrebbe conoscere o meno.
Chi li conosce, sa che cosa come queste accadono spesso - credo che Castaldo lo sappia, ad esempio - e dunque sa che noi che si scrive per pubblicare sui giornali si è tutti vittime, una volta o l'altra - come lo sono stata anch'io - di omissioni involontarie del nostro nome.

Mi dispiace profondamente che sia rimasto nel mio pezzo un pezzo di Castaldo, sebbene modificato, come fosse stato scritto da me.
Non perché non stimi Castaldo o questo suo libro, ma perché ho questo viziaccio di stimare me stessa e dunque di evitare di appropriarmi di frasi altrui senza citarne l'autore: credo che ciò che scrivo io vada tenuto ben distinto da ciò che scrivono gli altri, senza che questo dia alcun giudizio di valore su questi "altri".

Pertanto questa mia è per ridare a Castaldo quel che è di Castaldo, se non altro attraverso il suo blog.
Ma suo di chi, poi?

"la Vitulli"


Ho già risposto in privato. Niente che valga la pena di essere riportato anche qui.

10:21 PM  

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