Perchè ho un blog?
a Giuba, che mi fa domande difficili
[si discuteva in generale] “Poi ti devo chiedere una cosa...” - “Dimmi...” - “Cosa ti spinge a scrivere su un blog?” - “Cazzo!” [pensieri...]
Quello che leggete sopra è un dialoghetto stretto stretto ed estrapolato dal suo contesto originale per ovvi motivi – ovvi nel senso che dei fattacci miei, ergo del discorso originale, non solo immagino che non ve ne freghi una cippa ma proprio non voglio rendervi partecipi – avvenuto ieri sera, all'uscita di un posticino dentro il quale io e un paio di amici abbiamo passato la serata. E il quesito, vien da sé, mi è stato proposto da uno dei miei due amici – lo stesso a cui questo post è umilmente dedicato – per la seconda volta nel giro di una decina di giorni. La prima ho cercato di glissare, seppur in modo indiretto, nonostante il tarlo comunque si fosse infilato nella mente e scavava, scavava. Alla seconda richiesta, sarà stata la stanchezza, sarà che ero a corto di motivi per eludere nuovamente il discorso e scansare un argomento che probabilmente non ho mai nemmeno affrontato intra me, ho deciso di rispondere. Cioè, ho promesso che l'avrei fatto, il che è sicuramente meno di una risposta diretta ma, converrete vero?, è certamente più di una negazione ad una richiesta. Perché rimandare ad oggi quello che avrei potuto fare ieri sera, vi chiederete – ti chiederai, e un po' me lo chiedo anche io? Semplicemente perché ieri sera non l'avrei potuto fare, non avrei potuto affrontare questo discorso, avevo bisogno di pensarci ancora un pochetto.
Non c'è un motivo per cui io scrivo su un blog. Chi mi ha posto la domanda sostiene che non ci deve essere un grande motivo alla base, dal momento che la gloria non si ottiene. Giusto, ma per quanto mi riguarda anche qualora ci fosse in palio una non meglio specificata “gloria” - in che campo? Per quali motivi? - il blog, questo sito che mi cliccate più o meno regolarmente, non lo tengo per questo. E nemmeno per raccontare i fatti miei alla gente. Purtroppo mi rendo conto che nella maggior parte dei casi è così, la ragazzina adolescente si crea il suo blog per dire al mondo – e ammesso che qualcuno sia ben disposto ad ascoltare – quanto è figo il suo compagno di banco, quanto è stronza la professoressa, quanto era difficile la versione di latino o, alla peggio (e in caso di maggiore età della titolare del blog), quanto era succoso il membro di F. - o, per par condicio o per non concedere troppa “quota rosa” - quanto era dolce la patatina di M. Niente di tutto ciò, i fatti miei raramente li ho raccontati su questo blog perché non ho deciso di aprirlo e tenerlo aggiornato (nei limti del possibile) come fosse un “diario segreto” - che trascenderebbe d'altronde la sua segretezza, essendo disponibile all'intero universo mondo – o un resoconto dei miei viaggi a spasso per la Terra, o i preparativi per la cena con la pupa o chessò io [piccola parentesi: per evitare l'obiezione, da parte di chi si vede dedicare questo post o da parte di un qualunque altro lettore di Ordine Generale, secondo la quale un paio di volte qualche fattarello personale l'ho infilato, preciso subito: è vero, ma l'ho fatto quasi sempre “tra le righe” e per rendere in qualche modo frizzante il tema centrale su cui dibattevo in quel preciso momento, mai per quel “voyeurismo all'indietro” secondo il quale qualcuno mette in mostra la sua vita in modo tale che qualcun altro sia automaticamente tenuto a farsi i cazzi suoi].
Certo, ma allora perché tengo un blog? Ammetto che prima di iniziare a scrivere non avevo ancora chiaro il motivo, e probabilmente questo non mi è chiarissimo nemmeno adesso, ma qualcosa piano piano sta venendo a galla. E quel qualcosa mi dice che al primo posto c'è una voglia di scrivere. Maturata nemmeno mi ricordo io quando, perché il tutto è stato così veloce, tanto veloce che all'inizio pensavo che il fuoco si sarebbe presto spento e invece, contrariamente a quelle che erano le mia aspettative, brucia ancora e sembra avere una buona riserva di legna. Sì, il motivo della scrittura mi convince. Mai avuto particolari doti né tantomeno mai pensato che un giorno potessi cimentarmi di persona in questa arte, mi ritrovo con voglie matte ed improvvise (non matte e disperatissime come lo studio leopardiano, perché con la disperazione verrebbe meno l'aspetto divertente e appagante) di avere in fronte a me la schermata bianca, e poco più sotto il tappeto della tastiera sul quale picchiettare forsennatamente i polpastrelli delle dita – tra un tiro di sigaretta e un sorso di caffè – in modo tale da ricreare un mio pensiero, non pensando minimamente – credetemi – che questo possa o meno interessare qualcuno al di fuori del sottoscritto. [altra parentesi: non so come fate voi altri – ammesso che voi altri lo facciate – ma io di solito tengo della musica in sottofondo. Da questa esperienza ho ricavato che una spirale jazz tenuta al debito volume favorisce il processo creativo che è una meraviglia, mentre impossibile concentrarsi su qualcosa di ossessivamente cerebrale ed articolato – nonostante il jazz lo sia, ma sembra fare eccezione – come il progressive rock, o peggio ancora qualcosa di eccessivamente rumoroso come tanta robaccia che il tizio al quale questo post è dedicato è sovente ascoltare, e far ascoltare in macchina anche a chi ha smesso da tempo. Il questo momento ho di sottofondo Gold di Ryan Adams, precisamente la canzone Firecracker, quella che viene dopo la splendida New York, New York e che anticipa la svolta intimista contenuta nel disco e che recita, in modo struggente e in quello che io chiamo l'allegro-triste, così: “Well everybody wants to go forever / I just wanna burn up hard and bright / I just wanna be your firecrakcer / And maybe be your baby tonight” - fossi in voi un'ascoltata gliela darei].
Dicevo del ricreare un mio pensiero. Ecco, il termine 'ricreare' forse non rende benissimo l'idea, sarebbe meglio 'fissare'. Perché non prendo un mio pensiero e lo creo nuovamente [-> 'ricreare'], correndo il rischio di stravolgerlo – pur non vedendoci niente di male in questo, basta che qualcuno non alzi la manina e dica “solo gli imbecilli non cambiano mai idea”, in quanto il proverbio è stra-abusato e spesso è usato come accomodante alibi – bensì prendo un mio pensiero e lo fisso, su un foglio di carta che poi verrà gelosamente archiviato. E fissando un pensiero si riflette su di questo, lo si fa proprio, lo si interiorizza. Ci si mette alla prova dinnanzi alle proprie opinioni. Probabilmente non me ne sono mai accorto, ma anche questo è un motivo per qui tengo un blog – visto che si riflette davvero sui propri pensieri quando li si fissano?
Certo sarei stupido a mettere la questione solamente sul polpettone finto filosofico. Sono un vanitoso – il dedicato confermerà, o per lo meno ridacchierà mentre legge – e scrivere e pubblicare sono uno sfogo alla mia vanità. E non pensiate che 1) questo possa essere in contrasto con quanto affermato sopra, ovvero che non penso al fatto che una mia opinione possa interessare qualcuno, perché lo sfogo della vanità serve a me, a lodarmi e imbrodarmi – talvolta entro il limite, talvolta oltre – nel vedere su Internet un mio pezzullo, una mia cagatina, un po' come quando scrivevo le letterine all'Indipendente, mica lo facevo perché così poi il direttore di allora – pensate che mi piaceva talmente poco che al di là del chiamarlo “caro” all'inizio delle lettere, non mi ricordo più il suo nome e non sto parlando di Gbg – pensava a quanto fossi bravo o fossi stupido, no, lo facevo perché al mattino, fuori dall'edicola e prima del caffè, erano sorrisi di compiacimento, per me e non dagli altri; 2) che non mi piaccia l'idea che qualcuno commenti i miei pensieri. Il fatto che non mi interessi in linea generale non vuol dire che non mi faccia piacere instaurare un dialogo, ricevere un commento benevolo da chi la pensa come me o un insulto da chi la pensa contrariamente – certo, con questi ultimi c'è più gusto, ma è così anche nella vita.
Detto questo credo di essere un blogger atipico. Non leggo gli altri blog, o almeno, non sono lettore assiduo. Ne leggo uno sempre, tutti i giorni, perché mi piace lo stile di scrittura e perché su molte cose il suo titolare la pensa in modo nettamente diverso dal mio, ed è l'unico blog per il quale non riesco a rinunciare nemmeno una cliccatina; poi ne leggo altri due o tre ma con scadenze decisamente lunghe, facciamo una volta ciascuno alla settimana, ma potrebbe essere approssimativo come dato. Forse proprio questa mia atipicità – Dio quanto sto diventando palloso... - deriva da – o porta? - appunto al fatto che non mi curo se gli altri mi leggono. Posso quindi non considerarmi un appartenente al “popolo dei segaioli” [Guia Soncini, Il Foglio 14.10.2003, pag. II], come la ex fogliante e grandiosa Guia Soncini li definì in un articolo storico che scateno le ire, appunto, dei blogger tipici?
Poi c'è un fattore di libertà non indifferente. Se io scrivo dei pezzulli semplicemente per fissarli – prima in mente immediatamente dopo su carta – e li tengo nella mia cartellina ben nascosta in “documenti”, tra l'ultimo mp3 scaricato e la cartella dei jpg porno – nessuno, vi prego, si senta chiamato in causa, è una coloritura per rendere bene l'idea – lascio a metà il mio obbiettivo: certo, non mi interessa che qualcuno li legga – spero che questo concetto sia ormai ben chiaro – però mica mi dà fastidio se qualcuno lo fa, e quindi devo pubblicarlo – sempre che soddisfi, me e non voi, in pieno, anche se di cazzate, per me non per voi, ne ho pubblicate -, è un modo per mettersi in gioco e per di più in totale libertà. È un luogo comune, è espressione abusata, ma nonostante tutto non ci trovo proprio nulla di sbagliato nella frase “il blogger è il direttore e l'editore di sé stesso”, per due motivi principali: il primo è quello di avere la libertà di fare quello che si vuole – togliere, aggiungere, allungare, accorciare. Il secondo: in questo modo ciascuno è responsabile di quello che scrive, e spesso lo è prima nei suoi confronti (vedi sopra) che in quelli degli altri. Forse è per ciò che nel mio essere un blogger atipico evito come la peste – anzi, mi schifa proprio – la lettura di quei blog che sembrano sms, che mandano baci, che raccontano giornate al cinema come se fossero pagine di una Smemoranda di 15 anni fa. Anche perché, detto per inciso, secondo me è gente che scopa – e esce, e si diverte, e va al cinema – la metà di quello che dice di fare. E, insomma, un po' di sincerità innanzi a quei lettori che, seppur non cercati, ci sono e verso i quali va tutto il rispetto di chi scrive. Sottoscritto compreso.
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