rassegnamoci: moriremo democristiani
“Piuttosto che votare la Dc, voterei il partito di Hitler” - Gianfranco Funari intervistato da Paolo Bonolis, Il Senso della vita, Canale 5, 15.12.2005
A L., l'unico amico democristiano che ho
perchè capisca, anche se ne dubito.
Non ha mica interamente ragione il Cav. quando divide la scena politica in due: comunisti e moderati, o da una parte o dall'altra. Sottovaluta un aspetto fondamentale della società umana tipicamente italiana, un aspetto che è natio del mondo politico ma che si è subito espanso a macchia d'olio, diventando un vero e proprio lifestyle, un modo di essere e tra le altre cose perfettamente trasversale rispetto al bipolarismo politico italiano. Sto parlando del democristiano, inteso inizialmente come politico, poi come supporter di quell'ala politica e ora – da una dozzina d'anni – personaggio non più inquadrabile politicamente – Udc, Dc, qualcuno in FI, talvolta anche in AN e dall'altra parte Margherita, Udeur, qualcuno pure nei Ds – ma perfettamente definibile nella vita.
Perché l'essere democristiano è, appunto, un modo di vivere e di pensare. Un modo malleabile dal momento che così come l'acqua anche il democristiano, ça va sans dir, non ha odore, non ha colore e soprattutto non ha forma: prende quella del contenitore entro il quale viene inserito. È adattabile ma non perché si fa manipolare. No, è adattabile perché si vuole adattare, è la sua filosofia di vita. E non pensiate che ce l'abbia con quegli stronzetti dell'Udc, che un giorno sì e l'altro pure sfilano uno per uno – coadiuvati da altri, ma il massimo dello sforzo lo fanno loro – i mattoncini della Casa delle Libertà. Non sto nemmeno pensando a Clemente “amnistia 4ever” Mastella, uno che se non cambia schieramento – o minaccia di farlo – continuamente non si sente a posto con la coscienza. No, il vero democristiano è così anche nella vita di tutti i giorni. È uno in perenne movimento: vuole comandare, sentendosi lievemente superiore agli altri, ma non ha le palle per farlo e cade alla prima prova. È uno che non dice mai 'sì' o 'no' ma sempre “adesso vediamo”, quando c'è da prendere una decisione. Il democristiano, soprattutto quello extra politica, vive di compromessi e per non dare mai dispiaceri a nessuno, rischia di prenderselo in quel posto sempre e comunque lui – e la storia politica della Dc sta lì come monito.
Cerca di fare di testa propria, il democristiano, ma poi non regge l'urto di chi gli propone un'idea diversa dalla sua – e si ritorna all'“adesso vediamo” di qualche riga sopra – e cerca il compromesso. Non dà un dispiacere ad un amico, anche se il suo capo – del democristiano, non dell'amico presumibilmente democristiano anch'esso – vuole delle modifiche al lavoro fatto dall'amico – spero che il concetto sia chiaro – e in quel momento funge da negoziatore tra il capo e l'amico, in modo tale da raggiungere quel compromesso che è tutta la vita che insegue – se in politica prima era quello “storico” con il Pci, ora è quello della leadership del centrodestra, e nella vita è proiezione di tutto ciò, ovviamente con il ridimensionamento delle dimensioni.
Si parlava di amicizia, per fare un esempio. L'eterno “non far soffrire nessuno” - concetto questo che però un politico democristiano non riesce ad applicare al Cav. e all'elettore di centrodestra – è riscontrabile anche nella mole di amicizie di cui il democristiano dispone. Non amicizie vere e proprie, per intenderci non quelle da “mi confido” (che poi il democristiano non si confida mai, perché il suo essere vagante, quasi uno zingaro del pensiero ma sempre moralmente superiore, porta a non avere segreti da confidare), bensì una rete di amicizie – vere o presunte tali – che vengono sempre buone al momento di seminare zizzania – ma dura poco – o di arrivare all'oramai celebre “compromesso”. Volete una prova provata di quanto sto affermando? Prendete uno come Cossiga, il picconatore, e fate caso quando parla: “il mio caro amico questo”, “il mio caro amico quello”, quando scrive le lettere è tutto un profluvio di “cari amici” a destra e a manca. Letteralmente, perché Cossiga è uno che definisce “caro amico” sia Berlusconi che Bertinotti nella stessa lettera, salvo poi sbugiardare a tempi alterni e in diverse riprese sia l'uno che l'altro, spesso a mezzo stampa. Ecco, Cossiga incarna parte degli stereotipi del perfetto democristiano, uno che insomma vota Forza Italia al Senato e la Margherita alla camera o viceversa; uno che il giorno prima delle elezioni vota la destra, il giorno dopo dice di aver votato la sinistra e avanti così tutto il tempo. Perché una delle regole fondamentali dei democristiani – ormai l'avrete capito – è: mai deludere gli “amici”, anche se questi non sanno di esserlo, la gente deve credere che lo siamo.
Si è capito che se c'è una persona che per indole, storia, carattere e comportamenti, odio ancor più profondamente dei comunisti sono proprio i democristiani? Quelli che dell'Italia sanno tutti i segreti (i politici) e quelli che credono di saperli (il democristiano inteso come uomo comune all'interno della società), ma che però non parlano mai – tanto da non essere nemmeno capaci di mandarti a cagare. Perché sarebbe profondamente contrario ai suoi principi, insomma, una parolaccia non si dice e poi nessuno si manda a quel paese, gli amici sono amici. Direttamente, ovvio, perché poi con l'altro il democristiano è solito parlare di questo ma soprattutto di quello.
In tutto questo c'è però un dato di fatto ancor più triste: per quanto possiamo star qui a scannarci, il democristiano contrariamente alle vere balene bianche che sono in via d'estinzione, non morirà mai. E ci costringerà a morire democristiani, tutti. Moderati o comunisti che possiamo essere.
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