venerdì, gennaio 04, 2008

il giovane Jovanotti fa finta di non ricordare

“La puzza di benzina mi fa girar la testa,
quando sto su di lei è proprio la mia festa.
Mi guardo quando passo sui vetri nei negozi,
mi accorgo che con lei mi sento proprio Fonzie”
Jovanotti, “La Mia Moto”, Ibiza Records, 1989.

Quando la tua carriera musicale, sia detto senza supponenza, è iniziata manovrata da altri, ha avuto un inatteso successo, ti ha portato a sfornare un paio di cosucce buone e poi a vivere di rendita con prodotti non altrettanto validi, vuol dire solamente che sei un artista di meno che discreto valore. Avevi un paio di cartucce buone, se non altro per far dimenticare un passato quantomeno imbarazzante e che però ti è servito, dopodichè il resto è manierismo puro, sapientemente dosato da ospitate celebri e da una spruzzata di no-globalismo e terzomondismo. Guarnito, infine, da una buona dose di politicamente corretto e da dichiarazioni che ti rendono indiscutibilmente a la page.

È senza dubbio il caso di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, in questi giorni in uscita con un nuovo lavoro con cui spera di risollevare un po’ le sorti degli ultimi anni e grazie al quale, ovviamente, è uno dei personaggi più programmati nelle radio italiane e più intervistati dai magazine fighetti, quelli disposti a ospitare sulle loro pagine le pontificate di persone alle quali i fili per essere manovrati dall’alto sono stati tolti da poco tempo. E proprio in una di queste interviste [Vanity Fair n.1, 9.01.2008 – pag.37] Jovanotti se ne esce, tra un paio di cose anche apprezzabili, con affermazioni alquanto discutibili. Il solito bersaglio facile facile, capace di mettere tutti d’accordo? Silvio Berlusconi, naturalmente. Colpevole, secondo Jovanotti, di “mandare i figli alla scuola steineriana che limita la Tv e poi bombardare di Tv i figli degli altri” – “e che Tv”, rincara il nostro cantautore. A parte che, metodo steineriano o meno, se un figlio si imbambola davanti alla televisione la colpa non è dell’imprenditore televisivo – che sia il Cavaliere o meno – o della programmazione dell’emittente, ma semmai del genitore che lo ha educato alla televisione – o lo ha fatto educare dalla televisione. Ergo, se si ha paura che la televisione possa avere influenze negative sui bambini, o che la televisione non più in generale ma intesa come “e che televisione” possa rendere il pargolo un futuro imprenditore amato-odiato in egual misura, basta tenerlo in altre faccende affaccendato: album di figurine, immagini da colorare, libri da leggere (ma poi, per carità, non lamentiamoci quando a vent’anni rifugge la sorca, o dalla sorca è rifuggito, nascondendosi dietro le pagine di un “buon libro”: è un contrappasso necessario). Le soluzioni, perciò, sono molte. Come molte sono anche le obiezioni a questo pensiero: la Rai, ad esempio, non è meno televisione nel senso di “e che televisione” di quanto lo possa essere Mediaset. A La7 parlano di piscio-merda-Berlusconi – e quindi anche lì, il Cav. è sempre presente. Sky non ne parliamo: chi ritiene, come Jovanotti, che Italia 1 sia il peggior modello televisivo esistente, nel pacchetto satellitare non vedrà altro che mille Italieuno e ne rifuggirà come dalla peste.

Il fatto, però, come sempre è un altro. Jovanotti potrà anche ironizzare su “e che televisioni” siano le televisioni del Cav., ma di certo non potrà dimenticare di quando proprio su quelle televisioni ci stava lui, alla mattina al pomeriggio alla sera, e grazie a quelle televisioni è diventato famoso per la massa la quale, per qualche anno buono, non lo considerava di certo un buon esempio (gli epiteti affibbiati a quel giovane che scimmiottava gli americani erano tra i più offensivi indifferentemente dalla fascia d’età della persona che li pronunciava). Come non può dimenticare di quando faceva gli spot per le prime console Nintendo, lui che di pubblicità ora non ne vuol sentir parlare anche se “è con quelle che si fanno soldi”, come se mettere la faccia per promuovere un bagnoschiuma fosse peggio che fare i dischi con il bollino di Emergency. Di quando era ospite nelle trasmissioni musicali della domenica a pranzo, coraggiosamente programmate dal dott. Berlusconi. Di quando il dott. Berlusconi, tramite i galoppini aziendali, commissionava al Cherubini le sigle delle prime fiction all’amatriciana (ricordate “Classe di Ferro” e la “storia di uno / di uno regolare / che non voleva andare / a fare il militare / Passo…Bum!”?), prodotte e mandate in onda proprio sulle reti allora Fininvest. O di quando, mossa commerciale insieme tra le più azzardate e patetiche della storia della televisione italiana, prese spunto dalla sua esperienza al servizio militare per organizzare un concerto-evento alla fine dei fatidici mesi, dall’eloquente titolo di “E’ finita!”, trasmesso poi in prima serata guarda caso proprio dalla Fininvest, e immagino non senza un bel tornaconto. E, dulcis in fundo, come potrà dimenticare Jovanotti di quando s’inventò quella storia della moto, per promuovere uno di quei dischi in cui i suoi burattinai cercarono di trasformarlo da deejay con pruriti rap in pseudo-metallaro cattivo, sporco, moto-dotato e circondato da sventolone (come testimoniano i cori della canzone). E di come, al termine di quella breve esperienza che lo portò per la prima volta finanche a Sanremo – insieme a un paio di infelici esibizioni a Domenica In, una di quelle poche volte che lo si poté vedere anche sulla televisione pubblica – organizzò un battage mediatico per la messa in premio del bolide a due ruote, con tanto di filmato – chissà trasmesso dove – in cui il cantante “regalava” la moto, ormai diventata inutile, ad un ragazzino che ancora nemmeno aveva la patente (e che, a scanso equivoci, rappresentava in pieno quello che era il target di pubblico del Cherubini).

Non ho il benché mimino dubbio circa il fatto che tutte queste cose il caro Jovanotti, che attacca Berlusconi perché tanto va di moda ma lo fa con argomentazioni ridicole, se le ricordi benissimo. D’altronde lo stesso faccio io, che addirittura di quel Jovanotti subii stupidamente il fascino e che, ancora all’asilo, avevo obbligato i miei genitori a comprarmi quei dischi cantati in pseudo-inglese, nonché uno zainetto che di tutta una serie di prodotti per la scuola griffati da Jovanotti era la punta di diamante. Un’operazione, si direbbe ora, perfettamente berlusconiana.

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1 Commenti:

Anonymous Anonimo ha detto...

ormai va di moda fare il compagnotto di sto ca**o

9:25 PM  

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