Dopo le elezioni dello scorso aprile, il cui risultato ha celebrato il ritorno del Cav. a Palazzo Chigi e una schiacciante vittoria del centrodestra su ciò che rimaneva della sinistra ancora rintronata dall’ultima gestione Prodi, alleatasi con i manettari dell’Italia dei Valori e in attesa di compattarsi con i centristi dell’Udc, proprio da sinistra è arrivato uno strano messaggio: occhio alla Lega di Umberto Bossi. Questo perché anche il movimento del Senatur si è visto in quelle elezioni incrementare il numero dei voti arrivando quasi al raddoppio rispetto alla tornata elettorale precedente, e per di più senza nulla togliere al cartello politico del Pdl formato da Forza Italia e Alleanza Nazionale, ma semmai andando ad intercettare, soprattutto al nord, molti voti dei delusi dall’ultima esperienza politica della sinistra operaia e radicale – soprattutto Rifondazione – nell’incarnazione “di lotta e di governo”, culminata con la presidenza della Camera di Fausto Bertinotti e con la fuoriuscita dal Parlamento al giro successivo.
Occhio alla Lega, veniva detto, quasi gli sconfitti si augurassero che proprio il movimento di Bossi, dopo averne intercettato buona parte dei voti, andasse anche a prendere il posto occupato nella scorsa legislatura dalla sinistra radicale, ovvero quello dei ricattatori e dei guastafeste, che tengono la maggioranza perennemente in bilico o la mandano avanti, al rallentatore, a colpi di “no” o di estreme richieste di fiducia per ogni singolo emendamento. Da destra, si replicava che non sarebbe mai stato così, che la legislatura 2001-2006 con la Lega è durata cinque anni - record repubblicano - e che dunque quelle erano solamente illazioni velenose, comunque alimentate dal fatto concreto che il sorprendente risultato elettorale imponesse a Bossi e ai suoi un pugno più duro per non tradire le attese dell’elettorato.
Dopo più di due mesi, pur tenendo presente che la luna di miele tra la maggioranza e gli italiani è ancora in corso e i primi 100 giorni di questo governo non sono ancora passati, si può continuare ad affermare che la Lega non rappresenta una minaccia per l’esecutivo guidato dal Cav.? Secondo me, no. E cerco di spiegare perché. Interpretando le voci della sinistra solamente come malaugurio, si è cercato invece di esorcizzare una preoccupazione che in fondo si aveva ben presente, e cioè che la Lega è stata l’alleato più fedele di Berlusconi – e continua a professarsi tale – solo a parole. Mi spiego meglio. Da quindici anni, più o meno dal passaggio del movimento padano da locale a governativo, l’unico vero obbiettivo della Lega è il federalismo fiscale; per ottenere questo, i leghisti sono pronti a fare patti con il diavolo, e tutto il resto è contorno. Fino ad oggi, per un motivo o per l’altro, non sono riusciti a portare a casa il risultato ed ora stanno strangolando la maggioranza per riuscire a conseguirlo, consci del fatto che potrebbe essere l’ultimo tentativo e che un’esperienza di governo fallimentare potrebbe portarli fuori dal gioco politico che conta, analogamente a quanto successo alla sinistra massimalista. Di tutto il resto del programma di governo non gliene può importare di meno, per cui stanno al gioco sia quando c’è qualcosa a loro conveniente sia quando certe decisioni non sono a loro congeniali: tutto pur di non perdere la guerra prima di dare inizio alla battaglia che ha come premio il federalismo fiscale. Ci tocca così assistere a dichiarazioni bossiane circa l’inadeguatezza dei ministri berlusconiani e la voglia di espandere i loro incarichi di prestigio – «la Gelmini è ministro dell’Istruzione e non è nemmeno maestra, la scuola deve andare alla Lega» – urlate ai comizi per accontentare l’elettorato duro e puro e, nel contempo, mettere in crisi un Cav. già di suo perseguitato dalla solita magistratura e dalla minaccia di vedere sparata nei ventilatori la solita tonnellata di merda penalmente – e, pure, politicamente – irrilevante ma tanto pruriginosa, i cui schizzi ci auguriamo non finiscano mai sui giornali. E proprio a proposito dei provvedimenti sulla giustizia – penso al provvedimento “blocca processi”, all’annunciato decreto sulle intercettazioni e al cosiddetto “lodo Alfano” per l’immunità delle prime quattro cariche dello Stato – le dichiarazioni della Lega sono sempre contornate da un alone di poco convincimento, di detto tanto per dire. E non bastano le contro-dichiarazioni dettate alle agenzie solo per smorzare sul nascere i toni di una polemica che si vorrebbe invece far scoppiare sul serio, ma non prima che sia passato il federalismo fiscale. La prova che la Lega tiene sotto ricatto il governo? Questa, sempre nelle dichiarazioni di Bossi: «non siamo imbecilli e Berlusconi non è scemo», suggello di quanto affermato fino a qui, ovvero che alla Lega interessa il federalismo fiscale e per questo – non sono imbecilli – non faranno casini fino a che non l’avranno ottenuto; dall’altra parte il Cav. – che non è scemo – deve stare attento a non crearli lui i casini con il federalismo, altrimenti la Lega potrà anche far finire questa esperienza prima dei cinque anni ai quali noi tutti aspiriamo. Il che potrebbe essere parte di un normale accordo elettorale tra due alleati, se non fosse che la Lega stessa per prima si dimostra poco affidabile su molti altri normali accordi elettorali tra alleati. D’altronde Bossi è cosi, pronto a gridare all’inciucio quando il Cav. e Veltroni discutono di riforme serie e importanti, e allo stesso modo pronto a trattare con chiunque pur di ottenere quello che vuole (chi si ricorda degli accordi sottobanco tra Maroni, attuale ministro dell’Interno, e D’Alema?).
Quanto conviene continuare a sottostare a questo ricatto? Poco, pochissimo. Ma pare non ci siano alternative. Se non che un’esperienza da ricattatore porti alla Lega la stessa “fortuna” valsa alla sinistra radicale, e quindi al prossimo giro anche i lumbard finiscano a fare gli extraparlamentari dopo che il popolo, democraticamente, ha deciso con il voto di non rinnovare la fiducia a chi poi persegue solo i propri comodi interessi di bottega e si dimentica di aver controfirmato patti congiunti di governo con gli alleati; a chi, insomma, si presenta come partito di lotta e la butta in sciagura una volta al governo. Se la stessa sorte, dall’altra parte, toccasse anche ai fascio-manettari e ai bambolotti in balìa del giustizialismo, sarebbe la fine dell’anomalia italiana.
Etichette: centrodestra, centrosinistra, Lega Nord, politica, Umberto Bossi
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