e chi siamo noi?
Scrive Enrico Romagna-Manoja, in un editoriale sul settimanale che dirige [Il Mondo, 29.08.2008 – pag. 9], che «dimostra un provincialismo antiquato» la mossa di Berlusconi, il quale ha chiesto ai suoi ministri di parlare in italiano durante gli incontri con i colleghi stranieri, e ha dato ordine a Franco Frattini di opporsi qualora l'Unione Europea decidesse di utilizzare solo l'inglese, il francese e il tedesco come lingue di lavoro. All'apparenza Romagna-Manoja parrebbe aver ragione. È difficile trovarsi in disaccordo con il direttore sul fatto che l'inglese sia un idioma «universalmente accettato in tutte le sedi come il mezzo di comunicazione più diffuso»: è vero, non è una boutade giornalistica del ferragosto. Così come non vi è nulla da dire circa il fatto che l'Italia «abbia sempre prestato pochissima attenzione al problema delle lingue straniere»: basta farsi un giro per i primi tre gradi di scuola – elementari, medie, superiori e talvolta pure università - per rendersene conto. Ma polemica per polemica – ché i giornali, si sa, ad agosto qualcosa da scrivere devono pur trovarla, e io con loro – mi piacerebbe aggiungere un paio di considerazioni. Dire che l'istruzione – e, aggiungo io, la mentalità – italiane non prestano attenzione nei confronti delle lingue straniere è corretto; ma citare «il nostro morboso e patetico attaccamento scolastico alle lingue morte come il latino e il greco» come causa di ciò mi pare quantomeno ingeneroso: costruzioni logiche e cultura inculcateci dalla professoressa del latino, ai tempi del liceo, sono merce rara, più del sapere il tedesco o lo spagnolo. Seconda osservazione: l'inglese, come lingua di lavoro va bene, e non servirebbe altro se anche i nostri politici la conoscessero bene; ma qui pare che la Commissione stia mettendo sullo stesso piano dell'inglese anche il tedesco e il francese. Tre lingue di lavoro per ventisette paesi equivalgono comunque ad un pollaio, e fa sentire privilegiati Berlino o Parigi a scapito di tutti – Roma compresa. A questo punto, stanti così le cose, giusto chiedere che venga introdotto anche l'italiano, lingua di grande fascino per gli stranieri. E chi siamo, il buco del culo dell'Europa pseudounita?
Etichette: lingue, Unione Europea
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