La serietà di un artista, inteso come di un artista ancora in vita (dove la vita, ça va sans dire, è la sua attività) si misura in vari modi. Il rapporto specifico che ha con la sua opera è senza dubbio uno di questi. E per «rapporto specifico» non s’intende solo il lavoro di stesura, di composizione – di produzione tout court, insomma – ma anche come l’opera prodotta viene veicolata al pubblico, grande o piccolo che sia. Rimaniamo su quest’ultimo aspetto: più grande, in termini numerici, è il pubblico che si aspetta la tua opera, più tu hai potere su di esso. Questo avviene almeno nel campo della musica: basti pensare ai grandi artisti e alla capacità manipolatoria che questi hanno sugli spettatori, sui fan ancor di più, grazie alla loro produzione artistica, che funge appunto da veicolo, da mezzo per raggiungere la gente. Se sei un grande artista, e conti su un gran numero di persone che ti sono affezionate, il momento di uscita di un nuovo lavoro è una grande attesa, attesa che ripaga il pubblico e – conseguentemente – ripaga anche te. Se sei un artista mediocre, o un artista ex tale, e del pubblico un pochetto te ne freghi e lo tieni buono solo per battere cassa, il momento di uscita del disco si trasforma in un rapporto tra gonzi: gonzo tu, artista, che ritieni il pubblico anch’esso gonzo, pronto ad accaparrarsi ogni scoreggetta che fatichi a trattenere dall’altra parte del rosone. Un pubblico che però non è più un pubblico di affezionati; è un pubblico distratto, un consumatore non abituale, che ritiene giusto acquistare un’opera (musicale, in questo caso, ma il discorso è estendibile ad altri contesti artistici) in un determinato periodo dell’anno, quasi fosse un obbligo morale. E l’artista, quello derubricato sotto la voce «mediocre o ex tale», sa che quel periodo dell’anno è per lui fondamentale per avere il giusto traino nella promozione e conseguentemente nella vendita del prodotto. Buttasse fuori un disco – una data a casaccio – il 13 di maggio, mediaticamente non sarebbe lo stesso – per fare quello ci vuole coraggio, coraggio che quasi sempre manca al mediocre. Il periodo dell’anno che possiamo ormai chiamare «periodo gonzo» per via del rapporto artista-pubblico di cui sopra, nella fattispecie, è il Natale, quando i negozi di dischi sono invasi da ogni tipo di raccolta, greatest hits, best of, live, cofanetto e chi più ne ha più ne metta. Spesso sono operazioni truffaldine, messe insieme dalla casa discografica cui mancava ancora l’uscita di un album per vedersi il contratto onorato in tutta la sua integrità – l’artista, nel frattempo, è già scappato previo pagamento di penale su un’altra major. Spesso ancora sono assembramenti di due-tre dischi già editi in una nuova confezione di cartoncino corredata da adesivo accattivante. Quasi mai è roba di un qualche particolare interesse. Come spero si sia capito, c’è gente che vive sul dischetto di Natale, e andrebbe in panico a far uscire qualunque altra cosa in un qualunque altro periodo dell’anno. Questo per dire che Natale è proprio arrivato e, puntuale come ogni anno, con lui anche Adriano Celentano, il quale approfitta del meccanismo fatto di gonzissimi regali comprati da gonzissimi acquirenti da donare a gonzissimi riceventi, e manda nei negozi la sua nuova raccolta («L’animale», Clan Celenano/Sony BMG), mascherandone l’inutilità con la solita foglia di fico dei due brani inediti: una cover de «La Cura» di Franco Battiato e una canzone dal solito sapore di ecoterrorismo rancido e ritrito, quella robetta che da quando ha scritto «Il ragazzo della via Gluck» gli serve per innalzarsi a profeta, dal titolo inquietante di «Sognando Chernobyl» – noi, per il momento, ci si dà una grattatina e si spera di ricevere in dono un disco uscito magari trenta o quaranta anni fa, che sia scelto con cura da chi fa il regalo in base ai suoi personali gusti.
Etichette: Adriano Celentano, musica, Natale
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page