Sky ora può smetterla di piangere.
Prima cosa: ieri mattina, sulle prime pagine di Corriere della Sera e Stampa, capeggiavano due corsivi non firmati, attribuibili ai due direttori, che prendevano giustamente le difese dagli attacchi del Presidente del Consiglio; la rassegna stampa ne ha dato piena lettura e, tacitamente, pieno consenso. Stamattina sulla prima pagina del La Stampa c’era ancora un corsivo non firmato contenente un’ulteriore difesa del quotidiano torinese, corsivo che si apriva però – e questo è il punto – con la notizia del pronunciamento da parte della UE («L’Europa riconosce la correttezza del comportamento del nostro governo sulla vicenda dell’aumento delle aliquote Iva sulla pay-tv» La Stampa, 04.12.2008, p. 1). Il giovane conduttore della rassegna stampa ha glissato, passando velocemente a presentare il quotidiano successivo. Stessa sorte capitata a Il Giornale: titolo di apertura «Iva sulla Tv, l’Europa spegne Veltroni» (04.12.2008), con il sottointeso che Veltroni la può anche smettere di fomentare una rivolta del telecomando a pagamento, avendo la commissione europea dato ragione all’Italia. E alla rassegna stampa cosa succede? Si legge il titolo in due secondi e si zooma sulla foto notizia centrale («La Lega: stop alle nuove moschee»), in modo tale che al telespettatore non venga lasciato modo di leggere, lentamente, il titolo principale. Vengono passati in rassegna altri giornali e si arriva al Foglio, il quale per onore del vero non sempre è presente in questa rassegna stampa. Oggi però è diverso, il quotidiano di Giuliano Ferrara in modo tra il serio e il faceto da un paio di giorni si è schierato con la tv satellitare e con la sua battaglia, considerandola giusta al pari di quelle condotte a suo tempo in favore delle televisioni del Cav. (un parallelismo, seppur debole, in effetti è presente). Nella quinta colonna di prima pagina, la «colonna sexy» come la battezzano spesso e volentieri dalle parti di Lungotevere Raffaello Sanzio, c’è il consueto articolo di Annalena Benini, che parla ancora della questione Iva-Sky, all’apparenza positivamente (per Sky). Dopo tutto quello scorrere veloce, è giunto il momento di dare lettura di un articolo, e viene scelto proprio questo, dall’attacco fulminante: «quanto sia superfichissimo Sky l’abbiamo detto. Come non potremmo mai più vivere senza, anche. Ci ha venduto per qualche decina di euro al mese un po’ di mondo: si può fingere di guardare David Letterman senza mai gettare un occhio ai sottotitoli, ci si può stordire di partite e di meravigliose serie americane, parlarne a cena, farci sopra della sociologia, sentirsi sempre appena tornati da New York. E in tempi di crisi si può anche taccagnare su quei quattro euro in più al mese e sul rigido Cav. che contro la sua stessa essenza tassa il sogno, la boccata d’aria, le ultime risate» (Il Foglio, 04.12.2008, p. 1). Il conduttore è in un vero e proprio brodo di giuggiole, non gli par vero di poter parlare – anche oggi – così bene dell’azienda: qualcuno ai piani alti sarà sicuramente contento. Noi, lettori attenti, un po’ meno: perché del resto dell’articolo, nella rassegna stampa, non è dato conto: saltato a piedi pari il passaggio sulle uova di struzzo protagoniste del nuovo spot tv anti-governativo («avranno cinque milioni di entusiasti abbonati, queste uova?»), sulla maestrina Ilaria D’Amico («a guardarla che incanta di pomeriggio i tifosi appellandosi accorata alle famiglie […] viene un po’ da ridere») e sulla «guerra delle brioches combattuta da quelli che ritengono miserabile la social card e poi si indignano perché il povero compagno Murdoch sarà costretto […] ad aumentare di quattro euro il canone della pay-tv, ovvero [della] televisione satellitare a pagamento preferibilmente vista su televisori al plasma appesi ai muri, è follia prenatalizia, è puro intrattenimento». Per non parlare – ma noi qui l’abbiamo già fatto – della questione di SkyMagazine «che è orrendo e non è nemmeno omaggio».
Ma il capolavoro, nella rassegna stampa di questa mattina, è stato raggiunto in un altro momento, e riguarda il fatto che se l’UE – è stato ammesso, a denti stretti – ha parlato di livellamento delle aliquote, lo avrebbe fatto la ribasso (cioè, si sarebbe dovuto portare tutto al 10%, non al 20%). Ora, che questo sia il pronunciamento ufficiale dell’UE non mi sembra, anzi, pare che in questo senso sia data facoltà al governo di decidere. Nonostante tutto, presentando la prima pagina de Il Messaggero, il giovane giornalista è arrivato addirittura a modificare l’occhiello del titolo principale del quotidiano romano, portandolo da «Bruxelles chiude il caso: l’allineamento delle aliquote andava fatto» (Il Messaggero, 04.12.2008, p. 1) a «Bruxelles chiude il caso: l’allineamento delle aliquote andava fatto al 10%», con tanto di spiegazione al gentile pubblico. Ma, di grazia, da dove salta fuori quel «al 10%»? Dai piani alti della redazione? Dal manager di Sky? Da Rupert Murdoch in persona? Suvvia, possiamo star qui a ragionare sulla questione più o meno opportuna di alzare tutto al 20% o di tenere tutto al 10%. Però, spulciando qua e là documenti europei (VAT Rates applied in the Member States of the European Community, situation at 1st July 2008, doc. 2441/2008 – EN, reperibile qui) si scopre che in Danimarca l’Iva sulle pay –tv è al 25%, in Germania al 19%, in Irlanda al 21%, in Olanda al 19%, in Portogallo al 20%, in Finlandia al 22%, in Svezia al 25%, nel Regno Unito al 17,5%, in Spagna al 16% (solo per citarne alcuni). Tutti valori corrispondenti all’aliquota più alta nei singoli paesi, ovvero a quella che in Italia è al 20%. Perché dovremmo abbassare tutto al 10% (regime di cui, ricordiamo, Sky ha goduto fino all’altro giorno, quando i paesi sopra citati applicavano già quelle aliquote)?
Sky offre un servizio importante, è fantastica, dà assuefazione e chiunque abbia avuto una nevicata sulla parabola nei giorni scorsi (con conseguente oscuramento temporale del segnale) può capirmi. Per dirla con il Ministro Tremonti: «Toglietemi tutto ma non Sky». Ora mi pare però che si stia un attimo esagerando.
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