domenica, aprile 05, 2009

Il Cav. ha ragione da vendere, altro che censura.

«Sono tentato da azioni dure». Queste le parole di Silvio Berlusconi pronunciate da Praga e riguardanti l’informazione italiana. Rea, secondo il premier, di dare troppo spazio alle sue presunte gaffe e di usarle in modo strumentale contro di lui. Rincarando la dose, secondo il Cav. queste presunte gaffe sarebbero addirittura inventate da giornali e tivù (più i primi, in verità) proprio per creare il pretesto dell’attacco e nascondere invece le cose significative. Il riferimento ovvio è da ricercarsi nei fatti di Londra e di Strasburgo, ultimi in ordine cronologico. A Londra è successo questo: scattata la foto di rito con i leader del G20, il Cav. ha chiamato il Presidente Barack Obama a gran voce facendo risuonare per la sala il grido «Mr Obama». La Regina Elisabetta, che è attempatella e di buone maniere, ha chiesto agli altri presenti perché Berlusconi dovesse sempre urlare. La cosa è stata ripresa immediatamente in Italia con titoloni alquanto ridicoli, e derubricata come l’ennesima gaffe rincarata dal fatto che Berlusconi sarebbe anche un rozzo incapace di osservare il galateo richiesto in presenza di un reale. In conseguenza di ciò, lo staff della regina ha dovuto emanare un comunicato nel quale si legge che non c’è stata nessuna gaffe, né tantomeno la Regina si è sentita offesa – e, per dirvi a quale livello siamo arrivati, qualcuno ha malignato che il comunicato sia stato emesso sotto pressioni dello stesso Silvio Berlusconi. Il secondo episodio cui abbiamo fatto riferimento ha visto il nostro Presidente del Consiglio «saltare» il saluto ufficiale con Angela Merkel perché impegnato al telefono con il Premier Turco Erdogan. Anche in questo caso si è assistito a polemiche che dipingevano Berlusconi come irrispettoso, e fa nulla se la telefonata con Erdogan fosse importante proprio in ottica Nato – per i più piccini: il contesto in cui avveniva l’incontro – e non una chiacchiera tra vecchi amici (e dalla Turchia non hanno smentito). Non conta nemmeno che Berlusconi abbia ammesso che la Merkel fosse a conoscenza della telefonata, e che quindi di tutto si è trattato tranne che di un dispetto. L’unica cosa che conta, in questi casi, è l’attacco riservato ai media dal Cav., e non come i primi trattino quest’ultimo. Dopo l’esternazione di Berlusconi si è sollevato il coro di protesta tipico di chi grida all’emergenza democratica: il sindacato dei giornalisti ha giudicato «di gravità inaudita» le parole del Premier, dimenticandosi almeno per un momento delle gravità cui sono sottoposti molti giovani che vorrebbe rappresentare e difendere, mentre il segretario del Pd Franceschini ha avuto addirittura il coraggio di definire quello di Berlusconi come un «ciclo in fase finale», da qui il motivo degli attacchi. Il che detto da un politico il cui ciclo, ammesso sia iniziato, ha già la data di scadenza impressa (ottobre) fa alquanto ridere. Il leader dei reazionari di estrema destra Antonio Di Pietro ha chiosato, come suo solito, che il Cav. vuole avere il controllo totale sulla stampa; anzi: «anche» sulla stampa – due o tre allocchi continueranno a cascarci, ma tant’è.
Sta di fatto che anche in questo caso le parole di Silvio Berlusconi vengono travisate, vengono male interpretate, vengono strumentalizzate. Il Cav. parla di «dure azioni», e tutti subito a gridare: censura! Ma quale censura, scusate? Il Presidente del Consiglio non può ovviamente in alcun modo intromettersi nel modo con cui i media organizzano le notizie per poi darle in pasto all’opinione pubblica, se questo intromettersi vuol dire dare specifiche indicazioni. Potrà però, e qua credo siamo tutti concordi, dire la sua? In fondo, ognuno di noi lo fa. Potrà dire che si è rotto le scatole di veder strumentalizzata ogni sua azione tanto più che, come abbiamo visto, negli ultimi due casi non si è trattato nemmeno un po’ di quello che giornali e televisioni per un paio di giorni ci hanno fatto credere? Anziché gridare alla censura, il nostro caro popolo democratico e perbene provi a immaginare una «dura azione» consistente in una querela, oppure in un silenzio stampa del Presidente del Consiglio. Atti semplici, cui ogni persona si sottoporrebbe qualora il suo pensiero, il suo comportamento, le sue dichiarazioni fossero travisate un giorno sì e l’altro pure, a discapito delle sue azioni. Una volta pensato a questo, sempre il popolino democratico rifletta sulla sua piccolezza – e, una volta tanto, stia zitto.

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