venerdì, aprile 27, 2007

Buffoni, Berlusconi è stato assolto.

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giovedì, aprile 26, 2007

super Lino.

e porta pure scarogna!”
Lino Jannuzzi a proposito di Romano Prodi, Ottoemezzo, La7, 26.04.2007

La scena è stata di quelle epiche, da farsela sotto dalle risate tanto era genuina e spontanea. Siamo a Ottoemezzo, su La7. Il tema della trasmissione è Berlusconi e i recenti atti di presunto buonismo - dalla mano tesa al nascituro Partito Democratico fino ai complimenti per il ritorno in televisione di Enzo Biagi. Ferrara chiede ai suoi ospiti – Maurizio Belpietro, Vittorio Feltri, l'On. Mara Carfagna e il Sen. Lino Jannuzzi – per quale motivo Berlusconi con Prodi non ha mai avuto, nel corso degli anni, lo stesso feeling dimostrato con, ad esempio, Massimo D'Alema. Dice Ferrara che sì, certo, qualche scambio di convenevoli tra i due pure c'è stato, ma spesso era riconducibile a situazioni più umane che politiche, portando come esempio i recenti malori del Cav., durante i quali Romano Prodi ha dimostrato verso l'ex Premier tutta la sua solidarietà.

Stop, fermo immagine. Perché è qui che il momento di sincerità disarmante, magari un po' gonza, ma onesta e genuina è andato in onda. Proprio mentre Ferrara ricordava gli acciacchi fisici di Silvio Berlusconi e i successivi auguri di Prodi, Lino Jannuzzi con tutta la sua verve e tutto il suo incredibile papillon di cui era munito negli studi de La7 è intervenuto, riferendosi al leader dell'Unione, con un lapidario “e porta pure scarogna!”. Fantastico, con Belpietro inquadrato che a stento è riuscito a trattenersi e Ferrara che rimproverava il senatore chiedendogli di non cadere nelle volgarità perché, insomma, “non è degno di lei” - ma c'è da credere che, fortunatamente, i due si siano fatti un paio di grasse risate una volta spente le telecamere. Qualche anima pia, per favore, metta il filmato su YouTube.

fenomenale.

A seguito di un incidente d'auto, nel quale era alla guida, nel 1980 fu condannato per omicidio colposo a un anno e tre mesi per la morte di tre persone che erano con lui. [1]

Ho avuto un incidente di macchina nel 1980, guidavo io, mi sono salvato per miracolo, ma sono morte tre persone che erano con me e sono stato condannato per omicidio colposo a un anno e tre mesi. [2]

La macchina va equiparata a un’arma. Chi la usa per uccidere deve farsi trent’anni di galera. [3]

Dunque – mi faccia capire, gentile Grillo – quando ne morirono tre, nel 1980, e al volante era lei, e si beccò un anno e tre mesi per omicidio colposo, le diedero 28 anni e 9 mesi in meno di quanto meritasse?”. [4]

[1] Wikipedia.it
[2] La Paga di Giuda, beppegrillo.it, 16.09.2005
[3] Vorrei che tu..., beppegrillo.it, 25.04.2007
[4] malvino, 26.04.2007

mercoledì, aprile 25, 2007

spiazzante.

Prendi un disco dallo scaffale – e non importa né il disco né l'artista in questione, semmai è meglio occuparsi dell'etichetta: si tratta di una ristampa Virgin Records del 2006 di un long playing del 1981. In quanto tale, la ristampa, niente di che: la solita ri-masterizzazione digitale di vecchi nastri analogici, a quanto pare compiuta ancora a 16 bit anziché a 24 ma poco importa, sono sottigliezze che all'uomo della strada importano ben poco, giacché la differenza tra il 16 e il 24 non la capisce. La cosa che ti colpisce, che ti fa sobbalzare dalla sedia, che ti rende forse l'ultimo dei romantici che ancora entra in un negozio di dischi e – miracolo! - esce passando dalla cassa solo dopo aver dato una bella strisciata alla carta di credito, è un'altra. Sta dentro il libretto – tra l'altro, per aggiungere una piccola nota di colore: il libretto per essere una ristampa fa schifo – e ti investe, piena di carattere. Una piccola noterella, all'apparenza, piazzata in corpo 8 proprio tra i crediti del disco e il pippone su tutti i diritti che sono negati all'acquirente. Sembra innocua, ma è un attestato di stima in piena regola, un proclama di fiducia nei tuoi confronti, proprio mentre tu con la faccia da pesce lesso sei lì che ti rigiri il piccolo foglietto di carta plastificata tra le mani. Dice così: “thank you for buying this music and for supporting the artist, songwriters, musicians and others who've created it and made it possible”. Spiazzante nella sua onestà, tanto che – sempre con la faccia da pesce lesso – tra i denti sussurri un you're welcome di tutto cuore.

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se in Italia i coglioni sono il doppio delle teste di cazzo - come si dice, siamo a posto.

Oggi a Milano c'è stata la sfilata delle teste di cazzo – se ci si concede estremo livore e non si pensi all'organo sessuale maschile, pur nel suo spregevole significante ora usato, come ad un qualcosa di negativo. Sì, teste di cazzo. D'altronde ogni tanto bisognerà pur chiamare le cose con il loro nome. E per una volta questa simpatica espressione, purtroppo negli ultimi tempi assunta troppo spesso come espressione di bonario complimento andando a perdere tutto il suo sacrosanto spregevole significato profondo, non è associata agli uomini politici che erano in Piazza Duomo a commemorare il 25 aprile, festa della Liberazione italiana dal nazi-fascismo. Nulla da dire quindi sul Presidente della Camera Fausto Bertinotti e sul Sindaco del capoluogo lombardo Letizia Moratti – citando due personaggi politicamente agli antipodi, oggi commossi e concordi e per altro entrambi fischiati appunto dagli imbecilli di cui sopra.

Si parla dei giovani dei centri sociali, dei soliti cazzari e lazzaroni – e persino sporchi, gente che deve aver preso come una vittoria personale il decalogo del buon voncione, ma ci viene detto a tutto vantaggio delle risorse idriche, stilato ieri sul Corriere della Sera dal presidente del Wwf Fulco Pratesi. I soliti e stolti teppistelli da strapazzo, pronti a farsi anche 500 km pur di raggiungere una piazza e rovinare, con la loro presenza e con le loro flatulenze sotto forma di fischi, anche le celebrazioni nazionali importanti come quelle del 25 aprile. Personaggi pronti a scandire slogan politici, a portare in piazza bandiere con la falce e il martello, a urlare i loro slogan sconditi e falsi. A festeggiare la liberazione da un regime, da una tirannia, da una cosa orribile come il nazi-fascismo a colpi di stendardi, simboli e cori presi pari pari da un altro regime, altrettanto – o forse ancor di più – terribile e sanguinario e sanguinoso di quello nazista.

Parliamo di teste di cazzo, appunto – e vedete che tutto torna – che sono pronte a festeggiare la liberazione da chi ha ucciso, tra gli altri, montagne di ebrei salvo poi fischiare i cortei che sfilano dietro la bandiera israeliana e la stella a sei punte – e meno male che questa volta ci è stato risparmiato il rogo dello stendardo: voialtri persone così come le appellate? Enormi glandi umani – con tutto il rispetto per la parte più ampia e sensibile dell'organo maschile - soggetti imbecilli, di un'imbecillità tale da far venire conati di vomito a chiunque sia costretto, suo malgrado, a vedere scene indecenti e senza decoro alcuno come quelle riprese da tutti i telegiornali della sera. Domani, sicuramente, qualche altra testa di cazzo, degna compare di lor signori della testadicazzitudine, proverà anche a difenderli – loro e i brigatisti verso i quali oggi in piazza è stata anche mostrata solidarietà dai compagnucci – su qualche giornaletto strampalato senza senso alcuno e che, proprio in virtù di ciò, sta raggiungendo il collasso economico – perché in fondo le teste di cazzo ci sono, ma non sono sufficienti a far fuori il venduto minimo di un giornale sotto il quale, per dirla come si dice, sta lì minaccioso il break even point ad annunciare il passo immediatamente precedente al crollo.

E scusate lo sfogo, e scusate il linguaggio, e scusate la cattiveria e scusate finanche la brutalità. Ma, cari lettori, consideratele sincere, oltre che a me non avvezze. Sapete bene quanto l'usare un'espressione come “testa di cazzo” - mai ripetuta così tante volte in un pezzullo da qualche battuta e mai così correttamente – non sia nelle mie corde: c'è modo e modo di offendere. Ma parlando di personaggi che hanno, per quanto mi riguarda, la stessa considerazione dei rifiuti organici che tra qualche minuto chiuderò nel loro bravo sacchetto biodegradabile, non mi veniva in mente altro. E pensare che di mettermi davanti al computer nemmeno ne avevo voglia, stasera. Spero possiate perdonarmi.

lunedì, aprile 23, 2007

Nonno Silvio.

Prima a Milano “lo sussurravano tutti”, tanto che Dagospia lo scrisse in anticipo: era il 18 di aprile, cinque giorni prima della conferma ufficiale. Che arriva da un giornale di famiglia, il mondadoriano Chi, e dunque non può che essere vera: Barbara Berlusconi, la bambina del Cav., è incinta di tre mesi ed è “davvero felice”, lei e il suo ragazzo, si capisce bene. Il “proseguo della tradizione” – lei i suoi fratelli Eleonora e Luigi sono nati fuori dal matrimonio – è stata la reazione dei maligni. Tutti gli altri invece non aspettano altro che vedere nonno Silvio alle prese con il nipotino – o la nipotina, ché i due pargoli pare vogliano tenere per loro il segreto – e magari un po' di pace in famiglia, con nonna Veronica affaccendata con biberon, pappette e passeggini anziché con le missive a la Repubblica. Un lieto annuncio, come si suol dire in questi casi. Ancor più lieto perché, per dirlo con la giovanissima coppia (lei ha appena 23 anni, lui qualcuno in più e vive e lavora a Londra), il bebè non se lo aspettavano. E tanti auguri.

il governo in picchiata.

Ad Aprile 2006 l'Unione ha vinto le elezioni politiche, a luglio dello stesso anno – e considerando il sostanziale pareggio delle elezioni – l'indice di gradimento era al 63%. Oggi, secondo l'ultimo sondaggio commissionato da Repubblica.it e quindi attendibile come “amico”, la fiducia del governo è al 42%, altri 4 punti percentuali in meno rispetto ad un mese fa.

Sempre secondo il sondaggio, il partito democratico è dato al 27%. Il che, pur considerando tutte le delicatezze da usare nel caso dei sondaggi, è un risultato tristissimo: meno della somma delle percentuali di Ds e Magherita alle ultime elezioni politiche.

Falsità.

Sono falsi. Come i passaporti.

sabato, aprile 21, 2007

l'università degli sprechi

Un interessante articolo su l'Indipendente [“37 corsi di laurea con uno studente”, 20.04.2007, pag.1, reperibile qui] ci fa sapere, come si evince facilmente dal titolo, che in Italia esistono ben 37 corsi universitari frequentati da un solo studente. Ma non solo: ce ne sono 10 frequentati da due studenti e altrettanti frequentati da 3 studenti. E via a seguire, fino ad arrivare all'esorbitante cifra di 323 corsi frequentati solamente da 15 studenti. Inutile dire che di corsi di laurea di questo tipo non se ne fa nulla nessuno, tantomeno il singolo studente che è costretto a non imparare e a far pratica sul niente, essendo l'unica persona interessata a prendere una laurea in una determinata specializzazione. L'escalation universitaria, che ricordiamo essere finanziata dallo stato, ha portato ad aver oggi ben 6.300 diversi corsi di laurea, una cifra impressionante se consideriamo che solamente nel 2000 i corsi erano già 2.444.

I rettori, che della creazione di nuovi corsi di laurea dei quali nessuno sentiva la necessita sono i principali fautori a quanto pare inconsapevoli, nel frattempo trovano anche il tempo di lamentare che l'università italiana è in rosso per 1,5 miliardi di euro.

venerdì, aprile 20, 2007

se la vittima è "moralmente corrotta", la Corte ti annulla la pena [di morte].

Sei giovani iraniani, tutti intorno ai vent'anni, hanno ucciso 5 persone. Ben tre tribunali si sono espressi, come prevede anche il codice islamico, per la pena di morte, ma la Corte Suprema di Teheran è riuscita ad annullare tutti e tre i verdetti. Il motivo? Non sarebbero assassini per così dire “gratuiti”, ma avrebbero ucciso per un motivo nobile: tutte e cinque le vittime infatti risultavano essere – secondo non meglio specificati canoni, non di certo giurisdizionali - “moralmente corrotte”, e tanto basta al codice penale iraniano per tramutare la pena da condanna a morte al cosiddetto “denaro di sangue”: una multa di 40 mila dollari ai famigliari della vittima, come se il valore di una vita avesse un prezzo di mercato imposto dallo stato.

Ma dove stava la morale corrotta nelle vittime? Per dire, due dei cinque erano stati accusati dai giovani basiji di aver consumato rapporti sessuali extramatrimoniali, nonostante alcuni quotidiani locali riferiscano che i due erano semplicemente stati visti passeggiare come due fidanzati, presumibilmente mano nella mano e qualche sguardo languido.

Ecco su cosa cadrà il Partito Democratico

Si fa un gran parlare di Partito Democratico, e ancor di più in questi giorni dove sono in corso i congressi dei due partiti, Ds e Margherita, che del costruendo Pd dovrebbero esserne l'ossatura. I giornali, come giusto che sia, dedicano paginate ai congressi, ai commenti, a chi è convinto della bontà del partito e a chi invece medita di scappare dai propri simboli – spesso, sbattendo la porta – prima che la fusione tra la Quercia e i Dl avvenga. Idem fanno le televisioni con i telegiornali e i talkshow e può capitare che anche sui mezzi pubblici si debba assistere ad appassionati dibattiti circa il nascituro soggetto. Molti sono quelli convinti della bontà del progetto, e che hanno cercato di spiegarlo in tutte le salse possibili; ma molti anche quelli che considerano l'impresa un pastrocchio, un esempio di compromesso storico fra post comunisti e post democristiani che sarà destinato ad implodere per via delle diverse culture di provenienza. Insomma, il Partito Democratico tiene banco.

In tutto questo chiacchiericcio, a dire la verità, mi sembra strano che nessuno si sia accorto di una cosa fondamentale: il progetto non è destinato a fallire perché c'è una competizione ferrata per il posto di leader, o perché i Ds o la Margherita reclameranno ciascuno più peso dell'altro. No, la cosa mi pare molto più semplice, e sebbene nessuno la voglia prendere in considerazione causa l'eccitazione e la frenesia di costituire questo benedetto partitone quanto prima: la Margherita ha dichiarato, per l'ennesima volta, di non voler entrare a far parte del Partito Socialista Europeo, al quale già aderiscono i Ds che a loro volta vorrebbero aderisse anche il Partito Democratico. Se le premesse della semplice collocazione europea non trovano d'accordo i due principali costruttori di questo nuovo simbolo, è facile capire come entro breve ci scapperà una bella – e, presumibilmente definitiva – litigata. Scommettiamo?

giovedì, aprile 19, 2007

Carmen XVI

«Pedicabo ego uos et irrumabo, Aureli pathice et cinaede Furi, qui me ex uersiculis meis putastis, quod sunt molliculi, parum pudicum. nam castum esse decet pium poetam ipsum, uersiculos nihil necesse est; qui tum denique habent salem ac leporem, si sunt molliculi ac parum pudici, et quod pruriat incitare possunt, non dico pueris, sed his pilosis qui duros nequeunt mouere lumbos. uos, quod milia multa basiorum legistis, male me marem putatis? pedicabo ego uos et irrumabo» Catullo, carmen XVI




«Io ve lo ficcherò in bocca e nell'ano Aurelio bocchinaro e Furio culattone, a voi, che per certi miei versi, è vero, un po' sconci, mi credete un degenerato. Un poeta all'altezza dev'essere casto lui stesso, non certo i suoi versi, che di fatto hanno arguzia e sapore proprio in quanto un po' spinti e senza pudore e in grado d'eccitare quel certo prurito, non dico nei ragazzi, bensì nei caproni ormai incapaci nel darci dentro coi fianchi. Voi, perché leggete di tutti quei baci a milioni, voi non pensate che io sia maschio a dovere? Io ve lo ficcherò in bocca e nell'ano.» Catullo, carmen XVI

mercoledì, aprile 18, 2007

Bertinotti e le sue strane considerazioni sui capitalisti italiani

Fausto Bertinotti, che in seguito all’appoggiatura del sedere sullo scranno più alto della Camera pareva essersi dato una calmata, ha oggi detto riguardo il caso Telecom che la vicenda “ci dice quanto il capitalismo italiano sia devastato. Il fatto che ci chiediamo se ci sia un imprenditore italiano con abbastanza soldi per intervenire su Telecom è sconcertante. Il capitalismo italiano è a un estremo di impresentabilità”.

Vista l’analisi molto profonda, la quale ha subito provocato una piccata reazione di Confindustria, è forse il caso di ricordare a Fausto Bertinotti che se il capitalismo italiano è impresentabile, lo sono – e ancor di più – in ordine sparso: la politica italiana rappresentata da un governo che, appena uno straniero pieno zeppo di cash bussa alla porta per comprarsi un’azienda, fa di tutto per farlo scappare; un ministro di questo governo che ha recitato nel film “Autostrade” e che ora ha mandato sul set di “Telecom” un suo degno sostituto, Beppe Grillo il comico; un governo, ancora, che infila il naso ovunque riesca, con particolare piacere in quelle aziende che magari prima possedeva e che egli stesso ha privatizzato anni or sono, e in malomodo, che ora sono quotate in borsa e delle quali la politica dovrebbe dimenticarsi; un governo che oltre a non aver capito che le aziende private e quotate in borsa non sono affar suo s’inventa, sempre al fine di far scappare lo straniero, degli scorpori tra servizio e reti che non solo non sono fattibili ma per giunta non dovrebbero nemmeno essere proposti.

Poi, Bertinotti, si ricordi anche che esiste un personaggio in italia che di contante per intervenire su Telecom ne avrebbe, e “abbastanza”. Si chiama Silvio Berlusconi e, dopo essere stato accusato per anni di possedere troppa roba in conflitto tra di essa, ora viene visto come salvatore della patria grazie al suo quattrino scintillante. Persino l’Unità, per dire di un giornale che il Cav. l’ha odiato un giorno sì e l’altro pure, lunedì riportava in prima pagina – e senza commenti – le indiscrezioni di un interesse di Mediaset per Telecom, salvo poi ritrattare il giorno successivo tramite editoriale del suo direttore che supplicava, come è nello stile del quotidiano di rosso fasciato, che qualcuno dicesse “di no” all’operazione. Altrimenti come fanno quelli come il Presidente della Camera a dire che in Italia non c’è nessun imprenditore con i soldi necessari?

martedì, aprile 17, 2007

Il signor direttore? Indifendibile.

Aggiungo un paio di righe qualche ora dopo aver scritto circa il presunto scoop ai danni dell'amato Cav., e non crediate che ne abbia voglia. Solamente mi ritrovo nella casella di posta elettronica quanto segue: “Ma come, che vuol dire? Le foto di Oggi sono una porcheria inaudita, una cazzata colossale. Belleri è andato in tivù a difendere la sua scelta di non pubblicare le foto di Sircana, e tu lo giustifichi quando pubblica quelle di Berlusconi?” segue firma. Porcheria inaudita, e perché mai? Le porcherie sono ben altre. Qui si vede solamente il Cav. a passeggio nel parco della sua villa, circondato da bellissime signorine che fanno di lui un vero “califfo” - per usare l'espressione usata anche da Oggi. La porcheria non sta nelle foto, ma nel pubblicarle: lo dissi a suo tempo per Sircana, lo confermo oggi per Silvio Berlusconi. Difendere Belleri, poi, questa è bella. Il direttore di Oggi è semmai indifendibile: ha fatto una figuraccia a tutto campo un paio di mesi fa, quando balbettava circa il ritiro delle foto del portavoce dell'Unione, e con questo nuovo episodio ha toccato il fondo, perché dopo aver imboscato gli scatti, oggi parla di “diritto di cronaca”, senza per altro considerare il fatto che la cronaca può essere un politico per strada, non uno che si fa i cazzi suoi nel giardino di casa sua. Questa, semmai, è privacy - scremando opportunamente la parola di parte del suo significato più profondo trattandosi di uomini politici, pubblici. Ma Belleri, come già scritto, c'ha famiglia, dunque non si è fatto scappare uno scoop del genere. Per quanto gli faccia perdere ancora qualche oncia di faccia. Ovvero tutta quella che gli è rimasta dopo il caso Sircana.

E il Cav.? Ah, lui è il solito. Immenso.

questione di fotogenìa

Pino Belleri, direttore di Oggi, afferma che lo scoop pubblicato dal suo giornale sull' “harem di Berlusconi” nella sua villa di Porto Rotondo “è pubblicabile” a differenza dell'altro scoop, quello di Silvio Sircana alle prese con la curiosità di vedere un transessuale da vicino. Anzi, spiega sempre il direttore, chi si pone la questione “non coglie la differenza abissale tra le due situazioni”. Premesso che noi qui la questione non ce la poniamo di certo, poiché comprendiamo perfettamente che anche il direttore – come si suol dire - tiene famiglia e nessuno meglio di lui sa come un servizio di questo tipo possa far vendere una vagonata di copie, ci teniamo a precisare che pure la differenza – e “abissale” - l'abbiamo colta e sia mai che abbia qualche significato politico intrinseco. È che Sircana non è fotogenico.

lunedì, aprile 16, 2007

At&T scappa dall'offerta

Proprio durante l'assemblea degli azionisti Telecom, con tutte le pagliacciate dei comici annesse e connesse, la At&T annuncia di voler rinunciare all'acquisto della quota Olimpia di Telecom. Segno che ancora una volta all'estero, non appena il circo tutto italiano fatto di politica che si mette in mezzo a cose non sue e pretende di dettare la linea prende piede, scappano terrorizzati. C'è solo da sperare che gli americani non raccontino ai loro amici quanto in Italia si faccia ancora ridere.

Sapete quanto costa l'inchiostro?

Quanto costa l'inchiostro che mettete nelle stampanti? Lo chiedo a voi perché sinceramente io non ricordo: lo compro, ma insieme a tonnellate di altra roba e solitamente evito di mettermi davanti alla cassa del supermercato a sfruculiare per bene lo scontrino in cerca dell'errore, facendo uno screening completo ai prezzi. Facciamo 10 o 20 euro? Aggiudicato. Bene, c'è a chi sembra troppo, a chi sembra poco, a chi sembra quantomeno ragionevole. Tutta questa pluralità, per usare un termine tanto caro, di opinioni ha decretato, grazie a quelli che considerano la cartuccia un salasso, il successo delle cartucce compatibili o dei servizi di ricarica. Le prime sono cartucce perfettamente utilizzabili dalla vostra stampante ma non prodotte dalla stessa ditta: sono compatibili, funzionano, non rovinano le vostre stampanti ma costano meno della metà (mi han detto che su Ebay pacchi da 6 o 10 hanno prezzi ridicoli). L'unico inconveniente? Stampano di merda, ma se è per la carta straccia vanno più che bene – a sapersi adeguare, ovviamente, e io non mi adeguo, ovviamente. I servizi di ricarica, invece, sono quei posti dove tu porti le tue cartucce esaurite e loro in pochi minuti te le riempiono di inchiostro, facendoti credere di andare a casa con delle cartucce rinate brand new. Il prezzo, anche in questo caso, pare essere conveniente, mentre non conveniente è ancora una volta la qualità di stampa: e beati quelli che sono contenti.

Ma al di là di tutto, sapete quanto costa l'inchiostro, ivi compreso con ogni evidenza anche quello delle vostre cartucce? Sparate. Suvvia, quanto potrebbe costare secondo voi? Io Donna [sabato 31.03.2007] riprendendo L'impero dei Falsi di Riccardo Staglianò [Laterza, 2006] ci viene in aiuto e ci dice che l'inchiostro è una delle merci più taroccate al mondo proprio in virtù del suo prezzo: 1,70 sterline al millilitro. Se la cifra secca vi dice poco, vengono forniti anche delle comparazioni: lo Chanel n°5, il profumo del quale – e unicamente – era solita vestirsi Marilyn Monroe prima di andare a dormire viene solamente 64 penny al millilitro; il Dom Perignon annata 1985 costa 10,4 penny al millilitro, mentre il carburante che fa andare lo Space Shuttle nello spazio 0,018 penny. Sempre al millilitro.

Carissimi che vi comprate le cartucce tarocche tramite le aste online, o che infilate in quelle vecchie e aride nuovo inchiostro che ai vostri occhi di creduloni – invero un po' aviducci – ve le fanno sembrare come nuove, ancora convinti di fomentare il mercato del tarocco, per lo più in mano ai cinesi – gli stessi dei casini dei giorni scorsi per una multa sacrosanta data a causa di una violazione al codice della strada? Sì? Vi prendo a bastonate, allora, appena vedo che date di “cafona” alla cafona che si compra la borsetta di Gucci ai bordi delle strade.

sabato, aprile 14, 2007

Segnalazioni.

«Il tuo cane prende le pastiglie per dormire. Ti ha visto farlo e lo fa anche lui. Strano perché in questi anni aveva dimostrato di avere una sua personalità e non si lasciava influenzare da quello che dicono i telegiornali» - Maurizio Milani

Mariarosa Mancuso racconta Maurizio Milani e il suo nuovo libro sul Foglio [14.04.2007 ins. I]. Imperdibile.

Bianco candore

Che ci faccio con tutto quel colore?, mi sono chiesto più di una volta. Ecco dunque una bella imbiancata, seria e rigorosa – nei limiti del possibile.

martedì, aprile 10, 2007

Dite che sul retro dei dvd ci scriveranno queste frasi?

Anche in Inghilterra è uscito il Caimano di Nanni Moretti, ma lì l’hanno preso per quello che è.

“un film artificioso”, “un’esercitazione arida e poco soddisfacente”, “un film che denuncia una certa approssimazione” – The Times
“l’attacco a Berlusconi non colpisce il segno e il personaggio di Bruno (interpretato da Silvio Orlando) è troppo debole per poter sostenere il film” – The Observer

L'Unione non sa più a che santo votarsi.

Cosa pensavano di cambiare?

Il decreto con il quale il Parlamento ha pensato di fermare l’ondata di violenza negli stadi funziona che è una meraviglia, ed ha finalmente risolto il problema del tifo violento: negli stadi, inteso come all’interno, non succede più nulla, nemmeno una notarella di colore. Infatti a Manchester i tifosi della Roma hanno dato vita ad uno squallidissimo teatrino, pensando forse di poter emulare quanto fatto dagli inglesi nella capitale la scorsa settimana e dimostrare che, in fondo, tutto mondo è paese; ma lo hanno fatto fuori dall’Old Trafford. A Torino, prima di Juve-Napoli, qualche tifoso è stato arrestato, oltre al solito gruppetto di feriti, e di deficienti; sempre fuori dal Comunale. Ma i tornelli, ci fanno sapere, funzionano che è una meraviglia; dentro lo stadio per poter mettere uno striscione bisogna mandare prima un fax non si capisce bene a chi; in Inghilterra, poi, appena sgarri ti legnano. E infatti questo è successo, protagonisti i tifosi italiani. Anzi, i soliti tifosi italiani. Ai quali non si impartiscono la cultura, il rispetto e la buona educazione con i decreti legge e le belle parole.

lunedì, aprile 09, 2007

iPod da record

“l'iPod ha aiutato milioni di persone intorno al mondo a riaccendere la loro passione per musica”

Steve Jobs, presidente di Apple.

Precisamente 100 milioni.

Saranno anche ciniche, ma queste speculazioni sono giuste

Saranno solo “ciniche speculazioni”, come le bolla la maggioranza, ma il centrodestra ha ragione anche di essere cinico in questo momento. Dunque, l’interprete di Daniele Mastrogiacomo è stato decapitato dai talebani, che evidentemente l’hanno riconosciuto – a torto – come spia. Gino Strada si incazza e inizia a sparare sentenze – come la storia dei due milioni di dollari per la liberazione di Gabriele Torsello - perché il governo non ha mostrato verso il povero Adjmal lo stesso impegno avuto nella liberazione di Daniele Mastrogiacomo. Liberazione che però, come tutti sanno, è stata condotta da Emergency che ha avuto carta bianca da Romano Prodi e da Massimo D’Alema, e non ha riguardato come invece avrebbe dovuto i servizi segreti i quali, congiuntamente a quelli britannici e in accordo con quanto lasciato trapelare da un comprensibilmente nervoso Arturo Parisi, erano pronti ad intervenire. Da aggiungere, a tutto questo, anche le piccate reazioni degli altri paesi dell’alleanza e di Karzai, il quale ha assicurato di aver liberato 5 talebani come contro offerta per i rapitori solo perché il governo Prodi “poteva cadere da un momento all’altro” e la cosa non si ripeterà mai più, mentre il nostro Premier era indaffarato a smentire il tutto.

Ora le persone di buon senso pretendono da parte del governo, che è stato il regista indiscusso di un’azione quantomeno ombrosa, un chiarimento. E il governo, che non sa più cosa dire perso come è dentro il suo stesso imbarazzo, parla a caso. Di “ciniche speculazioni”. Ma sacrosante.

domenica, aprile 08, 2007

Il rock è morto, e l'hanno ucciso i bambocci che si inventano le etichette - trattazione tragicomica sul math-rock e i suoi stupidi fratelli

The Hellacopters, “Rock and Roll is Dead” copertina (2005, Universal Music/Wild Kingdom) – uno di quei gruppi che suonano rock and roll, senza masturbarsi troppo.

Rifacendo ordine nella mia privatissima collezione di dischi, mi prende sempre un gran desiderio: andare a cercare in tutte le portinerie internet, in ogni chiacchiericcio sparso per la rete, in qualunque forum, qualunque newsgroup, qualunque blog – al netto della mia allergia per i blog – cosa ne pensa la gente di certi tali dischi da me posseduti e riascoltati dopo tanto tempo e magari riscoperti come dei piccoli capolavori.

[a titolo puramente esemplificativo: oggi il tempo è quello che è, mi sono svegliato presto, ho svolto con enorme disinvoltura la pratica con su scritto “mazzetta dei giornali” e mi sono messo a rimirare lo scaffale dei dischi; così, buttato un occhio fuori dalla finestra e visto che di sole manco a parlarne, ho estratto Jesse Malin “The Heat” (One Little Indian, 2004) dallo scaffale, l’ho infilato nel lettore e mi sono riempito la bocca di quel suo mood malinconico].

Dicevo: cosa ne pensa il pubblico di certi dischi? Il pubblico qualunque, il popolo bue che infesta le piazze virtuali di giudizi sui quali purtroppo troppa gente è solita poi basare il suo acquisto nel negozio. Insomma, il ventre della musica, quelli che non scrivono sul Corriere della Sera pur avendo – e il che è tutto dire – più titoli di chi lo fa; gente che non verga per Rolling Stone e, in verità, nemmeno lo compra, perché “le recensioni lì fanno un po’ cagare e poi delle pagine di moda non me ne frega un cazzo; molto meglio Blow Up o Il Mucchio, dove ci trovo i dischi che mi piacciono recensiti come dio [la minuscola non è mia] comanda”. Ecco, appunto, volevo un giudizio da gente che compra e, si presume, legge Blow Up e Il Mucchio non perché è obbligata a farlo ma perché vede in quelle due testate-partito delle guide fondamentali ad orientarsi nel panorama musicale contemporaneo. Si parte da Google, come sempre, e di Jesse Malin alcuni ne dicono bene e altri ne dicono male: è così ovunque, in America come in Europa, anche se in America lo trattano più come fenomeno mal riuscito, mentre in Europa è l’esatto opposto – inutile dire che in brevissimo tempo mi sono perso.

Finisco, non so nemmeno come, sul forum di un noto sito italiano specializzato in rock – semplicemente (o così penso) rock. Scorro i titoli – ops, thread, che potrebbero anche fucilarmi! – e mi soffermo brevemente su quelli che più mi interessano. Di Jesse Malin neanche a parlarne, ma a questo punto il mio interesse è altrove, anche se difficile dire esattamente dove. Dopo minuti di navigazione causale – ops, random, come scrivono sul Mucchio – la mia invero lieve attenzione viene attirata da un argomento interessante: “generi musicali”. Clicco, incuriosito, e il tizio – di cui ometto il nome, anche perché è preso da un artista che si è felicemente suicidato una vita e mezzo fa, lasciando un paio di dischi niente male, un pugno di b-sides ancora migliori, ha messo le pietre angolari per una corrente musicale intera e tanto basta per farvi capire che non si tratta di Kurt Cobain – il tizio, dunque, fa sapere al mondo intero che gli è venuta “la curiosità di capire da che tipo di ascoltatori è composto il forum”. Curiosità legittima, per carità, anche se probabilmente la chiave di lettura più corretta per decifrare il messaggio è contenuta nel verbo “capire”: dopo aver capito di che pasta sono gli altri frequentatori del forum lui deciderà se frequentare ancora o meno quella “bottega di barbiere” virtuale, dove si dice tutto e il contrario di tutto (il suo timore, va da sé, è che gli altri ascoltino merda e lui, con i suoi dischi eletti consigliati da BU e da IM, sia di un altro pianeta – ma che dico: galassia, come minimo). Il ragazzo con il nome del suicida aggiunge anche una piccola postilla – “i generi sono molto larghi per evitare confusione, visto che solo nel metal i sottogeneri sono infiniti” come a lasciar intendere che di sbrodolate non ne ha voglia. Noi si prende atto sollevati della cosa, ché non ci piace perderci in definizioni tanto cool da pronunciarsi quanto sterili nel contenuto. Vogliamo, invece, capire cosa ascoltano le nuove generazioni, cosa va nel mondo della musica in questo momento, magari senza fidarci dei due indici più indicativi che abbiamo a disposizione e che sono sinceramente insufficienti: le classifiche di vendita dei singoli su iTunes e “Back in the Usa” degli MC5 che gira in questo momento sul piatto del mio giradischi e che, per carità, è un gran bel disco ma è targato 1970 e mi rifiuto di credere che non ci sia nessuno disposto a bersi la roba che passa ora in giro.

Il ragazzo scrittore-sui-forum-dei-siti-musicali di cui sopra – lo chiamo ragazzo perché il suo nome (ops, nickname) contiene il numero “80” e dunque si azzarda essere l’anno di nascita e non l’età – dà il buon esempio e dopo aver lanciato il sasso tiene la mano bella in vista. Dice che lui ascolta “dark” e fornisce i Joy Division come gruppo-emblema del genere (e a questo punto risulta limpido come il sole il nome del suicida). Chiaro, conciso: “Dark, Joy Division”. Tutti sappiamo cos’è il dark e tutti ci ricordiamo dei Joy Division. Ci aspettiamo che tutti seguano questo esempio fatto di definizioni universalmente riconosciute e di gruppi cardine, nella speranza di capire quale sia lo stato del rock nel terzo millennio pur con la pulce nell’orecchio dei Joy Division che sono un gruppo di quasi trent’anni fa. Si scorre brevemente l’elenco di generi – chi dice punk, chi dice metal, chi dice blues, addirittura chi dice jazz-rock – e sembra che non sia passato nulla, è tutto fermo al 1983, quando ancora si usava l’espressione “new wave”, ed era sinceramente la cosa più stramba, ma anche più hip e cool – che c’ho uno con la pistola pronta sulla mia tempia se solo digito la sequenza di parole f-i-c-a) – che si potesse trovare in giro. Era il genere dei Public Image Ltd. di Johnny Lydon, orfano del “rotten” quanto dei Sex Pistols. Ma era anche il genere più impegnato dei Talking Heads. Era un gran bella cosa.

Al netto dei romanticismi, proseguiamo. Ed è qui che inizia il vero casino, è qui che non ci si raccapezza più. È qui che vediamo il danno sociale che Blow Up e Il Mucchio Selvaggio hanno creato nei ragazzi, loro e la loro mania di trovare un’etichetta per ogni disco, un genere che sia sempre “nuovo” dove bastano tre secondi di maracas per far etichettare al recensore di turno il disco come “mariachi” – si leggano le riviste del 1996, quando i Cure fecero uscire “Wild Mood Swings” preceduto dal singolo “The 13th” che, secondo alcuni illuminati critici musicali, sembrava aver trasformato il gruppo di Robert Smith in una deliziosa banda di latino americano.

L’acquirente di musica, nella fattispecie siamo in ambito prettamente rock, ora non capisce più niente, è totalmente rincoglionito da generi e definizioni che trovano lo spazio di un mese – più o meno il tempo di durata del gruppo a cui il genere si riferisce – che l’unico risultato ottenibile è una sbornia colossale senza precedenti: per la rete ho trovato gente che “spara” come preferiti generi quali il “dream-pop”, lo “slo-core”, lo “shoegazer” (!!) e – tenetevi forte – il “math-rock”, definizione che a questo punto dovrebbe comprendere la musica creata con le Reti di Petri o con qualche altra diavoleria opera di accademici che evidentemente non sanno come investire i soldi che lo Stato offre agli atenei e si inventa nei laboratori le cose più disparate. Questo dice la logica, e invece, in accordo con Wikipedia, il math-rock è “a style of rock music, emerged in the late 1980’s. It is characterised by complex, atypical rhythms structures, stop/start dynamics and angular, dissonant riff”. A me sembra rock, nè più nè meno, magari con un 7/8 al posto del più banale 4/4 ma insomma, niente che abbia a che vedere con la matematica perchè altrimenti a qualsiasi jazzista gli daremmo come minimo il Premio Nobel.

Ecco, il problema del rock, esistono generi totalmente inventati che fanno sentire meglio chi li ascolta, diventa una cosa di elite, una buffonata colossale che deve essere ancora scoperta e che forse ha portato, definitivamente, alla morte del rock. Riflettiamoci: i King Crimson sotto questo punto di vista sono il più grande gruppo di math-rock sulla faccia della terra, ma nessuno si sognerebbe mai di chiamarli così, perché è una truffa, una pagliacciata per far vendere dischi che nessuno conosce – a parte a BU e IMS – e su cui le case discografiche devono farci una mesata o due di discreti guadagni. Chiamare le cose con il loro nome, per questi frequentatori di portinerie virtuali dove ci si ammazza per cercare di definire lo stoner diverso dall’hard-rock, è impresa ardua. Impossibile. Far loro capire che un genere musicale “canonico” è già una conquista dell’umanità, un compromesso storico inarrivabile, un chiaro esempio di progresso dell’uomo è come tirare giù un muro a craniate: no, non lungo, doloroso. Figuratevi quindi se proviamo a spiegare che un genere non è il risultato di un lavoretto di chissà chi, buono giusto per mettere una definizione che suoni la più stravagante possibile in calce ad una recensione che correrebbe il rischio di essere nient’altro che anonima senza l’accompagnamento di una categorizzazione strampalata. Figuratevi, ancora, se vogliamo provare a prendere in considerazione criteri quali quelli compositivi, quelli dell’ambito storico-sociale o qualunque cosa diversa dalle calze indossate dai bassisti di turno.

Qualcuno, nel finale ci prova: “perché non ridurre tutto a rock?” – si chiede un utente dotato di materia grigia. “perché rock fa troppo Vasco Rossi”, risponde quello invece ipodotato. Eccolo il problema di questa nuova generazione di ascoltatori tanto fantasiosi quanto snob: Vasco Rossi. Non si può dire che l’ultimo gruppo più sconosciuto e quindi trendy del momento è rock, perché io ascoltatore non sono come chi ascolta Vasco Rossi; io, cazzo, ho un background musicale di tutto rispetto, mica vado a sudare come un maiale in pieno luglio allo stadio di San Siro; io, che i dischi li compro solo da Buscemi e mica sull’iTunes Music Store; io, che mi ascolto Caravan ma non i Black Sabbath che “neanche mio padre”.

In conclusione, il miglior utente del forum, supplica disperato: “Franco Fabbri, se ci sei batti un colpo”. Ma Franco Fabbri, che ha definito il genere musicale come “un insieme di fatti musicali, reali e possibili, il cui svolgimento è governato da un insieme definito di norme socialmente accettate” [“una teoria dei generi musicali, due applicazioni” relazione presentata alla Prima Conferenza Internazionale della Iaspm, Amsterdam 1981, ripresa anche in Franco Fabbri “Il suono in cui viviamo”, 2004, Arcana, Roma, pag.52], ho come l’impressione che si tenga lontano da certe portinerie, più per il suo fegato che per altro. Fabbri parlava di “norme di tipo tecnico-formale” e di norme “semiotiche”. Mica di slo-core o di post-rock – quest’ultimo fantastico, che sottintende anche un pre-rock che tutti chiamano rhythm and blues e sono più di 50 anni che c’intendiamo che è una meraviglia.

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sabato, aprile 07, 2007

Il New York Times ci racconta di un fantastico Bruce Springsteen lo scorso giovedì alla Carnegie Hall di New York.

venerdì, aprile 06, 2007

Prodi sbugiardato da Karzai

Allora, Prodi e D'Alema adesso cosa dicono? Perché Karzai pare abbia annunciato che i talebani scambiati con Mastrogiacomo sono stati liberati solo perché in Italia, in quel momento, “il governo stava per cadere”.

Dati di vendita quotidiani Febbraio 2006 - Febbraio 2007

Rilevazioni di vendita dei quotidiani. Febbraio 2006 - 2007, medie giornaliere

Testata 2006; 2007; Var. %
Corriere della Sera 672.430; 678.810; 0,9
la Repubblica 625.540; 634.126; 1,4
Il Sole 24 Ore 335.442; 344.037; 2,6
La Stampa 317.100; 320.200; 1
Il Messaggero 212.500; 213.650; 0,5
Il Giornale 201.123; 205.687; 2,3
Il Resto del Carlino 165.538; 170.560; 3
La Nazione 136.621; 134.967; -1,2
Libero 90.398; 128.780; 42,5
Avvenire 107.108; 109.901; 2,6
Il Secolo XIX 107.124; 106.228; -0,8
Il Gazzettino 99.000; 99.400; 0,4
Il Mattino 84.350; 79.850; -5,3
Il Tirreno 81.748; 79.638; -2,6
Il Giorno 65.680 74.387 13,3
La Sicilia 60.108; 66.648; 10,9
Unione Sarda 64.058; 65.964; 3
Giornale di Sicilia 64.519; 64.269; -0,4

(fonte: DagospiaL'Espresso)

sempre in ritardo - o forse no

Bel saggio di Javier Cercas, pubblicato su El Pais e tradotto in italiano da La Stampa (qui e nella sezione cultura del 06.04.2007)

mercoledì, aprile 04, 2007

Apple (ancora) sotto accusa per una colpa non sua...

Mentre l’accordo concluso dalla Apple con la Emi non solo porterà ad una sempre maggiore quantità di musica venduta digitalmente priva di Drm, ma toglierà anche la casa di Steve Jobs dall’imbarazzante accusa di monopolizzare il mercato, un’altra tegola giudiziaria ha però colpito l’azienda di Cupertino. La Commissione Europea, dopo aver avviato una battaglia (non ancora conclusa) contro la Microsoft di Bill Gates, ha deciso di mettere sotto torchio la Apple. L’accusa che ha portato l’antitrust europeo ad avviare una procedura d’infrazione contro la Mela e contro la maggior parte delle case discografiche, è quella di aver violato la legislazione europea in materia di concorrenza, in particolare imponendo – nelle parole della commissaria europea alla concorrenza Neelie Kroes – “restrizioni territoriali” nell’acquisto di musica via internet. “I consumatori possono comprare la musica di iTunes soltanto nel paese di residenza e dunque subiscono restrizioni nella scelta del luogo in cui comprare, nella gamma di musica e nel prezzo”. Effettivamente per ogni paese esiste una versione dello store di Apple e non è possibile, ad esempio, per un italiano acquistare nel negozio francese poiché la provenienza viene controllata dalla banca di emissione della carta di credito e dall’indirizzo di fatturazione: per poter acquistare in un negozio straniero bisogna essere possessori di una carta di credito emessa da una banca di quello stato e con indirizzo di fatturazione anch’esso appartenente allo stato. La cosa non è andata giù all’antitrust europeo anche per una questione di prezzi: tra il negozio italiano e quello britannico la differenza per un singolo brano è del 18% (1,56 dollari in Gran Bretagna contro i 1,32 dollari per i paesi dell’area Euro). L’accusa però regge solo all’apparenza. Apple infatti fa sapere non solo di non aver “fatto nulla per violare le leggi europee” ma anche di aver sempre avuto nei suoi piani quello di creare un unico negozio virtuale valido per tutta l’Europa, “accessibile a tutti in tutti gli stati membri” ma di essere stata ostacolata in questo dalle “case discografiche e società di editori” i quali hanno spiegato che esistono alcune restrizioni legali sui diritti. Le case discografiche, infatti, al momento di siglare gli accordi con la Apple hanno imposto restrizioni territoriali a causa di precedenti accordi che le stesse avevano a loro volta stretto con le società che gestiscono i diritti di autori (come ad esempio l’italiana Siae). L’accordo, conosciuto come “accordo di Santiago” prevede infatti che chiunque voglia aprire un negozio di musica su internet possa trattare i diritti delle canzoni che mette in commercio solamente su chiave locale. Apple quindi più che in una posizione di accusa, ne esce infatti come vittima: l’alternativa a questo era rinunciare non solo quindi ad un unico store europeo, ma anche ai vari negozi locali. Anche la Commissione Europea in questo riconosce la casa di Steve Jobs come penalizzata, poiché “l’accordo è imposto dalle major della discografia e non è giustificato”. Già nel 2004 Bruxelles aveva cercato di contrastare l’accordo di Santiago e, dopo che il tutto era finito nel dimenticatoio, sembra ora aver intenzione di riprovare a distruggere l’accordo, mettendo in mezzo però la Apple, la quale ora ha due mesi di tempo per rispondere formalmente – per il momento la linea della società è di continuare “a lavorare con la Ue per risolvere ogni problema”. Se l’accusa di violazione delle norme sulla concorrenza dovesse essere confermata, sia per l’azienda produttrice di iTunes che per le case discografiche il rischio potrebbe essere quello di una multa molto salata. A discapito prima della Apple che pagherebbe per una colpa non sua, e poi del consumatore il quale proprio dall’antitrust dovrebbe essere tutelato.

martedì, aprile 03, 2007

Emi e Apple: accordo per togliere i Drm

[Capita di non aver tempo per preparare contenuti dedicati alle varie piattaforme, e di questi tempi con il blog capita sempre più spesso. Cosa fare per girare intorno al problema? Inventarsi un esercizio: prendere un articolo scritto per altri scopi, e adattarlo al blog. Ecco qui un pezzo tipicamente da blog, come su OrdineGenerale non se ne vedono quasi mai: pieno zeppo di links che spiegano tutto a tutti, ‘na palla tremenda – ma per una volta si può fare, no? La notizia, poi, sebbene già di qualche ora, è una di quelle importanti, grosse, che fanno parlare.]

Milano. La Emi ha annunciato, dopo varie smentite, che venderà buona parte del suo catalogo discografico sia attraverso l'iTunes Music Store della Apple, sia attraverso altri canali di distribuzione digitale, sprovvisto dei Drm (Digital Rights Management), particolari software inclusi nei file digitali che dovrebbero prevenire la pirateria. La notizia dell'accordo tra la Emi e la Apple è stata anticipata lo scorso 2 aprile dal Wall Strett Journal ed è destinata ad aprire una nuova era per quanto riguarda la vendita digitale di musica. Fino ad oggi infatti chi acquistava i brani in formato digitale non poteva riprodurli su più di un numero ben definito di computer e non poteva ri-distribuirli - a meno di ulteriori conversioni - poiché solamente l'acquirente originale del brano possedeva tramite il proprio account la chiave per "sbloccare" la canzone.

Ora invece il catalogo della Emi, che comprende colossi della musica presente e passata quali Rolling Stones, Coldplay e Norah Jones, potrà essere acquistato e riprodotto liberamente con qualsiasi software e con qualsiasi riproduttore musicale di file digitali. Le canzoni prive di "lucchetti" presenti sull'iTunes Music Store avranno una qualità doppia rispetto alle altre, con un bitrate (memoria fisica occupata per ogni secondo della canzone) che passa da 128 a 256 Kbit/s nel formato di compressione AAC (Advanced Audio Code), qualitativamente superiore agli mp3. Anche il prezzo però aumenterà: questi brani costeranno infatti 1,29 euro a fronte dei "tradizionali" 99 cent, ma per chi ha già acquistato la musica protetta è possibile chiedere la conversione al nuovo formato pagando la differenza di 30 centesimi. La vendita di questa musica "libera" partirà da metà maggio, quando oltre la metà del catalogo della Emi sarà presente nel Music Store, mentre secondo Steve Jobs - che nelle sue previsioni conta anche eventuali accordi di questo tipo con altre importanti etichette major - il totale dei brani privi di Drm presenti nel catalogo del negozio virtuale di Apple arriverà a 2,5 milioni, quasi due terzi dell'intero negozio. L’unico “paletto” che ancora sembra rimanere è quello del formato. Se l’AAC è infatti qualitativamente superiore (test alla mano) all’mp3, è altresì poco supportato dai player portatili: oltre ovviamente all’iPod, solamente i prodotti Sony e Microsoft sono compatibili con il formato, così i telefonini-walkman fabbricati da Nokia e Motorola.

La notizia, oltre ad inaugurare una nuova rivoluzione nella vendita di musica in formato digitale, farà tirare un sospiro di sollievo anche alla Apple, più volte messa sotto accusa dalle associazioni dei consumatori, in prevalenza europee, per la posizione di quasi monopolio sul mercato della vendita digitale di musica: acquistando infatti un brano sull'iTunes Music Store non si aveva, fino ad ora, la possibilità di gestirlo con un software diverso da iTunes e di riprodurlo con hardware che non siano i celebri iPod. Il nuovo accordo dovrebbe, almeno per il catalogo di proprietà della Emi, risolvere la questione. In verità è stato lo stesso Steve Jobs, fondatore della Apple, tramite una lettera aperta pubblicata sul sito della sua software house, ad invitare le case discografiche ad eliminare i Drm dalle canzoni del loro catalogo; sosteneva infatti Jobs che era assurdo mettere sistemi antipirateria sulla musica distribuita on-line quando il 90% del fatturato ricavato dalla vendita dei dischi per le case discografiche è costituito dal commercio dei compact disc privi di qualsiasi funzionante sistema antipirateria. "la nuova offerta musicale a più alta qualità, priva dei Drm, completerà la gamma dei download protetti dal Drm già disponibili" - ha comunicato la Emi in una nota. Ancora irrisolto rimane invece il "caso-Beatles". La Emi, che fin dagli anni 60 cura la distribuzione dei brani della band di Liverpool, infatti per sua decisione ha finora vietato la vendita attraverso iTunes dei brani dei fab-four, e per il momento la questione non sembra sbloccarsi. L'amministratore delegato della casa discografica, Eric Nicoli, ha dichiarato che la sua etichetta e la Apple "stanno lavorando" ad un accordo nonostante altre fonti vicini sia alla software house che all'etichetta discografica abbiano annunciato che "non ci sarà alcun accordo riguardo i Beatles".

domenica, aprile 01, 2007

Rutelli taglia i fondi ai Beni Culturali ma nessuno protesta

Quando nel 2006 il governo di centrodestra stanziò i fondi destinati ai Beni Culturali tutto l’apparato intellettuale e culturale gridò allo scandalo tramite strumentalizzate manifestazioni di piazza: Berlusconi e l’allora ministro dei Beni Culturali Rocco Bottiglione dovevano vergognarsi poiché, a detta dei manifestanti, con il patrimonio culturale italiano già con l’acqua alla gola i soldi messi a disposizione dal governo erano troppo pochi, insufficienti per un paese conscio della sua tradizione artistica e culturale quale l’Italia.
Poi le cose sono cambiate, al governo c’è andato il centrosinistra e l’estabilishment culturale italiano sembrava tirare un sospiro di sollievo: con i “loro” al governo, finalmente la cultura italiana avrebbe avuto a disposizione i soldi che si merita. E invece, leggendo lo schema di decreto con la ripartizione delle somme a disposizione dei Beni Culturali, presentato dal Ministro Rutelli, i fatti vanno in modo decisamente diverso: a dispetto delle previsioni, e a differenza del centrodestra, il governo Prodi ha tirato la cinghia per altri 4 miliardi di euro. Il che vuol dire che mentre il governo della Casa delle Libertà per il 2006 stanziò i contestatissimi 30 miliardi di euro, l’Unione per il 2006 ne mette a disposizione solamente 26. Analizzando le cifre “al dettaglio”, si scopre che importanti enti, associazioni e fondazioni subiscono tagli notevoli ai finanziamenti pubblici. A piangere maggiormente quest’anno tocca alla Biennale di Venezia che passa da 7.523.695 euro a 6.518.091 (1 miliardo di euro in meno), seguita a ruota dalle fondazioni “Reggio Parma Festival”, “Festival Pucciniano” e dall’associazione “Centro Europeo” che prenderanno dal ministero 1.871.522 euro contro i 2.159.991 euro messi loro a disposizione dal governo Berlusconi nel 2006. Queste le strutture più colpite dai tagli, ma scorrendo il decreto vi si trovano altre realtà importanti, tutte con i contributi “segati”: “l’Unione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche” (- 9 mila euro), il “Fondo Ambientale Italiano” (- 27 mila euro) e la Triennale di Milano (-206 mila euro), per non parlare degli enti, delle associazioni e delle fondazioni più piccole ma non per questo meno importanti. Per quanto riguarda la conservazione del patrimonio artistico e letterario, gravi tagli hanno subito anche ifondi per gli archivi privati di interesse storico (-21 mila euro), i finanziamenti alle biblioteche non statali – spesso le uniche a funzionare davvero – (- 140 mila euro) e il “centro studi conservazione e restauro dei Beni Culturali” (-13 mila euro) [fonte: L’Indipendente 31.03.2007 pag.1].
Se a chi gli anni scorsi protestava e si indignava stesse davvero a cuore il patrimonio artistico e culturale italiano, come minimo a fronte di questi nuovi tagli ora assisteremmo alle barricate. E invece niente di tutto ciò, a dimostrazione di come il circuito culturale italiano – quasi in toto “de sinistra” – usasse praticare feroci strumentalizzazioni e scontri politici anche nel campo della salvaguardia dei nostri Beni Culturali, mentre l’attuale Ministro Rutelli, perso nei problemi interni alla sua Margherita che tanto lo vorrebbe far fuori, fa finta di nulla e tergiversa. Ora non si grida più al disprezzo dei Beni italiani, non si trovano più scrittori, attori, nani e ballerine in piazza a gridare contro il Cav., non si leggono più colonne di piombo indignate sui più importanti giornali italiani. Tuttavia lo scempio si è compiuto ancora, ed in modo maggiore, a dispetto della tanto ostentata “serietà”.

Gattone in mezzo alla scena

Ieri sera ero a casa a pisolare, tra l’apatico e il tardo-depresso, e tra un sonnellino e l’altro conducevo un indecente zapping, dimentico di quanto la televisione italiana il sabato sera fosse così sciatta. Gira di qua, gira di là – alziamoci va’, che altrimenti si dorme tutta la notte sul divano – esci a fumarti una silenziosissima sigaretta sul terrazzino di casa e pensi che te ne fumeresti un pacchetto dal tanto che ti godi quei cinque minuti prima di ritornare al binomio zapping-sonnellino. Poi succede che ti capita di arrivare su La7 e che il sabato sera intorno a mezzanotte-e-qualcosa – chi se lo ricorda? – va in onda una nuova trasmissione condotta da Luca Telese, una sorta di quiz sulla politica o qualcosa del genere. Bene, ospiti erano il portavoce del Cav. Paolo Bonaiuti e l’attore filo-aennino con un passato “da craxiano” Luca Barbareschi, più non ho ben capito se in qualità di opinionisti o se ospiti “occasionali” il direttore de l’Unità Antonio Padellaro e quella specie di giornalista che è Mario Adinolfi, quello grosso filo-diesse che però scrive su Europa e che probabilmente nella Margherita qualche incarico lo avrà pure – o forse no, ma poco importa e magari me lo ricordavo anche ma capite: ora tarda e serata passata a sonnecchiare e poi, già lui occupa tanto, mi sembra che tre righe per descriverlo siano più che sufficienti, no?
Bene, ad un certo punto tra Adinolfi e Barbareschi scoppia un piccolo diverbio, cosa da poco: si parlava della leadership del centrodestra e l’attore dopo aver detto che “Casini senza Berlusconi non esisterebbe”, si domandava perché “nessuno nomini Fini [quale leader] che invece una leadership forte sul campo ce l’ha”. Il ragionamento di Barbareschi, in verità, non fa una piega: è un ragionamento fatto e condiviso da molti, che guarda al di là delle sue simpatie personali e che in più un fondo di verità lo possiede, poiché Fini stesso continua ad aspettare – o a rincorrere? – un’investitura da parte del Cav. che prima o poi dovrà arrivare. Adinolfi, invece, con la solita leggerezza che lo contraddistingue, fa notare a Barbareschi che “Casini è al centro della partita” e, forse non resosi conto dell’involontaria battuta, si permette pure di incalzarlo con un “qui Barbareschi dimostra di non capire nulla di politica”. Il fatto è che Adinolfi poco dopo, ha detto che Barbareschi difendendo Fini, e parlando di Mussolini dopo averlo egli stesso portato sull’argomento evidentemente per bastonarlo, faceva “propaganda neo-fascista”. Il che basterebbe per rigirare l’accusa contro di lui, che di politica se non ne capisce poco ne capisce almeno quanto Barbareschi. Ma volete sapere perché di politica Adinolfi, per dirla con lui, “dimostra di non capire nulla di politica” – e altro che Barbareschi? Perché sempre durante la trasmissione ha fieramente affermato che il Partito Democratico, quella somma di Margherita e Ds che lo fa andare in brodo di giuggiole – e dovreste vedere la scena – sarebbe il prossimo grande “polo di ispirazione neo-democristiana e l’architrave della politica dei prossimi anni”. Dovevate vedere la scena: Padellaro in imbarazzo, Bonaiuti che ha iniziato a sfotterlo e Barbareschi estremamente sorridente. E lui, gattone in mezzo alla scena.