giovedì, febbraio 26, 2009

ci manderei lui in Vaticano e piuttosto mi terrei le scorie nucleari.

Ditemi che l'articolo a firma Dario Fo su La Repubblica di oggi non è da attribuire allo stesso Dario Fo che ha vinto il premio Nobel. E se lo fosse, qualcuno mi spieghi perché quando c'è da prendere le difese di qualche persona - o, in questo caso, gruppo di persone - il nostro scrive sempre in morte di chi vuole difendere.

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mercoledì, febbraio 25, 2009

se tuo figlio «ha gli incubi» è perché sei una stronza.

Succede che la BBC chiami una bella e, a quanto pare, brava e giovane ragazza a condurre una delle più seguite trasmissioni pomeridiane per bambini. Piccolo particolare: alla ragazza in questione manca un braccio – o, sarebbe meglio dire, manca l’avambraccio destro. Manco a dirlo, la BBC viene sommersa da lettere di protesta da parte di mamme che chiedono il cambio di conduzione, poiché i loro bambini a quella visione – la visione di una persona con un handicap, seppur fisico e dovuto ad un incidente – potrebbero rimanere turbati. Gli inglesi, si sa, sono un po’ stronzetti in questo senso. Pensare che turba la visione di una persona senza un braccio, e non la voglia di non infrangere il tabù della disabilità è proprio tipico dei sudditi di Sua Maestà. Forse pensano che sia poco fine un moncherino sulla BBC. E poi, laggiù, promuovono la ricerca della perfezione, non si fermano davanti a nulla – figuriamoci davanti al siluramento di una giovane conduttrice perché non rispetta i parametri fisici stabiliti da chi, evidentemente, manca in quelli mentali. Da un popolo che finanzia la sperimentazione di ibridi uomo-animale, in nome della tecno-scienza più sfrenata, ci si può aspettare forse che considerino la mancanza di un arto come la normalità? Quale normalità, semmai gente da non far vedere! Che poi, si badi bene, la mancanza di un arto è solo la facciata del problema: un orecchio, un occhio, qualunque altra mancanza, e la questione sarebbe stata la stessa. Non è corretto generalizzare, mai; ma qualcuno quelle lettere alla tivù di stato inglese le deve aver mandate. In Italia, pensavo, dovremmo essere più avanti in questo, seppure più indietro nello sperimentare piccoli Frankenstein. Voglio dire, considerare un handicap come qualcosa che renda una persona meno normale di altre, che vieti addirittura di condurre una trasmissione televisiva, in nome di una normalità che vorrebbe la perfezione e il nascondimento dal circuito che conta di tutti coloro i quali non sono «normali» - ecco, pensavo che questo fosse un problema superato. Invece mi sbagliavo. È bastato scorrere i commenti alla notizia sul sito del Corriere della Sera per rendermene conto. Ad una mamma che a proposito scrive di «brutture del mondo», che afferma che lei non farebbe guardare il programma a suo figlio e che il pargolo avrà modo, crescendo, «di vedere quanto il mondo non è giusto», ad una così voi cosa volete chiedere? Io, per esempio, le chiederei se il mondo fosse più giusto senza certe «brutture» in televisione ma, in compenso, con certe stronze a scrivere commenti.

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lunedì, febbraio 23, 2009

Jovanotti l'ammerricano che pisciava con Berlusconi

Scrive il lettore Roberto Betola alla rubrica delle lettere de La Stampa [23.01.2009]:
Jovanotti da vera icona della democrazia in Italia ha concluso un concerto a New York raccomandando al pubblico di restare in America perché in Italia c'è il feroce dittatore Silvio Berlusconi e Veltroni purtroppo ha abbandonato il campo. Io probabilmente non sono dotato di una intelligenza grande come il «poeta» di Cortona, ma ho buona memoria e mi sembra che il suo successo sia molto legato alle tv del Cavaliere per cui cantava le sigle delle prime fiction all'amatriciana (ricordate «Classe di Ferro»?).
Noi, che abbiamo la memoria forte, ci ricordiamo anche di molte altre cose che al gentile lettore sono sfuggite. Ci ricordiamo, ad esempio, di come Jovanotti divenne televisivamente famoso – ovvero famoso tout court – grazie al programma «Dj Television», in onda sulle reti Fininvest. Di come venisse spessissimo ospitato, in quegli anni in cui il «poeta» si divideva tra radio, moto e inglese maccheronico col quale condiva improbabili obrobri spacciandoli per canzoni, nei programmi delle reti Fininvest. Ci ricordiamo di «1,2,3, Jovanotti!». E di quando, sempre le reti Fininvest, trasmisero un suo concerto per festeggiare il congedo dal militare - «E’ finita!», si chiamava la serata e da lì si arrivò poi al contratto per la sigla di «Classe di ferro», serie già citata da Betola e in onda sempre sulla Fininvest. Non ci siamo nemmeno dimenticati di quando, addirittura, dichiarò che il Cavaliere gli fece da cicerone durante una visita allo stadio di San Siro a Milano e che, una volta negli spogliatoi, fecero insieme una pisciata. In quell’occasione – disse il «poeta» – il Cav non si lavò nemmeno le mani quando ebbe finito – clima di confidenza con il «dittatore», par di capire. La dichiarazione la fece a Chiambretti durante Sanremo 2008, l’unica cosa che ci è rimasta in mente di quel’edizione.

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sabato, febbraio 21, 2009

per quanti anni ancora vinceremo?

A leggerli così, come fosse la lista della spesa: Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Enrico Berlinguer, Alessandro Natta, Achille Ochetto, Massimo D'Alema, Piero Fassino, Walter Veltroni. Dario Franceschini. Minchia!

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venerdì, febbraio 20, 2009


Non ne sono coinvolto direttamente, per cui non prendetelo come un eccesso di rabbia, ma la questione del presunto (tele)voto dopato al Festival di Sanremo mi fa girare parecchio i coglioni - oltre che rovinarmi una sinceramente buona edizione, almeno per quanto riguarda l'aspetto dello spettacolo. Non ho ben capito se la cosa riguarda i cantanti in gara, i ripescati o solamente il concorso parallelo dedicato ai giovani gruppi emergenti – o tutte e tre le cose insieme. Riguardasse i giovani, essendo particolarmente vicino ad uno dei gruppi arrivati all’ultima fase, ed essendo sicuro della loro assoluta correttezza (tant’è che si vociferava già da tempo della scorrettezza altrui), auguro all’eventuale dopato che tutti i suoi dischi siano scaricati illegalmente e che le conseguenti copie fisiche invendute finiscano nei cestoni dei supermercati insieme alle raccolte semi-bootleg di Toto Cutugno e Nilla Pizzi. Senza nemmeno che in un futuro più o meno remoto qualcuno si ricordi di loro con lo sprezzante sorrisino che solitamente si dedica ai prodotti trash – ricordate i Jalisse, per esempio?

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E' uscito Wired Italia e se non lo comprate siete dei pazzi.

È uscito Wired Italia e, come ogni volta che un’avventura editoriale ha inizio, siamo felici. Anzi, questa volta lo siamo di più, e per vari motivi. Primo, finalmente dopo qualche tentativo passato anche in Italia abbiamo uno di quei magazine che possono avvalersi della nomea di «bibbia». Secondo, il suo direttore Riccardo Luna è persona in gamba, temeraria come può essere solo chi fortissimamente volle questa impresa, e rispettabilissimo giornalista; per dire di che pasta è fatto: far uscire un giornale del genere in periodo di enorme crisi economica è pura follia, farlo e dirsi convinti (tanto da confidarlo ad uno dei massimi dirigenti del gruppo che edita il magazine, la Condé Nast) che la crisi è il momento giusto per un giornale come Wired va oltre, è puro genio artistico. Terzo, le premesse sono ottime, il primo numero è spumeggiante, la grafica sbalorditiva, i contenuti ricchi, le «idee» raccontate a mo’ di «storie» (entrambi i virgolettati sono cifre stilistiche del giornale) ci sono tutte, la redazione è snella e dinamica (poche persone, tanti collaboratori) e via dicendo – insomma, medito l’abbonamento e l’acquisto di qualche altro scaffale sopra il quale posare l’edizione completa.
Epperò, a Ordine Generale piace fare le pulci, e qualcuna è stata trovata e qui elencata senza il limite del numero di battute, a uso e consumo del lettore e dell’aggregatore a grafo nella community wewired.it, il quale promette spazio a chiunque inserisca in un suo testo la sequenza di parole «wired italia». Per iniziare, c’è il prezzemolino della stampa italiana che conta, Luca Sofri, che quando ho visto il suo faccione nell’elenco dei collaboratori ho avuto un colpo: compri Vanity Fair e lui c’è; compri Internazionale e lui c’è; compri Il Foglio e (a volte) lui c’è con delle definizioni copia-incollate da Wikipedia; prendi in mano la Gazzetta dello Sport anche se non te ne frega niente, giusto perché sei sicuro che lì almeno non corri rischio, e invece chi ci trovi? A questo giro parla di tecnologia, firma un articolo che sembra essere un manifesto del perfetto lettore di Wired, e il risultato è per giunta brillante e interessante; c’è odore di competenza, se non altro, anche se di derivazione «smanettona» più che accademica, e viene evitata quella sorta di tuttologia che lo contraddistingue solitamente, o che lo porta a svernare di musica quando sarebbe meglio lasciar perdere (ma a dar manforte in questo senso c’è la moglie, Daria Bignardi, amica un po’ di tutti, che una volta in televisione a chi accusava il marito di essere un «nerd musicale» controbatté definendolo «grande esperto di musica», e meno male che il libro Playlist (Rizzoli) parla da solo). C’è poi Linus, amico del Sofri, che tiene una rubrica sulle corse, le maratone, insomma le uniche cose che, da un po’ di tempo a questa parte, sembrano emozionarlo veramente – con buona pace della radio; ma io volevo Wired, non Runner Magazine, e poi la Strongmen Run descritta nell’articolo non ha niente di tecnologico, non è un idea, non ha futuro e sembra più quel corso di sopravvivenza provato da Renato Pozzeto e Enrico Montesano nel celebre film Noi Uomini Duri (1987). C’è anche Paolo Giordano, il tizio che ha vinto il premio Strega con il libro La Solitudine dei Numeri Primi (Mondadori), il quale intervista RLM (Rita Levi Montalcini, cui è dedicata anche la copertina); non si capisce bene se trattasi di un collaboratore fisso oppure di uno passato lì per caso e tirato dentro perché, per creare hype crea hype. C’è Al Gore – Dio ce ne scampi! – che fa un pippone sul ruolo dell’informazione nell’era di Obama, e povero Barack che con tutti i problemi che ha si deve far carico anche di quello del giornalismo partecipativo e iper-connesso (e ovviamente eco-sostenibile) e unico strumento d’informazione del futuro: lo credevo anche io, sinceramente, e sotto sotto lo credo ancora seppur quotidianamente là fuori fanno di tutto per dimostrare il contrario. C’è Coelho con una column sul ruolo di Internet come enorme biblioteca; lui ha deciso di non tenere in casa più di 400 libri tradizionali, intesi come di carta, e sono già troppi e non li consulterà mai perché se dovesse andare a cercare i versi di una poesia gli basta digitare in Google un frammento a memoria per avere a disposizione, sempre, il testo completo ovunque si trovi (la morale che ne trae, fortunatamente, non è che i libri non servono a nulla ma che, dopo averli comprati, bisogna regalarli, farli girare – lui è tanto fiero quando gli portano da autografare un suo libro con i bordi sgualciti e le pagine ingiallite. Al limite, dice, donateli a una biblioteca pubblica). Poi ci sono gli ottimi articoli e gli ottimi collaboratori (tanti tecnofreak, ma non solo), ma quelli non si citano, ve li lascio da scoprire. Ci sono tante «storie e idee che cambiano il mondo», per usare le parole del sovra-testata e dell’editoriale del direttore. Solo non si capisce quanto possa cambiare il mondo il fantastico bollitore Tefal, di cui si parla a pagina 222. Per ovvi motivi da ricercarsi nel fatto che il nostro Paese non brilla per consumo di tè l’aggeggio non è distribuito in Italia – ma tanto lo compriamo su Amazon, noi super-connessi-duepuntozero – e promette di far bollire l’acqua in pochi secondi. A parte che mentre aspetto che bolla l’acqua, nella maniera tradizionale, posso sempre approfittarne per fare un post su Twitter, o per aggiornare il profilo di Facebook, o per consultare uno degli ottimi contenuti esclusivi sul sito Wired.it. A parte questo, si diceva, secondo me è una cosa inutile, atta a peggiorare il mestiere anziché a migliorarlo: a meno che si tratti di un acceleratore di particelle, in tre secondi l’acqua che viene giù potrà essere tiepida, al limite anche calda, di sicuro non bollente – e il tè si fa versando l’acqua bollente sulla bustina. Ecco, non vorrei che sia stato dichiarato rivoluzionario (cioè meritevole di finire su Wired) solo perché l’ha testato Matteo Bordone, amico del Sofri.
Spiritosaggini a parte, la stima e la fiducia sono tante. Per fare un parallelismo con un’altra celebre importazione recente, Playboy, qui si è mantenuto lo stile dell’originale e si è creato un ottimo prodotto, mentre là si abbonda con il contorno ma manca la portata maestra: la patonza. Solo un piccolo fastidio, di gran lunga superiore a tutti quelli appena elencati messi insieme: gli emoticons (o «le» emoticons – si potrebbe chiedere agli esperti dell’Accademia della Crusca che, genialmente, sono stati coinvolti in Wired per spiegare alcuni termini tecnologici) lasciatele sul web. Se qualcuno vi scrive lettere con le faccine, editate o cestinate: non sono riuscito a leggere la rubrica della posta, e di conseguenza a misurare il polso dei lettori – sulla fiducia, beninteso, perché sono stati pubblicati quelli che hanno scritto ancor prima di aver letto mezza riga.
Un bacio e un in bocca al lupo. Benvenuti, già vi adoro un po’.

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mercoledì, febbraio 11, 2009

boom! Belpietro a Matrix?

Riguardo quanto scritto qui sotto, con particolare riferimento alla parte finale del post: Pierluigi Diaco rilancia dando per sicura la sostituzione di Mentana con Maurizio Belpietro (attualmente direttore di Panorama), già a partire dal prossimo venerdì. Vuol dire che Belpietro ha accettato di bruciare la sua candidatura alla direzione del Tg1?

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mettiamo un dito tra Mentana e Mediaset

Non ho un’idea precisa di quello che è l’affaire Mediaset-Mentana. Epperò una serie di opinioni a riguardo, quelle sì. Per prima cosa, credo che quanto successo l’altra sera sia la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso, e che in ogni caso la misura fosse colma già da un pezzo. A sostegno di questa tesi, si possono ricordare le recenti tensioni tra Mentana e l’azienda, con il primo piccato dall’eccessiva promozione fatta alla trasmissione di Piero Chiambretti, in onda su una rete dello stesso gruppo e per giunta in sovrapposizione oraria a Matrix. Ma che il rapporto tra il fondatore del Tg5 e il gruppo televisivo del Cav. si fosse guastato non è una novità fin dai tempi della sua sostituzione al telegiornale di Canale 5 con Carlo Rossella. Lì, per salvare capra e cavoli, fu inventato per Mentana il non meglio precisato ruolo di «direttore editoriale» che nessuno ha mai ben capito di cosa si trattasse. Un direttore editoriale dell’informazione di Mediaset, per dire, avrebbe dovuto imporre la serata di approfondimento sul caso Englaro, e non subire la decisione di mantenere il palinsesto così come era stato deciso e di non toccare il Grande Fratello marcuzziano. Solo per citare quanto quella figura - ricordiamoci, inedita prima di Mentana - alla fin fine contasse poco più che nulla, almeno a livello decisionale.
Detto ciò, Mentana non ha sbagliato a lamentarsi della mancata messa in onda di Matrix lo scorso lunedì. Da giornalista - da gran giornalista, se mi permettete - non è riuscito a mandar giù la mancata occasione di creare approfondimento, di mettere in campo le sue doti su un tema delicato e di scontrarsi con il suo diretto avversario Bruno Vespa, che in prima serata era in onda su Raiuno con uno speciale di Porta a Porta. Semmai, Mentana ha sbagliato nel metodo: rassegnare le dimissioni così impulsivamente, senza pensarci troppo, è stato un suo errore che l’azienda ha preso al balzo per - diciamo così - sbarazzarsi del conduttore indesiderato. L’azienda, da parte sua, ha egualmente avuto ragione, sia perché poi la serata è stata stra-vinta dal Grande Fratello e sia perché la cronaca era straordinariamente trattata con uno speciale su Rete4 prima, e su Italiauno e Canale 5 (con il Tg5) poi.
Da che un passo indietro, da entrambe le parti, sembra essere alquanto difficile, si può malignare con quanto segue: sia Mentana che Mediaset ne hanno approfittato per mandarsi al diavolo reciprocamente, evidentemente stanchi l’uno dell’altro. Si è detto quasi sin da subito che Mentana avrebbe l’opportunità di andare a SkyTG24. La cosa può essere più o meno vera, può essere un rumor più o meno accreditato. Se Mentana ha agito d’impulso con le sue dimissioni, probabilmente il rumor non è così infondato e una qualche proposta Chicco l’aveva già sul tavolo. In questo caso, ne ha approfittato, come era suo lecito diritto.
Il futuro di Matrix è incerto. I giornalisti della redazione e quelli di Videonews - la testata che controlla i programmi giornalistici di Mediaset - hanno per il momento chiesto che lo spazio non sia occupato da nessun altro, lasciando intendere un possibile passo indietro. Che, come detto, difficilmente ci sarà e da una parte e dall’altra. Si fanno i nomi di Maurizio Belpietro e di Giuliano Ferrara come possibili sostituti di Mentana. E si fa anche il nome di Piero Chiambretti, il rivale, l’elemento scatenante o, se volete, il capro espiatorio. Vedete che tutto torna?
Pensieri, per carità, che uniti non arrivano nemmeno a sfiorare l’autorevolezza che un opinione dovrebbe avere.

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lunedì, febbraio 09, 2009

Kindle maniaci, definitivamente.

Visto che ce ne stiamo occupando proprio in questi giorni, oggi Amazon ha lanciato il nuovo Kindle.

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sabato, febbraio 07, 2009

Kindle maniaci in divenire/2

Ricevo e volentieri pubblico questo commento ad un post sul Kindle scritto tempo fa.
Ok, questo commento arriva un po' tardi ma... Ebbene io sono una delle poche kindle maniache italiane! 
Armata di pazienza ho aspettato l'ondata post natalizia che ha travolto ebay con l'universo dei regali "è il pensiero che conta" e che, tra un incredibile ammasso di roba di dubbio gusto, ha portato una bella fetta dei kindle ricevuti in regalo dall'americano medio. L'americano medio secondo la definizione di Steve Jobs si intende; quello che farà sprofondare miseramente l'amazon kindle tra i fallimenti della storia dei gadget tecnologici dal momento che è tacciato di leggere mediamente un libro all'anno... (ma le statistiche sull'italiano medio sono poi migliori?) 
Adesso su ebay i prezzi sono ri-lievitati (per la cronaca io l'ho accalappiato per 300$ comprese spese di spedizione); l'offerta, finito il boom natalizio, è scesa di molto, la domanda no, nonostante i pressanti rumors sulla prossima uscita del kindle 2.0.
Facili (e spassose) ironie a parte, perchè prendere un kindle piuttosto che uno degli altri ebook reader (soprattutto qua in Italia dove non c'è la rete EVDO e si è costretti a collegarsi al computer per scaricare i libri acquistati dall'amazon store)?
Perchè è l'unico con un sistema completo di ricerca testuale all'interno dei libri caricati, perchè permette di sottolineare testo, aggiungere note, salvare intere pagine, che vengono segnalate sia sul libro che si sta leggendo sia su un file .txt a parte (con titolo del libro, nota e "pagina" della nota) per un utilizzo successivo. 
Perchè è compreso l'oxford american dictionary (più che sufficiente per un non-native speaker).
Perchè anche se legge solo una categoria di formati (.mobi e varianti) è possibile convertire con dei software gratuiti qualsiasi doc/txt/pdf in questo formato che può essere ricercato, sottolineato, annotato,bookmarcato etc...
Insomma se vi piace leggere in inlgese ma il vostro livello vi obbbliga (come me) a scarrozzarvi in giro un vocabolarione da consultare, ed alla quarta parola siete già stufi di leggere, se avete della documentazione tecnica che vorreste leggre senza distruggervi gli occhi sull'lcd dell'ufficio/casa, se certi classici italiani non li avete ancora letti e vi attira la possibilità di averli gratuitamente e legalmente.... bene, il kindle fa per voi. Se invece volete solo pavoneggiarvi con l'amico per l'acquisto di un nuovo gadget tecnologico ma non vivete in America, lasciate perdere... Qua quasi nessuno sa cosa sia l'amazon kindle, chi sia Oprah Winfrey, cosa sia in generale un ebook reader e come si scrivano/pronuncino queste tre cose. Se volete farvi belli, prendetevi un iphone o qualche altro smartphone di ultima generazione, basta che si possa guardare la tv, calcio e grande fratello in diretta, fare filmati ad alta risoluzione, avere il gps, il touch screen, il sensore di movimento interno con numerosi giochi che sfruttano i movimenti impressi sul cellulare e che sia sufficientemente voluminoso da farsi notare. Per la cronaca sull'iphone potete anche fare finta di leggervi degli ebook visto che è disponibile un software gratuito per la lettura di ebook (tanto per mostrare che siete una persona di cultura, non è una cattiva idea portarsi dietro un Tolstoj - guerra e pace è un must- o perchè no, l'Ulysse di Joice in versione originale). Poi se questo non basta a farvi notare prendetevi una custodia colorata ed appariscente.
Questo mi riporta al motivo per cui avevo cominciato a scrivere il commento a questo post che mi ha fatto sbellicare dalle risate...
Di avere un gadget tecnologico invidiato dalle masse francamente non me ne frega niente, ma confesso di non aver resistito ad una cosa... ebbene sì... IO la custodia verde pisello l'ho comperata veramente! Il fatto che in realtà sia un verde giada, tendente al lime non cambia di molto la triste realtà dei fatti. Siamo tutti deboli in un modo o nell'altro. 
Paola

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