veloce veloce - ma prima o poi torno
Giuro che vi penso, mannaggia al tempo che non ce n’è mai abbastanza. Dovrei fare ritorno fisso tra una settimana al massimo – nel frattempo, una puntatina ogni tanto.
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Giuro che vi penso, mannaggia al tempo che non ce n’è mai abbastanza. Dovrei fare ritorno fisso tra una settimana al massimo – nel frattempo, una puntatina ogni tanto.
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Punto uno. E come dargli torto? E ricordare al signor Walter Veltroni che il dialogo, se salta, è perché lo decide la maggioranza. L’opposizione ha poco da fare la schifiltosa e da pensare di avere il coltello dalla parte del manico.
Punto due. E meno male! Perché vedere Maroni che bloccava qualunque iniziativa arrivasse da un personaggio non leghista iniziava ad essere irritante.
Punto tre. Solitamente di una fazione politica conciata male si dice che «se va avanti così quelli perdono per vent’anni». Ci siamo molto vicini.
È tutto.
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Mi scrive Giulio, lettore che non sapevo di avere e che ne approfitto per salutare pubblicamente, e dopo avermi fatto intendere di essere armato di penna rossa, verga: «“migrare” è un verbo intransitivo, che come ben saprai non vuole il complemento oggetto. Tu scrivi “sto migrando la pesantissima libreria”, ove il soggetto sottinteso sei tu medesimo, il verbo è “migrare” e la “libreria pesantissima” il complemento oggetto. Non è un po’ troppo come licenza?».
Ecco, caro Giulio, ti sei risposto da solo: trattasi proprio di licenza, perché sinceramente «sto spostando la pesantissima libreria…» come attacco è illeggibile, fa venir voglia di chiudere il browser all’istante e uscire di casa a prendere un po’ di quell’acqua che scende copiosa da giorni. E no, non è troppo.
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Sto migrando la pesantissima libreria di iTunes su un hard disk esterno, e fino ad ora è successo quanto segue: 1) sul sito della Apple i docs sembrano dire che l’intera operazione è una cazzata 2) l’intera operazione è certamente una cazzata, ma poi c’è il problema di far assegnare sempre la stessa lettera all’hard disk esterno altrimenti, mettiamo che prima di accenderlo io accenda la stampante, iTunes non sa più dove beccare i files 3) anche l’operazione di dare la stessa lettera all’hard disk esterno tutto sommato è una cazzata 4) l’hard disk esterno, però, nonostante l’ingente capienza, a meno di un terzo di quanto può contenere mi dice che è pieno 5) sto ri-formattando l’hard disk esterno, assegnandogli un altro codice che non so cosa vuol dire ma che è identico a quello di tutti gli altri dischi (interni) che già ho – prima non era così. In sostanza: in ballo da stamattina per fare una cosa che impiegherebbe, al massimo, un’ora e per cui la maggior parte del tempo necessario verrebbe impiegata per il trasferimento fisico di una tonnellata di canzoni. Tonnellata di canzoni che mi condurrebbe al suicidio nella sciagurata ipotesi che andasse persa.
Edit: piano con l'esultanza, ma ora sembra funzionare tutto a meraviglia.
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Da queste parti ultimamente si parla poco di politica, e la cosa sinceramente inizia un po’ a dispiacermi. Ma, altrettanto sinceramente, manco di verve in quel senso. Sento la mancanza di una vena ottima per la politica politicante, per il commentare le cose che andrebbero commentate, per incensare le cose da incensare e – soprattutto – per parlar male delle cose che vanno male – poche, per la verità, a patto che la si smetta con i cazzo di ripensamenti dell’ultimo minuto, dietrofront che iniziano ad avere dell’imbarazzante e che fanno fare la figura dei quaquaraqua – ecco, mi fermo, perché sento che forse la verve riaffiora, e non ne ho voglia.
Una cosa, però, una cosa che mi sta qui sulla punta della lingua, la devo dire. Subito dopo il trionfo berlusconiano dello scorso aprile, da sinistra era tutto un «con
Gianluca Neri, su Macchianera, aveva iniziato a scrivere una storia interessante e questa, come tutte le storie interessanti, aveva fatto presa sul lettore. «Clarence story», questo il nome scelto dal Neri, anche se nelle prime tre puntate si è parlato solamente di Cuore e di Sabelli Fioretti. Già, le prime tre puntate, perché poi la storia sembra essere stata inghiottita dal restyling grafico e dal cambio di piattaforma, dai Radioincontri, dalla pubblicità alla colonia estiva di quell’altro e di quella alla nuova trasmissione radiofonica del padrone di casa. E il lettore, quello che capitava su quelle pagine anche per continuare a leggersi la sua storia, è rimasto lì, con la forchetta a mezz’aria e il rigolo del boccone precedente che ora rischia seriamente di sbrodolare giù. E non è un bel guardare, nemmeno per la sacralità del parquet.
Etichette: blog, Clarence story, Macchianera
Immaginate che mentre vi sto scrivendo nasconda impacciatamene la mia faccia – puf! – dietro un telo, tanta è la vergogna. Certo, potevo starmene lontano da voi ancora per un po’ e lavarmene le mani, rimandare di ora in ora – di giorno in giorno – il momento della vergogna, quello di dover nascondere la faccia per paura dei vostri sguardi di punizione e di «dove cazzo sei stato tutto questo tempo?». E, invece, eccomi qui. Non spavaldamente, bensì con estremo senso del pudore: non avrei scritto cotanto cappello introduttivo. E poi passiamo alle scuse: sempre il poco tempo, nell’accezione il più generale possibile, ovvero in quella il più particolare che ci si possa immaginare: le tante piccole cose che richiedono tempo e che sommate insieme portano ad una generalizzata mancanza di tempo per altro. E, vi giuro, mi dispiace rubricare l’esercizio di scrittura e il rapporto unidirezionale con voi tramite questo mondo – il blog – come una mancanza di tempo, perché in effetti dovrei inserire tutto ciò nelle piccole cose che sommate insieme… - l’ho già scritto qualche riga più sopra, e manco di tempo, ricordate? Ma l’esercizio di scrittura prosegue, in forma privata per cose che richiedono la forma privata e il buio dei taccuini, in forma pubblica per tutto il resto. Manca, ahimé e come appena detto, la «forma blog», e cercherò di rimediare in futuro semmai ricorrendo all’artificio di cui proprio ora mi sto ubriacando: arzigogolare le frasi così tanto da renderle poco immediate, e tentare la necessità di una seconda, o terza o quarta o quinta, lettura anche se potrebbe sembrare eccessivamente presuntuoso pensare di esserne capace; riuscissi nell’impresa, comunque, avreste da leggere il doppio, o il triplo o il quadruplo o il quintuplo della normale razione. E dopo le scuse, passiamo alla ricompensa per essermi fatto perdonare: un paio di segnalazioni, che sono da prendere come doni, e dunque vale la regola del cavallo donato al quale non va mai, per nessun motivo, guardato in bocca.
[*] domenica, nella pagina delle opinioni del Los Angeles Times, è uscito un pezzo fantastico, da leggere tutto d’un fiato e da invidiare perché nei giornali italiani di cose così non se ne trovano mai, tantomeno la domenica: una ragazza di Baghdad racconta di come sia cambiata la sua visione delle cose quando, atterrata negli Stati Uniti, si è tolta il velo.
[*] il formidabile critico musicale del New Yorker, Sasha Frere Jones, racconta le prodezze dell’AutoTune. Ve le racconta, io le conoscevo già, ma mai ne avevo letto in salsa tanto snob.
A questo punto se non gradite – o, in subordine, se pensate che l’ombelico sia stato fissato più che sufficientemente – sono fatti vostri.
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