sabato, ottobre 25, 2008

non era Central Park, ma il Circo Massimo (o il massimo del circo?)

Ogni tanto buttavo un occhio. Il televisore era acceso, non potevo fare altrimenti. Così ho potuto constatare che era tutto sbagliato: il luogo, ma soprattutto il modo all'americana di fare le cose, con lui che viene fuori dal centro, dietro i compari, il pubblico intorno con i cartellini in mano tipo Obama-Biden o McCain-Palin – oddio, ricordate quanto dicevano Veltroni-Franceschini? Dopo un po', altra occhiata: stava parlando ancora, ed era arrivato suppergiù al punto in cui si rammentavano recenti inchieste giornalistiche circa il dilagare dell'alcolismo giovanile. Si parlava di ragazzini che a 11 anni bevono, e la causa non può che essere un non meglio specificato buco della società. In quel momento lo sforzo l'ho fatto, e il televisore l'ho spento. È nuovo, costato qualche migliaio di euro. Correre il rischio di sfasciarlo perché l'ammerricano avrebbe insinuato una colpa di Berlusconi in questo mi sembrava improvvisamente un cedere alle provocazioni del bambino che ha la mamma più puttana di tutte, ma la tua – dice – lo è di più. Una balla, condita con lo gné gné.

PS – apprendo poi che c'è stata la solita guerra di cifre. I telegiornali hanno parlato di “qualche migliaio”, gli organizzatori di “due milioni e mezzo”. Il Sole 24 Ore ha fatto il calcolo: al Circo Massimo non possono starci più di 300 mila persone, e dalle immagini televisive pare che la maglia costituita dalla folla non fosse delle più strette. Al di là di tutto, un Fabrizio Cicchitto in forma strepitosa: “per il principio della non compenetrabilità dei corpi non possono essere più di 300 mila”. Meno male che una tragedia ha suscitato una battuta.

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martedì, agosto 05, 2008

d'estate si leggono le brevi

[1] Il mio pensiero circa il finanziamento pubblico all’editoria è stato più volte messo agli atti – qui l’ultima e più esaustiva puntata. Quindi che dire del taglio previsto dal Governo? Dispiace, se è vero come sembra che tante testate – e quindi tanto pluralismo, e mica per dire – rischiano di sparire. La mia posizione, però, è quella di Giuliano Ferrara esposta sul Foglio [04.08.2008 – pag.1], ovvero sì alla richiesta di mantenere o ripristinare i contributi ma no a battaglie ideologiche («Perdere la faccia, oltre ai contributi, questo no, cari compagni»), posizione meglio ancora declinata da Adriano Sofri [Piccola Posta – 05.08.2008]: «evitiamo pure proclami narcisisti e campagne ideologiche, ma rivendichiamo di conservare, o ripristinare, i contributi alla piccola editoria politica». Poi Sofri cita il manifesto, Liberazione e Il Secolo d’Italia ad esempio di editoria politica: il manifesto non è propriamente organo di partito – La Padania invece lo è a tutti gli effetti, ma Sofri dimentica chissà perché di citarla – ma il discorso comunque fila lo stesso. Sofri inoltre maramaldeggia anche con Pannella e Bordin in merito alla questione che eventuali tagli ai finanziamenti non colpirebbero Radio Radicale per il pubblico servizio che essa svolge di trasmissione delle sedute parlamentari e dei congressi dei partiti tutti. E qui dico: nota la mia posizione sui finanziamenti, posizione assolutamente a favore – nei limiti dei casi furto, ovvio – e noto che non ho voglia di guardare quanto ha preso Radio Radicale l’ultima volta, né so quanto questa cifra sia determinata dal «servizio pubblico» che svolge, mi chiedo: se taglio deve essere, che lo sia per tutti allo stesso modo altrimenti siamo punto e a capo (ovviamente togliere i finanziamenti al – chessò – Corriere non cambierebbe un bel nulla, perché la testata non è, diciamo, «a rischio» scomparsa). Quindi colpisca anche Radio Radicale per quella parte di servizio rimanente alla sottrazione della trasmissione delle sedute parlamentari. Capisco, parrebbe poco ragionevole. Ma poco ragionevoli sono anche i tagli al finanziamento pubblico all’editoria, e poco ragionevole per poco ragionevole, forse è il caso di ragionare. Il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha poi dichiarato che «è una strana forma di libertà quella di chi è libero in ragione del denaro che riceve dallo stato», e allora è il caso di ripetersi: non è «strana» ma è più pura e cristallina della libertà altrettanto dichiarata da chi poi ha alle spalle un editore con i suoi cazzi di interessi che non sono – quasi – mai i cazzi di interessi del lettore.

[2] Pare che l’Unione Europea voglia che sia commercializzata una sigaretta che, nel caso di mancata aspirazione per un minuto, si spegne da sola. Questo, nelle intenzioni, dovrebbe portare ad un «risparmio» di un paio di migliaia di vite l’anno, ovviamente sottratte non alle malattie correlate al fumo, ma agli incendi e ai soffocamenti causa sonno impellente ed incontrollato del tabagista. Una cagata, me lo si consenta: presa una boccata, ci si può addormentare entro un minuto da quella successiva, se si ha veramente sonno. E un tizzone ardente, che si smoccola dalla sigaretta e va a finire sul tappeto, o sul plaid o su quello che volete voi, ci mette ancora meno a scatenare un incendio.

[3] «(Adnkronos) - Furto nell'abitazione estiva di Walter Veltroni sul lungomare di Sabaudia (Latina). Secondo una prima ricostruzione i ladri avrebbero forzato la porta d'ingresso e rubato un computer portatile, una videocamera, un i-Pod e circa 600 euro. Sul posto sono a lavoro gli agenti della polizia scientifica per i rilievi del caso». Questa l’agenzia, nella sua telegraficità e nel suo informare. Ora: sono da poco stato al mare, a casa mia, in un posto oggettivamente più bello e meno cafone di Sabaudia. Anche casa mia, come quella di Veltroni, sta sul lungomare: una posizione che di sera mi invidiereste tutti, si sentono le onde, i profumi della macchia mediterranea, spira sempre un venticello che non vi dico e non passa anima viva. E, sempre come a Veltroni, anche a me sono entrati in casa i ladri durante il soggiorno – nel mentre, compravo frutta fresca. Ma, a differenza di Veltroni, non mi hanno ciulato il telefonino, il televisore né tanto meno due iPod, un computer portatile e molto più che 600 euro in contanti; si sono portati via un po’ di bigiotteria-specchietto-per-le-allodole e una non più recente macchina fotografica digitale. Ah, da me sono arrivati solo i carabinieri, la scientifica ho preferito lasciarla nelle sue faccende affaccendata – molto più importanti delle mie, scommetterei.

[4] Dopo solo un anno di vita chiude la Tv delle Libertà, esperimento televisivo per metà satellitare e per metà in onda su circuiti locali ad opera dei pare defunti Circoli di Michela Vittoria Brambilla. Checché ne dica il fu direttore Medail, 6-700 ascoltatori al giorno non mi sembrano tutto questo grande successo. D’altronde il palinsesto – ad esclusione di lunghe e ricche rassegne stampa – pareva una via di mezzo tra la televendita e i microfoni aperti di Radio Popolare, con giusto i filtri alle bestemmie. Veltroni – Youdem, solo perché un nome più imbecille non c’era – e D’Alema – RedTV – stiano attenti. Qui, intanto, apriamo le scommesse sulla loro durata.

[5] Il nuovo di Beck, Modern Guilt, è un bel disco. Non vi metto il link truffaldino ad Amazon o ad iTunes perché non becco una lira, io!, a farvi questa segnalazione.

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lunedì, giugno 16, 2008

breve e conciso.

Punto uno. E come dargli torto? E ricordare al signor Walter Veltroni che il dialogo, se salta, è perché lo decide la maggioranza. L’opposizione ha poco da fare la schifiltosa e da pensare di avere il coltello dalla parte del manico.

Punto due. E meno male! Perché vedere Maroni che bloccava qualunque iniziativa arrivasse da un personaggio non leghista iniziava ad essere irritante.

Punto tre. Solitamente di una fazione politica conciata male si dice che «se va avanti così quelli perdono per vent’anni». Ci siamo molto vicini.

È tutto.

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mercoledì, aprile 30, 2008

la sfiga

Quando Walter Veltroni tirerà fuori le palle e affronterà chi, dentro il suo stesso partito, gli vuole staccare la testa già da prima ancora delle batoste, si ricordi che forse avevo ragione un po' anche io: sembra che qualcuno porti sfiga.

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mercoledì, aprile 16, 2008

Veltroni se vuole davvero fare opposizione smetta di frignare

Io non capisco una cosa: due anni fa, alle elezioni politiche, i voti di scarto alla Camera furono circa 24 mila in favore del centrosinistra e al Senato il centrodestra prese addirittura più voti; detto questo, vinse l'Unione. Vinse, lo ripetiamo, per quei meccanismi di scatto del premio di maggioranza al Senato su base regionale, per cui se anche prendi meno voti, ma più regioni, hai più seggi e bla bla bla. Vinse l'ho scritto io adesso, perché allora chiunque – a parte il centrosinistra, appunto – parlava di sostanziale pareggio non per un'approssimazione dei numeri in favore del centrodestra, ma perché le urne non consegnarono in effetti né un vincitore né un vinto. E allora si ragionò inizialmente sulle cosiddette larghe intese, con il Cav. che si disse subito disponibile a collaborare attivamente. Il “prezzo” che il centrosinistra avrebbe dovuto pagare – e le virgolette non mi sono scappate – sarebbe stato quello di dare all'opposizione (che, ripeto, non era uscita sconfitta dalle urne) la presidenza di una delle due Camere del Parlamento. Prodi e la sua banda avidamente rifiutarono l'offerta, si presero tutto – Presidenza della Repubblica compresa – e si misero in testa di poter governare: io che sto scrivendo e voi che state leggendo sappiamo come è andata a finire.

Alle elezioni politiche dell'ultimo fine settimana, con la stessa legge elettorale del 2006 e quindi, se così si può dire, con le stesse regole del gioco, le urne hanno consegnato un vincitore (il centrodestra) e un vinto (il centrosinistra). E non con qualche migliaio di voti di scarto, ma con 7-8 punti percentuali in entrambi i rami del Parlamento, con il centrodestra che può contare su un numero di senatori in più rispetto al centrosinistra notevole. E Veltroni, ovvero il fantoccio che gli stessi del 2006 hanno mandato avanti al posto di Prodi, giusto infiocchettandolo un po' meglio e dandogli modo di vendere agli italiani il fumo di cui è capacissimo, ora si lamenta. Vorrebbe almeno una Camera per l'opposizione, cioè per lui, e dice addirittura che darà “vita ad un subgoverno”. Qualcuno, per cortesia, metta fine alla pagliacciata e gli ricordi di aver perso – e magari, già che c'è, gli dica anche che con la Lega, qui, si è già governato per 5 anni.

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martedì, aprile 15, 2008

W ha fatto il pieno di sfiga

Secondo me, tutta questa gente gli ha fatto fare il pieno di sfiga.

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giovedì, aprile 10, 2008

gamberi.

lunedì, marzo 03, 2008

the paraculaggine never ends

Dopo l'operaio della Thyssenkrupp, dopo Colaninno, dopo la Madia, dopo la precaria-non-precaria, dopo Di Pietro ma anche i radicali, Veltroni candida anche l'imprenditore Calearo.

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domenica, marzo 02, 2008

Walter, che simpatico paraculo!

Walter Veltroni, si sa, è un gran comunicatore. Ma non si offenderà di certo se alziamo di un po' i toni di questa sonnolenta campagna elettorale per aggiungere anche che è un gran paraculo – sia detto con un po' di quell'accezione e accento romani dei quali Veltroni è sicuramente a conoscenza. Il perché? Scorrere la lista di quelli che vuole candidare per il suo Partito Democratico è come osservare la composizione di un campione sondaggistico che vuole essere il più ampio possibile, in modo da avere un responso attendibile. C'è di tutto: l'operaio dell'acciaieria Thyssenkrupp – perché così la tragedia è mediaticamente sfruttata ai massimi livelli – ma anche Matteo Colaninno. C'è una giovane, dicono laureata, presunta signora nessuno che però lavora per Minoli ed è stata fidanzata con il figlio del Presidente della Repubblica Napolitano, tale Marianna Madia che è tanto graziosa quanto politicamente impacciata, e che dovrebbe rappresentare il rampantismo giovanile. Di contro, è notizia delle ultime ore che per non farsi mancare il voto del popolo precario, Walter Veltroni ha candidato una giovane, appunto, precaria: Loredana Ilardi, da Palermo, operatrice in un call center. Ma la politica non è un campione per un sondaggio, dovrebbe avere un'idea di fondo e non mettere insieme tutto e il contrario di tutto: imprenditori e operai, giovani fighetti e precari, radicali e teodem, garantisti e forcaioli. Veltroni, ovviamente, è riuscito invece a fare un bel frullato, che verrà gustato da quella fetta di elettorato italiano che riesce a digerire tutto, anche le peggiori porcherie. Chissà se riuscirà a digerire anche la bufala avariata della giovane precaria che 1) precaria non è (“non è assolutamente precaria. A suo tempo fummo noi a comunicarle l'indeterminato”, queste le parole del suo datore di lavoro in un articolo del Giornale 2) guadagna sì 700 euro al mese ma 3) il suo contratto è un part-time giornaliero di 4 (quattro!) ore.

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lunedì, febbraio 18, 2008

cazzate e manette

Walter Veltroni si è imbarcato Di Pietro e ha fatto una cazzata, la prima vera grossa cazzata del centrosinistra che si dovrebbe rinnovare sotto forma di Partito Democratico (delle manette?). Di Pietro ha invece detto una cazzata, e a questo ormai siamo abituati. Ora ci piacerebbe sentire il parere di Veltroni in merito alla cazzata detta dalla sua cazzata.

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mercoledì, febbraio 06, 2008

tutti da soli - o, almeno, leggeri.

Walter Veltroni ha dichiarato che al Senato il Partito Democratico correrà da solo. Ora mi aspetto che il Cav. segua alla lettera le indicazioni che gli sono arrivate da An, Lega e Udc: la Casa delle Libertà siamo noi quattro, punto; se vuoi allargare, aggiungi un posto nelle liste di Forza Italia. Così, sarebbe (quasi) perfetto.

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mercoledì, gennaio 30, 2008

Il coraggio che è mancato a Napolitano

Giorgio Napolitano è il Presidente della Repubblica eletto dalla sinistra, questo è vero, ma vero anche che fino ad oggi si è sempre comportato egregiamente, e non poteva che essere così visto che il personaggio in questione è un politico raffinato (e navigato), e che la sua storia è un ottimo lasciapassare all'incarico che ora ricopre. Fino ad oggi, però, perché questa volta forse è andato un po' oltre: dare l'incarico a Marini per “sondare” quante speranze ci possono essere per un governo di transizione, da creare per varare una legge elettorale che la sinistra avrebbe voluto cambiare da due anni ma che, per l'appunto, in due anni nessuno è riuscito a toccare, sembra essere solamente l'inutile tattica del procrastinare la soluzione politica di un paese. Insomma, una consultazione completa è stata già fata da Napolitano stesso, e il risultato è stato che non ci sono le condizioni per un governo che approvi una riforma elettorale, per almeno due motivi. Il primo, che il centrodestra (compresa l'Udc, da un paio di giorni) è compatto nel chiedere elezioni anticipate perché, ovviamente, non ci sono i presupposti nemmeno per credere che in tre mesi di governo tecnico si approvi una legge elettorale diversa da quella attualmente in vigore; e nessuno può sinceramente pensare di fare un governo tecnico senza Forza Italia e Alleanza Nazionale. Il secondo, un governo tecnico, di transizione, d'emergenza nazionale – chiamatelo come volete, in sostanza cambia poco o nulla – aveva un senso solamente qualora Romano Prodi avesse seguito i saggi consigli che arrivavano dal Quirinale; ovvero, se l'ex Premier avesse messo da parte la spocchia e si fosse dimesso senza cercare di fare la disperata conta dei voti al Senato, giochetto di cui tutti conosciamo la tragica fine. Dopo quella sfida, l'ennesimo tentativo di attaccarsi alla poltrona con le unghie, e senza vergognarsi, e pur sapendo che non solo nel popolo ma anche nel Parlamento non c'era fiducia per l'esecutivo, non c'è più spazio per un governo di transizione. Si voleva fare un tentativo ultimo e disperato? Si seguiva il consiglio di Giuliano Ferrara: se il leader del Partito Democratico pensava che un governo d'emergenza per varare la legge elettorale fosse assolutamente necessario, avrebbe dovuto avere lui il coraggio di chiedere al Presidente della Repubblica l'incarico, e Napolitano di darglielo. Così, ovviamente, non è stato, perché il problema di Veltroni non è tanto la legge elettorale, quanto limitare la sicura batosta e il decidere se correre coraggiosamente da solo o se imbrigliarsi ancora in un'alleanza che tutti sappiamo a cosa porta.

Napolitano, avrebbe dovuto sciogliere le Camere e andare ad elezioni anticipate. Berlusconi d'altra parte l'ha più volte promesso: prima il voto, poi se il centrodestra vincerà non farà come l'Unione la quale, in condizione di sostanziale pareggio elettorale ha preso tutto per lei, ma cercherà di affrontare una serie di riforme condivise con la maggioranza seria e intelligente dell'opposizione.

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venerdì, novembre 23, 2007

Guzzantissimo.

Poche volte mi è capitato di essere d’accordo con Paolo Guzzanti come quando stamane ho letto l’articolo che riporto integralmente qui sotto, per assicurare anche a voi la stessa sfiziosissima sensazione che ne ho ricavato io dalla sua lettura. Si parla dell’ultimo “scoop” scodellato da Repubblica, e dell’editoriale firmato dal suo direttore Ezio Mauro apparso ieri, sbattuto in prima pagina e con tanto di sbirciate dal buco della serratura circa una presunta combine tra Rai e Mediaset, ovviamente risalente al periodo in cui il Cav. era Presidente del Consiglio. Leggete attentamente, perché Mauro ieri ha scritto di “telecomando con un tasto unico. E truccato”, mentre oggi Guzzanti ha raccontato di quando di unico c’era invece il quotidiano, che ovviamente influenzava la televisione. E che era truccato per davvero.

Quando si telefonavano loro
[Paolo Guzzanti, Il Giornale, 23.11.2007 – pag.1]

Non ricordo più se il film giusto era Delta Force ma la lettura dell’articolo di Ezio Mauro mi ha fatto l’effetto che le madeleinettes facevano al vecchio Proust il quale si commuoveva e senza porre tempo in mezzo meditava sul tempo perduto, ma anche quello ritrovato. L’articolo di Mauro mi ha portato indietro nel tempo e di questo gli sono grato, già a partire dal titolo: «Struttura delta». Il bis della Spectre. Il bis della P2. Si impone un modesto esercizio di ritorno alla decenza.

L’articolo mi ha riportato con la sua velata magia alla stagione in cui spesso mi trovavo la sera nella stanza di Ezio Mauro, allora direttore della Stampa di Torino (di cui ero editorialista) e dove assistevo alla teleconferenza fra Mauro e il direttore dell’Unità di Roma (Uolter Veltroni), uno dei vicedirettori a caso di Repubblica, e il direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli: tutti insieme, in unico afflato e per una sola causa comune (ma quale? Certamente non la libera informazione in concorrenza) facevano tutti insieme «il giornale».

Cioè: non è che ognuno si faceva il suo, di giornale, come in tutti i Paesi in cui le testate sono orgogliosamente concorrenti. Macché. Questa compagnia di cui Ezio Mauro era il capatàz, fabbricava il giornale comune che l’indomani tutti gli italiani si sarebbero sciroppati prima sulla carta e poi in proiezione sui telegiornali sotto le varie testate. Non lo sapevano, ma leggevano tutti lo stesso giornale. Che giornalismo, che concorrenza, che scuola.

Il pretesto diciamo così umanitario dell’operazione, era quello di aiutare il giovane Uolter che non sapeva fare la prima pagina, non sapeva fare i titoli e si scombinava tutto. Ma il gruppo di comando del giornalismo italiano – capitanato da un Ezio Mauro che sembrava guidare un commando Delta Force (ecco il titolo giusto, altro che Struttura delta) - faceva un unico menabò (lo schema della pagina), tutti i titoli e la scelta delle notizie e dei contenuti, uguali per tutti. Il giornale che veniva fuori era omologato, identico, figlio di un unico Minculpop, o cupola, o mini-p2 che dir si voglia e che lasciava alla fantasia del singolo direttore soltanto il cosiddetto «boxino»: un titolotto basso a due colonne in cui ognuno registrava la curiosità innocua del giorno, del genere bambino morde cane: «Walter, nel boxino mettici quella storia del bambino che ha sbranato un pitbull». E Uolter pubblicava.

Naturalmente non si trattava soltanto di fare la prima pagina. Venivano decise le notizie da dare e quelle da ridurre, da esaltare e da minimizzare. Che concorrenza: affinché nessuno restasse scoperto, tutti davano (o tacevano, o sminuivano, o ingigantivano) la stessa notizia nello stesso modo. Ogni santo giorno. E tutti bevevano la stessa acqua.

Io assistevo a quella grottesca anomalia e osservavo gli sghignazzi furbastri, specialmente quelli di via Marenco dove comandava imperiosamente il proprio, e anche un po’ gli altrui vascelli Ezio Mauro in sfolgorante camicia bianca. Paolo Mieli, sia detto ad onore del vero, non si lasciava troppo comandare, ma tutti e due insieme comandavano sull’Unità e la Repubblica seguiva. Così, negli anni Novanta erano serviti non soltanto i lettori della carta stampata ma anche gli spettatori televisivi. La gente forse non lo sa, ma i telegiornali dosano e misurano i loro titoli, gli spazi, la scaletta dell’importanza di ciò che poi ammanniranno al popolo catodico, sulla base delle decisioni dei tre cavalieri dell’apocalisse, Corriere, Repubblica e Stampa, che poi sarebbe, per così dire, la casta.

Ma la prima pagina si confezionava tra via Marenco, Torino, e via Solferino a Milano, per essere rimpannucciata in piazza Indipendenza e infine rimpallata a via del Taurini dove diventava il vangelo dell’Unità, ovvero la verità, pravda in russo, truth in americano che piace di più a Uolter. Ovviamente anche gli altri giornali e giornaletti e giornalini per non dire dei piccoli telegiornali locali, si adeguavano con ansia e con la lingua di fuori per non restare esclusi dal gruppo di comando. Quando ero a Repubblica (di cui sono stato un fondatore, redattore capo e inviato per 14 anni) assistevo ammirato alla formazione del quadridente formato dal formidabile quotidiano di Scalfari, l’Espresso, Raitre e il Tg3. Messi insieme formavano una seconda divisione corazzata che esercitava un potere assoluto, di comando e di dominio sulla scelta, confezione e pubblicazione della notizia.

Insomma, figuratevi il salto dalla sedia che ho fatto ieri mattina quando mi imbatto in una delle più comiche composizioni a sopracciglio levato del mio vecchio amico Ezio Mauro, ora direttore di Repubblica, il quale si è esibito in un articolo che potrebbe intitolarsi a scelta «Senza vergogna» o «Oggi le comiche». Basti l’incipit: «Una versione italiana e vergognosa del Grande Fratello è dunque calata in questi anni sul sistema televisivo, trascinando Rai e Mediaset fuori da ogni logica di concorrenza per farne la centrale unificata di una informazione omologata, addomesticata, al servizio cieco e totale del berlusconismo al potere». Lui la chiama «Struttura delta». Noi la chiameremmo «Senti chi parla».

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