sabato, settembre 30, 2006

Un disco alla settimana - 8

A questo giro, lo ammetto, volevo parlare dell'ultimo di Tom Petty. Ho cambiato idea in extremis e non perché il disco sia brutto. Semplicemente sul piatto – sì, l'antico piatto dei vinili che ancora tiene botta nell'epoca dell'iPod – avevo già un Lp che girava: In The Dynamite Jet Saloon dei Dogs d'Amour. Un nome che ai più dirà sicuramente nulla ma che andrebbe riscoperto. Era il 1988 e dall'Inghilterra arrivavano questi quattro rockers decisamente su di giri. Il loro percorso era quello – tipico – dei gruppi da club di quarta categoria, con l'odore di birra rancida e di vomito alla tequila, eppure non persero per nulla lo spirito carico e la voglia di far sentire la voce. Sempre e comunque strafatti, con preferenza verso le droghe tossiche e il vino rosso, abbigliati in abiti di raso e foulard di seta, l'immancabile sigaro in mano e un aspetto che strizzava l'occhio al piratesco, musicalmente si proponevano a cavallo tra la tradizione blues e rock'n'roll, con una spruzzata di voce di rodstewartiana memoria e di sfacciataggine tipicamente glamour. Confezionarono questo pregevole dischetto, ancora oggi probabilmente il loro lavoro migliore, il primo di una lunga serie che col tempo è andata qualitativamente calando fino a rasentare il ridicolo degli ultimi anni, con la carica tipica di chi è al debutto ma sa di avere un asso nella manica, e infatti la musa del successo almeno inizialmente li baciò, per poi – complici le loro “amicizie stupefacenti” - dimenticarsene in fretta. Numerose le canzoni che ancora oggi vengono eseguite dai Dogs e richieste a gran voce dallo zoccolo duro di die-hard fans: dall'opener Debauchery – il titolo dice molto già da sé – alla dolce How come it never rains fino al loro manifesto Last Bandit. L'album, lo dico subito, non è di facile reperibilità. La versione in vinile – inutile ribadirlo – potete trovarla o su Ebay oppure armandovi di pazienza e girando vecchi negozi e polverosi mercatini dell'usato, ammesso e non concesso che esista qualcuno tanto pazzo quanto squattrinato da volersi liberare dell'oggetto in questione – Ebay, è risaputo, è un mercato a sé diverso dal tradizionale negozio dell'usato. Esiste anche una copia in Cd del 1998 contenente anche l'Ep successivo e semi-acustico (e pregevole) “A graveyard of empty bottles”. Possiedo entrambe le versioni, la prima frutto di una contrattazione con chi era disperatamente alla ricerca di cash, la seconda acquisto quasi casuale in uno degli ultimi megastore Virgin che erano sopravvissuti alla prima ondata di chiusure e che, ovviamente, ora riposa in pace insieme agli altri. Ascoltarlo in vinile è una sensazione diversa e nettamente superiore al cd, il quale però possiede il vantaggio – non secondario – di contenere l'Ep successivo. A voi la scelta, e buona ricerca.

Un disco alla settimana old issues


venerdì, settembre 29, 2006

Memorabile.

Fossi in voi, un'occhiata all'Appunto di Filippo Facci in "prima" sul Giornale di ieri la darei.


giovedì, settembre 28, 2006

Prodi allunga i tentacoli anche sull'editoria

Dagospia – che non sarà il Corriere della Sera, caro Severgnini, ma a volte ci prende di piùci informa dell'ennesimo tentativo di allungamento del tentacolo dirigista da parte del governo Prodi. Ricardo Franco Levi avrebbe chiamato a raduno i vari editori delle agenzie di stampa italiane, “suggerendo” - con la minaccia di tagli all'editoria – accorpamenti. Il sito di Roberto d'Agostino riporta che secondo il piano del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l'editoria “l'Ansa dovrebbe imparentarsi con l'Agenzia Italia o con Apcom, Radiocor con l'Asca, il Velino con l'AdnKronos e così via”. Si dimetterà Levi, novello Rovati e Prodi dirà che lui – poverino – non ne sapeva nulla?


Gentilmente, vi ringrazio

20.000


intenti punitivi

Il cartello qui a fianco (clicca sull'immagine per ingrandire) è il perfetto simbolo – di più! - il manifesto programmatico del vergognoso intento punitivo della sinistra massimalista che tiene in ostaggio il governo. È la prova provata che Prodi – il capo della banda di sequestratori, visto che si parla di ostaggi – mentiva quando diceva che non avrebbe aumentato le tasse, che non avrebbe punito e che avrebbe portato serietà al Governo. Ora tutto ciò gli si ritorcerà contro, perché questi presunti ricchi non sono altri che buona parte del ceto medio che ha votato il centrosinistra. Perché sopra i 70 mila euro non si è ricchi sfondati, semplicemente benestanti. Mastella ha già annunciato che lui la Finanziaria “cosi com'è” non la vota nemmeno con la Fiducia. Noi, si riderà di gusto nei prossimi giorni.


mercoledì, settembre 27, 2006

Welcome

Un nuovo quotidiano oggi ha fatto il suo debutto nelle edicole d'Italia: Il Meridiano. Direzione a Foggia con un ufficio di corrispondenza a Roma, miracolosamente lo si trova (per ora) anche nelle edicole del Nord Italia. L'ho acquistato, ovviamente, e stasera spero di dargli un'occhiata.


Grazie Funari

L'autunno è tempo per le Terze Camere del Parlamento, quelle televisive, di aprire. Ritornano così i Vespa, i Santoro, i Floris, i Mentana, i Ferrara e i Lerner. Ma c'è un personaggio, epurato di diritto ma poco eccellente, che da anni si è rifugiato nelle televisioni piccole o nei modesti network nazionali. E non ha brutti nei sul viso, né l'aria da primo della classe; non indossa papillon, i suoi capelli non sono ricci né tantomeno tinti di biondo e la sua 'erre' è affilata ma non arrotata. Signori e signore, parliamo di Gianfranco Funari, “l'edicolante più famoso d'Italia” come si definì una volta, il croupier del casinò, il cabarettista d'antan, l'uomo che da una vita offre la sua voce alla ggente che – per mancanza di fama o per sfortuna – non riesce a farsi sentire. Lui, indomabile ed implacabile, anarchico, ex socialista, ex berlusconiano (“pentito del centrodestra e deluso del centrosinistra” per dirla come il proclama che campeggia, minaccioso, sul suo sito), con il suo bastone da passeggio nella destra e la moglie Morena Zapparoli alla sinistra a tranquillizzarlo dopo l'ennesima sbraitata, continua imperterrito ad andare in televisione, con l'aggravante della Rothmans sempre tra le dita. E proprio le sigarette rappresentano la sua croce e la sua delizia; fuma come un dannato, in barba ad ogni illiberale legge anti fumo, anche negli studi televisivi, eppure non perde occasione per ricordare che è sbagliato, non si fa – “una cojonata” direbbe lui – e mirabile fu quella volta che infilò tra le natiche di una trentina di volontari una bionda (spenta), a sottolineare evidentemente come solo chi è dotato di certa faccia possa cedere al vizio, e non pensiate che fossero solo maschi boari e beoti; al contrario, tra i volontari, si distinguevano anche graziose signorine.

Il suo modo di fare, unico, gli è costato prima la Rai e poi Mediaset e da qualche anno sembra aver trovato il suo habitat naturale sul circuito di Odeon. Dove, il 13 settembre, è partito il suo nuovo programma Virus (il mercoledì e il venerdì dalle 21 e 10 alle 22 e 45), con le linee telefoniche sempre aperte e roventi, con il suo incedere incredibilmente coinvolgente, con la sua passione per la carta stampata (diresse l'Indipendente a metà degli anni '90) e la sua tecnica che ancor meglio si addice al piccolo schermo, tanto da costargli l'espressione “raffinatissimo e sofisticatissimo filologo della televisione” coniata da Vittorio Sgarbi, un altro che non le manda a dire, quasi un funariano se non fosse che, conoscendoli, evitiamo volentieri l'obiezione di entrambi. Con i suoi programmi – dai primi game show ante litteram alle ultime atipiche tribune politiche – Gianfranco Funari ha sicuramente cambiato il linguaggio della politica televisiva, trasformando quello che ai più era incomprensibile in una parlata fin troppo colorita ma accessibile a chiunque, dal manager al lattaio. Non ha paura di nessuno Funari, nemmeno di andare davanti a Gianfranco Fini mentre questo è vicepresidente del Consiglio a chiedergli, gentilmente, “ma quanno te 'ncazzi?”, dopo aver liberamente interpretato un antico detto italiano, trasformato per l'occasione in “non si muove foglia che Silvietto non voglia” - intendete da voi il riferimento. Scrisse anche un romanzo (“Famiglia svendesi”, 1978 Rizzoli) e partecipò a numerosi spettacoli teatrali e produzioni cinematografiche, dimostrando al suo pubblico il limite fisico che tuttora ha quando si sente incastonato solo nella politica, una cosa che per sua stessa ammissione ha amato moltissimo, ma non l'unica importante nella sua vita.

Ti guardano i suoi occhi, menano – e non con il fioretto – le sue parole e il suo faccione, notevolmente invecchiato e scampato alla malattia quasi per caso – e lui non manca mai di dirlo: “fateve 'a doppler, per-l'ammor-de-ddio” - è lì, forte, fiero e romanesco, come sempre. I giornali non parlano quasi mai di lui, né delle sue trasmissioni. Sono troppo occupati a parlare di share e delle pseudo-polemiche innescate dai grandi talk show. Eppure la sciura Maria, quella che ha i buchi nell'asfalto davanti a casa, quella che s'indigna per la mafia, quella che calciopoli è stato uno schifo e quella che legge Beha e Travaglio salvo poi votare liberale chiama lui in trasmissione. E qualche soddisfazione di tanto in tanto se la toglie, vedi l'essere invitato nelle trasmissioni le quali, con la sua presenza, triplicano gli ascolti – si tolse la dentiera alle Iene, andò da Chiambretti ad invitare tutti i fumatori ad urlare “Io sono uno stronzo”, si commosse da Bonolis, fece l'ospite di lusso dalla Carrà, e la curva degli ascolti che cresceva, cresceva e cresceva. Nessuno si dirà mai completamente d'accordo con lui, perché pensa tutto e il contrario di tutto sulle cose più disparate e i linguaggio è il più diretto possibile, roba che su altri canali si sarebbe già mosso l'osservatorio sui minori. Ma, nel panorama della televisione d'approfondimento quasi sempre troppo omologata o da una parte o dall'altra, a noi piace anche per questo.


l'indulto sbagliato

Sono sempre stato favorevole all'indulto, e queste pagine sono piene di affermazioni in tal senso. Tuttavia sono sempre stato favorevole all'indulto come soluzione per il vergognoso problema delle carceri e non, come visto in parte successivamente, per rimettere in libertà persone che si sono macchiate di reati gravi. E, inoltre, la legge approvata parlava chiaro: niente indulto per le persone che si sono macchiate, tra gli altri, di terrorismo e di associazione sovversiva. Pur non rifacendomi alla strumentalizzazione politica in atto in questi giorni, non mi piace che una persona, Silvia Baraldini, che si è macchiata di tali reati e che è stata condannata negli Stati Uniti a 43 anni venga rimessa ora, in Italia dove è ritornata nel 1999 grazie a Prodi e con un Diliberto fiori-munito che l'attendeva in aeroporto e dove scontava per gravi motivi di salute la sua pena agli arresti domiciliari, in libertà. Perché è un'ingiustizia non solo verso la popolazione italiana ma anche verso coloro i quali – e sono tanti – pur avendo tutti i requisiti per essere liberati, ancora non sono riusciti a beneficiare dell'indulto vuoi perché senza la protezione delle alte sfere o vuoi perché, semplicemente, più sfortunati. Di una sfortuna che si misura in termini di popolarità.


martedì, settembre 26, 2006

Avanti di questo passo, si puniranno le intercettazioni per coprire tutto lo schifo restante

In questi giorni si fa un gran parlare di intercettazioni. Tralasciando i casi più ridicoli e allo stesso tempo deplorevoli della vicenda, ovvero la sorta di “investigazione” parallela che si intrufolava nei telefoni degli italiani più o meno illustri, ci si è chiesti cosa farne delle intercettazioni trovate e, per risposta, il governo – salvo poi ritrattare con alcuni esponenti – ha varato un perfetto decreto bipartisan che è tanto utile quanto deve essere subito messo in pratica: fare di quelle carte un bel falò. Poi sono venute fuori le sanzioni per chi dà il via alla fuga di notizie e per chi le amplifica (giornalisti) tramite i suoi megafoni. Tutta roba giusta e che da queste parti si invocava da tempo, addirittura da quando le intercettazioni stesse hanno sputtanato mezzo – ma solo mezzo, eh – mondo del calcio e regalato uno scudetto a chi, ancora e soprattutto oggi, non se lo merita, e non facciamo come quelli di Roma che se ne preoccupano solo ora perché anche il Palazzo potrebbe tremare. Comunque, ripeto: bene, bravi, bis. Poi capita che tra una notizia e l'altra si venga a sapere che quel tizio veneto, sospettato di essere Unabomber, sarebbe sotto indagine perché rinvenute nel di lui pc foto pedopornografiche. Al di là dello schifo della questione, sia che venisse verificata sia che non, il fatto sui cui mi interrogo è un altro: ci preoccupiamo – giustamente – delle intercettazioni e poi siamo capaci, con metodi simili ovvero la fuga di notizie altamente riservate, di correre il rischio di rovinare la vita di una persona per ora solo sospettata. Di due cose orrende, ma sempre di sospetti si tratta. E se nulla fosse confermato, chi chiederà scusa a questa persona? È davvero troppo difficile compiere le indagini senza eseguire un processo – massmediatico – prima?


lunedì, settembre 25, 2006


È morto un ex King Crimson


domenica, settembre 24, 2006

Bravo Sgarbi

L'arte è arte e non va mai discussa. Può piacere o meno, e questo è un puro fatto soggettivo, ma va sempre e comunque tutelata qualora non rechi offesa a persone, razze, religioni. E se Vittorio Sgarbi, assessore alla cultura di Milano, mostra un apprezzamento particolare per i graffiti del centro sociale Leoncavallo lo fa dall'alto della sua caratura artistica e culturale, oltre che per quel suo spirito di fiera indipendenza e provocazione che da sempre lo contraddistingue. Del tutto fuori luogo dunque le polemiche dei suoi colleghi di giunta, che si sono scagliati brutalmente contro le parole dell'assessore, mostrando come di graffiti la città sia (effettivamente) imbrattata, ma non capendo la differenza tra una semplice scritta deturpante e un disegno con un suo valore. Gli slogan come “No Tav – No Vatican” o “Nazi-Ratzinger” che campeggiano sui palazzi in pieno centro rappresentano sia offese che deturpo del suolo pubblico; al contrario graffiti collocati nei posti giusti danno colore e spiccano per le particolari tecniche con cui vengono eseguiti. E se tutti siamo d'accordo sul fatto che le scritte offensive e realmente deturpanti debbano sparire, la giunta milanese farebbe invece meglio a seguire il suo assessore anziché perdersi in sterili ed inutili strumentalizzazioni politiche. Sono trent'anni che la cultura metropolitana è imbastardita dai graffiti, e il non riconoscerlo nel 2006 è grave segno quantomeno di anacronismo.


sabato, settembre 23, 2006

Un disco alla settimana - 7

A dire la verità da queste parti non si credeva più alla formula del tormentone estivo. Ovvero la canzone che inizia ad apparire a metà maggio e frantuma le palle da giugno a settembre, con picco ad agosto e smorzamento coatto ed indotto al perfetto coincidere con l'inizio dell'anno scolastico. Non ci si crede più non perché si siano effettuati studi particolari sul caso; semplicemente perché – a memoria – gli ultimi che ricordo sono tre parole sole-cuore-amore di Valeria Rossi e Chihuahua di Dj Bobo. Evidentemente ero in errore. Non mi ero infatti accorto che Me Voy di Julieta Venegas, brano che tuttora adoro e di cui parlo oggi, era stata definito tale sul Magazine (numero 38, 21.09.2006 pag. 14). Ora il pezzo lo voglio celebrare perché bello, un tormentone – e solo perché lo definisce il Magazine, qui lo si vuole ricordare come un pezzo sano – che ha tutte le caratteristiche per piacere a quelli che i tormentoni li odiano per definizione. Musicalmente è un agrodolce, sul quale la voce di Julieta gioca creando piacevoli sensazioni estetiche, tanto il suo suono è bello quanto la sua immagine decisamente mediocre. Non si sa molto altro sul disco (Limon y Sal, il quarto della carriera per la 35 enne messicana) che, chiaramente, si preferisce ignorare anche solo per evitare di doverci ricredere su questa Me Voy. Compratela sull'iTunes Music Store e catalogatela sotto estate 2006. Il Magazine lo ha deciso, voi vi dovete adeguare. Personalmente la preferisco ora, con il fresco, più che ad agosto, con il caldo.

Un disco alla settimana - old issues


Care Poste vi scrivo...

Al direttore generale delle Poste Italiane
e per conoscenza, al corrispettivo delle Poste Olandesi.

Gentilissimi,
immagino sappiate quanto sia faticoso alzarsi alle 6 e 15 di un sabato mattina per compiere i doveri professionali; devo supporre che l'abbiate provato e che quindi capiate benissimo come lo stato d'animo del sottoscritto sia abbastanza depresso, se non altro perché la stanchezza va a colpire maggiormente quelle che sono per me due funzioni di vitale importanza: il non perdere tempo fine a sé stesso – l'ozio, che immagino conosciate e bene, non è mai perdita di tempo fine a sé stessa – e l'essere nel pieno possesso delle mie capacità senza che nemmeno quel pacchetto di sigarette vada ad alterare in modo significativo i miei sistemi, nervoso e percettivo e, conseguentemente, il cervello. Ovviamente anche la levataccia ha i suoi lati positivi: il tragitto che in una giornata normale percorro in tre quarti d'ora, nella stessa fascia oraria di un – chessò – mercoledì mattina oggi l'ho fatto in 10 minuti secchi secchi, con la tangenziale deserta e il piedino pesante sull'acceleratore. Ma non di questo desidero parlarvi nella mia missiva, state tranquilli.

La levataccia l'ho scomodata perché uno, dopo appunto questa immane fatica e con il pomeriggio finalmente libero davanti, si sente stranamente bene, conscio di aver fatto quello che la società ha subdolamente imposto come dovere. Per questo vi scrivo, perché oggi ho avuto l'impressione che non tutti facciano il proprio dovere, e nonostante si alzino magari alle 8 della mattina e già alle 8 e 15 sono nella prima di una lunga serie di pause caffè.

Antefatto: un paio di settimane fa acquistai su Ebay, da una graziosissima ragazza olandese – l'essere lei graziosa, va da sé, è un mero frutto della mia immaginazione – un cd usato. Nulla di sorprendente, anzi, di per sé il dischetto è una mezza caccola, ma il dovere di collezionismo impone di avere tutto – no? - e per di più costava quattro lire-quattro. I potentissimi mezzi tecnologici hanno fatto sì che pagassi praticamente all'istante e che la graziosa ragazza mi confermasse il tutto, aggiungendo che il pacco mi sarebbe stato spedito il lunedì successivo, quello tragicamente noto come 11 settembre. Mi armo di pazienza e, come al solito, attendo. Ammetto che fino ad oggi mi è andata tutto sommato bene: i pacchi smarriti o che non mi sono stati consegnati sono decisamente pochi in proporzione a quelli con i quali tutto è filato liscio. (Teoricamente, se tutto funzionasse in modo corretto e tutti adempissero ai propri doveri – ricordate la levataccia di cui all'inizio? - nemmeno un pacco avrebbe dovuto essere smarrito, ma tant'è).

Passano due o tre giorni nei quali ovviamente mi dimentico della spedizione e poi, improvvisamente, mi torna in mente: ma quel cd, arriva o non arriva? Non che volessi prendermela di fretta o mancassi di fiducia, tutt'altro. Semplicemente alcuni trascorsi giocavano decisamente dalla mia parte di acquirente in ansiosa attesa: ho spedito dischi in Olanda che partivano oggi e arrivavano dopodomani, e addirittura un Londra-casa mia una volta ci ha messo 24 ore (giuro: timbro del giorno x, ricevo il giorno x+1, ma ammetto di aver pensato ad un errore di setting del timbro e il pacco probabilmente è stato spedito un paio di giorni prima). Lascio passare una settimana, magari – penso tra me e me – in Olanda hanno qualche festa che qui da noi è assolutamente ignorata e hanno fatto un ponte a partire proprio dal giorno dopo che la graziosa mi ha spedito il pacco. Passa una settimana lavorativa (quindi una decina di giorni, con un weekend in mezzo) e ancora non è arrivato un cazzo – mi perdonerete il termine, ma più racconto e più mi monta la rabbia. Che la graziosa mi abbia tirato quella che a Roma chiamano sòla? La contatto: saluti di rito, cortesia, e butto lì: sai, il pacco ancora non mi è arrivato, quando l'hai spedito? (facendo, ovviamente, finta di non saperlo). L'olandesina risponde in pochissimo tempo: “Dear ..., your Cd was sent on monday 11.09.2006 with priority mail, I think you should received it already” - credo proprio che non l'ho ricevuto già, altrimenti mica ti avrei scritto, e occhio all'English - “I can't be responsible for not registered items”, e chiude augurandosi che io riceva il mio cd entro breve. E nemmeno ha tutti i torti la nostra: se il pacco non è raccomandato, come diavolo lo rintraccia? E come diavolo si assicura che io non stia mentendo e ci stia a pprova' per un eventuale rimborso? E, scusate, perché mai io avrei dovuto chiedere una spedizione assicurata per un oggetto di valore irrisorio – pochissimi euri – che mi sarebbe costata più dell'oggetto stesso? E, poi, perché se esiste la possibilità di una posta semplicemente prioritaria – l'ordinaria, come ben sapete, è stata purtroppo abolita, e così suppongo anche in Olanda – io non mi debba fidare e anzi pensare che ci sia il rischio che il mio pacco venga smarrito? Che razza di mondo è quello in cui un servizio regolarmente pagato non viene mantenuto? Dovrebbero far stipulare un contratto precedente la vendita dei francobolli, altroché, caro direttore.

All'inizio della missiva ho sottolineato come finora mi sia tutto sommato andata bene, anche se ho aggiunto che certe cose non dovrebbero succedere mai. E qui vi pongo la fatidica domanda: che fine ha fatto il mio cd? Chi se lo sta ascoltando? Chi l'ha rivenduto? Chi, magari, l'ha trattenuto avanzandomi la richiesta per eventuali dazi doganali – pratica che ultimamente state conducendo in modo imbarazzante – ignorando che l'Olanda fa parte della UE? E, infine, di chi è la responsabilità tra i due Paesi? Tendo ad escludere la risposta “di nessuno dei due, semmai sua” solamente perché non ho fatto un'assicurata, poiché se così fosse vi brucio la sede, o vi metto lo zucchero nei motorini con i quali consegnate la corrispondenza, o vi querelo o potrei arrivare anche a rivolgermi ad una di quelle cose lì – odiose - come l'associazione dei consumatori. E, visti i destinatari e il semplice titolo di “per conoscenza” affibbiatogli, tenderei ad escludere anche le poste olandesi. I motivi? Dunque, su Ebay non ho mai trovato un venditore, soprattutto tra gli americani, che nelle condizioni mettesse “sorry, we no longer ship to Holland”, mentre la cosa nei confronti dell'Italia sta capitando sempre più frequentemente, e non perché ci puzza l'alito o abbiamo la sifilide, bensì perché evidentemente gli italiani – in modo anche ignorante – chiedono rimborsi ai venditori in quanto non gli è stata consegnata la merce, escludendo a torto il fatto che forse i disguidi sono da ricercarsi entro i patrii confini. Rimane dunque una sola ipotesi: le poste italiane (inutile aggiungere che l'ipotesi è rafforzata da quell'evento di cronaca di un mesetto fa, il postino che in casa aveva le lettere che, stranamente, non aveva consegnato).

Dunque, signor direttore generale di quell'ente che sta diventando tutto – banca, istituto di emissione di carte di credito e concessionario di mutui, addirittura venditore di libri e cd (i miei?) - e non è rimasto per nulla quello per cui è stato creato (consegnare la corrispondenza), che vogliamo fare? Una strigliata ai suoi? Dubito che funzioni. Un metodo per controllare anche i pacchi di quei-barboni-che-non-fanno-le-raccomandate-e spediscono-in-prioritaria? Sarebbe già un passo avanti. Abolire direttamente qualsiasi tipo di spedizione che non sia tracciabile? Buona proposta. Far sì che noi clienti preferiamo spendere qualche euro in più e affidarci ai corrieri, con la certezza che però nessun figlio di postino legga i nostri libri, ascolti i nostri dischi, si trastulli con l'utilizzo dei nostri vibratori? Ci state riuscendo benissimo. Buona pausa caffè e cordiali saluti, Ordine Generale

PS: ai carissimi lettori del blog urge una spiegazione. Chiaramente la lettera non l'ho inviata davvero ai destinatari, considerando la cosa come una inutile perdita di tempo. Diciamo che è stato un modo per esorcizzare l'incazzatura conseguente allo smarrimento (l'ennesimo?) di un pacco postale. Se qualcuno di loro poi la legge, allora...


venerdì, settembre 22, 2006

Conoscendo bene il Cav., se afferma che Mediaset non è interessata a Telecom, è perché un seppur lieve pensierino l'ha fatto.


giovedì, settembre 21, 2006

A volte ritorna l'Indipendente

Chi segue questo blog è ormai perfettamente a conoscenza – diciamo che non ne può proprio più – per il debole che il sottoscritto nutre verso la testata probabilmente più sfigata d'Italia tra quelle che – bene o male – hanno una quindicina di anni di vita, l'Indipendente. Ne ho scritte di tutti i colori, su praticamente tutti i direttori, basta cercare col motore per credere. Inutile quindi descrivere la trepidazione che, da qui al 4 di ottobre, mi accompagnerà nell'attesa della nuova edizione diretta da Antonio Galdo. Nel frattempo, se siete malati come me, qui trovate un estratto dell'intervista di Galdo dall'ultimo numero di Prima Comunicazione


Prodi e il suo viaggio interminabile, tra gaffe e risate (nostre)

Sono due settimane che se la spassa, prima in Cina e poi a New York, e la gente in Italia inizia a chiedersi quando finirà lo spettacolino che il nostro Presidente del Consiglio sta mettendo in scena. Perché girare per il mondo, sì, va bene. Ma evitando di fare figuracce sarebbe anche meglio. Prima in Cina, dove risponde via telefono e a mezzo stampa alle accuse circa il piano di conquista un poco sovietico di Telecom. E sono litigate, mica bruscolini: l'opposizione non lo sopporta (più), e anche tra le file della maggioranza le cose iniziano a cambiare, con i Ds e la Margherita che non sanno più cosa fare per tenere a freno Romano lo statalista e non fare figura barbina sulle tanto promesse liberalizzazioni. Poi, via!, a New York all'Onu. Parla con questo, parla con quest'altro, cosa ha combinato? Poco o niente: ha oscurato (volutamente?) l'immagine di Massimo D'Alema e ha ricevuto in colloquio Ahmadinejad, un tiranno, un dittatore, uno che si sta costruendo la sua bella bombetta atomica e che ha tranquillamente dichiarato, e a più riprese, che gli piacerebbe vedere lo stato d'Israele ridotto al suolo, in tutta tranquillità. Perfetto, Romano Prodi – che è uno che hai rapporti ci tiene – con lui ci parla e, anzi, difende anche la democrazia di Hamas e tante altre belle cosette. Dulcis in fundo – evidentemente dal suo staff non gli hanno fatto pervenire il messaggio del popolo italiano: ci hai rotto i coglioni – cosa ti va a dire sul Papa? Che se, poveretti, lo stanno minacciando, lui non deve mica avere paura, perché le sue guardie sono lì apposta per difenderlo. Roba che nemmeno gli anticlericali più sanguigni riescono ad applaudire, tanto l'affermazione sprizza ignoranza, pochezza, superficialità e imbarazzo davanti ad una cosa cui evidentemente non si vuole far fronte, o alla peggio non si vuole ammettere un possibile fallimento. Bene, caro Prodi, prima di votarti mezza Italia si era persino dichiarata fiera di sentirsi “cogliona” perché tanto era stato il Cav. a dirlo, e quindi era sicuramente una sciocchezza. Ma ora che si scopre veramente cogliona vedendo quel che sei, mica ci potranno pensare le tue guardie (gli unici che ti stanno vicini, perché un partito tutto tuo, che non sia un bus giallo, nemmeno ce l'hai) a salvarti dagli insulti e dalle uova. O ci sbagliamo?


la vergogna dell'ex Marchiondi

La questione dell'ex area Marchiondi, a Milano, è l'ennesima prova del pressapochismo e del qualunquismo con i quali vengono gestite e tutelate le faccende riguardanti le Belle Arti. I 7 edifici che compongono l'area sono infatti visitatissimi nella versione del plastico al Moma di New York (il più importante museo di arte moderna del mondo), mentre dal vivo si presentano sporchi, degradati, occupati da rom e da immigrati clandestini assortiti, maleodoranti e pieni di erbaccia. E senza che nessuno alzi un dito. O meglio, il Comune di Milano – che ne è proprietario – più volte ha cercato di vendere lo stabile progettato da Vittoriano Viganò (sottoposto ad un vincolo della Soprintendenza ai beni architettonici) ma ogni volta, vuoi per impedimenti burocratici o per altro, nessuna trattativa è stata realmente conclusa e la faccenda è lì ferma. Ora ci si chiede nuovamente quale destino per l'ex Marchiondi, e per quanto ancora dovremmo sopportare il fatto che un'opera architettonica visitata giornalmente da migliaia di turisti, nella fredda versione di un plastico, possa essere apprezzata in tutta la sua grandezza dal vivo, nella speranza che qualcuno, a Milano e alle Belle Arti, prenda definitivamente una decisione.


State attenti attenti a questo uomo


mercoledì, settembre 20, 2006

Romano Prodi Show

Inevitabilmente è andato sotto al Senato, e altrettanto inevitabilmente noi dobbiamo sopportare l'ennesima buffonata: a riferire dei tentacoli dirigisti e statalisti del suo governo, Prodi ha detto che andrà solo alla Camera. Dove la maggioranza maggiormente respirabile probabilmente gli evita il rischio fischi.


da dove mi leggono...


Calciopoli sentenzia ancora / 2 (ma questa volta è sospiro di sollievo)

Da Corriere.it: Flash: “Borrelli lascia le indagini sul calcio” - Francesco Saverio Borrelli s'è dimesso dall'incarico di capo ufficio indagini della Federcalcio. Lo ha detto lo stesso ex magistrato entrando a Montecitorio dove è in programma la sua audizione davanti alla commissione cultura della Camera.


Calciopoli sentenzia ancora (e per quanto ancora?)

Ci siamo chiesto il perché delle litigate con Rossella. Poi dove diavolo fosse finito. Praticamente chiunque ha fantasticato circa il suo futuro: Rai, La7, Mediaset – ci si sbizzarriva, insomma. E se Sposini avesse previsto tutto?


martedì, settembre 19, 2006

Il Premier riferisca, e in fretta.

Dopo la titubanza – sì, no, forse, si ma non io – Prodi si è convinto a riferire in Parlamento circa l'affaire Telecom e il pastrocchio che lui e i suoi hanno combinato, avente come esito finale quello delle dimissioni di Tronchetti Provera. Giusto che il Presidente del Consiglio riferisca, e che non lasci agli altri un compito che spetta a lui, dal momento che il papocchio l'hanno combinato i suoi più stretti collaboratori. Ma è un 'giusto' decisamente diverso da quello annunciato dal Presidente della Camera Bertinotti, il quale parla di “questione strategica” con riferimento (positivo) all'interventismo. È al contrario un giusto assumersi la responsabilità per un intervento totalmente illiberale, per un impicciarsi – non mi stancherò mai di ripeterlo – di fatti riguardanti un'azienda privata e quotata in borsa, un tentativo di allungare i tentacoli dello statalismo e del dirigismo. Tentativo che, tra le altre cose, oltre a non essere stato visto bene all'estero, ha irritato persino Bruxelles. Ovviamente si fa poco affidamento sul fatto che Prodi reciti un mea culpa o si dichiari realmente estraneo alla vicenda dei pizzini con il piano strategico per la Telecom, anche se si spera che il Presidente del Consiglio possa almeno fornire giustificazioni adeguate in merito, qualora ce ne fossero – e ne dubitiamo. Da segnalare anche un importante fatto correlato a questo appena presentato: per la prima volta la Maggioranza è “andata sotto” al Senato. La data scelta da Prodi per riferire in Parlamento era infatti stata fissata inizialmente per il 29 settembre. Una proposta di anticipo di una settimana avanzata dal senatore di Forza Italia Schifani è stata però accolta con 151 voti favorevoli, 148 contrari e una astensione. Ci auguriamo che la ritrovata armonia della Casa delle Libertà, nonché il ritrovato buon senso di alcuni senatori della parte avversa, evidentemente consci dell'urgenza di una parola del Premier sul caso, possano essere il primo passo verso le famose larghe intese finora bellamente ignorate dalla sinistra-piglia-tutto e il primo ruggito di risveglio del centrodestra.


flop?

Microsoft lancia l'anti-iPod, scegliendo la via “dell'utilità piuttosto che dell'eleganza”. Ci permettiamo di suggerire un'immediata corsa ai ripari per evitare l'inevitabile se la strada dovesse essere percorsa ancora in questo senso: il flop.


I fondi per la cultura? Non ci sono

Quando al governo c'era il centrodestra di Silvio Berlusconi, la sinistra si è lanciata in un triplo salto mortale, tanto spericolato quanto inutile, per la difesa della cultura. Si diceva che i tagli avrebbero di lì a poco affossato il mondo delle arti, del cinema, del teatro – chi no si ricorda le proteste della Scala? - delle biblioteche, dei musei, dei fondi, degli archivi e di tutto ciò che costituisce il mondo dello scibile. Poi succede che al governo ci va proprio la sinistra, e tutti che cantano vittoria. “Evviva la cultura, loro si che ci difenderanno dall'ignoranza e proteggeranno l'enorme patrimonio che l'Italia già possiede e che, senza i tagli, continuerà a produrre” questo il virgolettato di fantasia che racchiude il pensiero di tutti coloro i quali con il Cav. erano solo per le proteste. Passa qualche mese e le prime incoerenze però vengono a galla: insomma, non è che questo nuovo ministro ai Beni Culturali abbia fatto alcunché: promesse, quelle sì; e pure una bislacca proposta di ferie scaglionate, che con la cultura hanno poco a che fare – in verità anche con le direttive statali, ma sarebbe un altro discorso – ma, insomma, non siamo più negli anni '60 ed è bene che l'italiano vada in ferie a marzo, se può, e magari ad agosto – la cosa succede già ma è nuovamente un altro discorso – stia a casa a lavorare. Si diceva: promesse. Quelle però da sole non bastano, anche se ovviamente la grande stampa italiana, quella che funse da megafono delle proteste con il governo della Casa delle Libertà, ora relega l'articolo sulla mancanza di soldi nella cultura a causa di tagli nelle cronache cittadine, tra l'albero abbattuto nel tal parco e il tentativo di stupro in quella tal stazione. Succede però che se la situazione diventa eccessivamente imbarazzante, anche i grandi organi d'informazione nazionale sono tenuti a darne conto. Leggiamo quindi sul Corriere che alla Biblioteca Nazionale di Firenze non c'è abbastanza personale, perché i soldi sono quello che sono e non si possono permettere di assumere nessuno, e in compenso a dare una mano ai bibliotecari sono arrivati i topi. Proprio così, evidentemente non ci sono nemmeno i soldi per fare una piccola disinfestazione ogni anno, perché la notte del 29 agosto scorso i piccoli roditori hanno fatto scattare l'allarme antifurto, hanno defecato e urinato sui tavoli e tutto ciò è costato la ovvia ispezione della Asl, con il seguente risultato: 3 giorni di tempo per allontanare i dipendenti, 20 giorni per eliminare la sporcizia, 40 giorni per la bonifica totale e ad oggi, 19 settembre, la Bibliografia Nazionale Italiana – palazzo della Biblioteca Nazionale di Firenze maggiormente colpito dall'invasione – è ancora chiusa. Vogliamo continuare con i numeri? E allora continuiamo, per il solo gusto di sbugiardarla questa sinistra delle promesse, tanto brava ad allungare le mani sulle cose altrui al fine di poter applicare tutta la sua brama dirigista, e tanto ignobile quando si tratta di sistemare il patrimonio culturale per altro difeso fino all'altro giorno per puri fini strumentali. E i numeri parlano chiaro: se la Biblioteca Nazionale di Parigi e la British Library di Londra prendono rispettivamente 140 e 120 milioni di euro, la Biblioteca Nazionale di Firenze ne percepisce 2, e la direttrice della biblioteca, signora Antonia Ida Fontana, avverte: “non abbiamo più fondi, rischiamo di non arrivare a fine anno e di non riuscire neppure a pagare le bollette della luce. I finanziamenti ordinari sono in costante calo e quelli straordinari, necessari per far funzionare la biblioteca, sono bloccati da tre anni”. E questo per una delle due biblioteche centrali italiane (l'altra è sita nella veltroniana Roma), immaginatevi per quelle più piccole, fino ad arrivare alla civiche dei paesini di provincia. E i tagli non incidono solo sulle bollette della luce ma, ovviamente e ben più grave, anche sulla carenza di personale. Nella Biblioteca Centrale di Firenze – la più importante italiana per la completezza di fondi – si trovano all'incirca sei mila volumi a stampa, 25 mila manoscritti, 3.700 incunaboli, 29.000 Cinquecentine, circa un milione di autografi e 115 mila testate di periodici. E il personale che dovrebbe gestire tutto ciò negli ultimi 10 anni si è ridotto fino a 225 unità, a differenza della Biblioteca Nazionale Francese la quale, per adempire agli stessi compiti, dispone di 2.700 dipendenti (più di 2.000 quelli della British Library). I sindacati e la direzione dicono che bisognerebbe disporre di almeno 500 persone, e le promesse del governo quali sono? Abbassamento a 9 milioni di euro (eliminati 6.681.675 euro) delle spese di funzionamento dei settori Archivi e Biblioteche, con la riduzione disposta anche per il triennio 2007/2009 (fonte: L'Indipendente 16.09.2006 pag. 3). Però in vacanza, promettono, bisognerà andare anche a febbraio, perché qualcuno che disinfesti i luoghi di cultura dai topi serve anche a Ferragosto.


lunedì, settembre 18, 2006

la dichiarazione di intenti di Al Qaeda

La dichiarazione di Al Qaeda - “Conquisteremo Roma” - non lascia dubbi a chi già lo credeva in passato e dovrebbe toglierli anche a quelli che, per un motivo (ideologico, strumentale) o per l'altro, ancora davano la colpa all'Occidente, alle guerre, all'Iraq e allo sfruttamento: vogliono conquistare il mondo, punto. Le prove di tutto ciò le abbiamo avute davanti negli ultimi cinque anni, da quel'11 settembre che ha cambiato il corso del mondo, anche se a ben vedere delle avvisaglie c'erano anche prima. Ora la dichiarazione non fa altro che rendere lampante ed evidente, urlando in modo chiaro e preciso in modo tale che anche il sordo di tipo biblico possa rendersene conto, quanto fino ad oggi una buona fetta di persone si rifiutava di credere. Al dominio puntano, non alle scuse da parte del Papa, scuse per altro inutili da formulare e per vari motivi. Primo tra tutti il fatto che quelle pronunciate da Benedetto XVI altro non sono che verità storiche, quindi fatti appurati, non fantasie. Un po' come se accusassero il cristianesimo e i suoi rappresentanti per le Crociate: non si possono discutere, sono state fatte ed è stato chiesto perdono per l'errore, per quanto questo tra l'altro possa valere. E poi, perché pretendere delle scuse quando si è i primi a commettere l'errore? Quando si parla dell'Occidente come popolo di maiali ed infedeli; quando ci si permette di mandare in onda su Al Jazeera stupidi cartoni animati con protagonisti gli ultimi due pontefici; quando nelle moschee si predica l'odio e non la religione. L'occidente, semmai, deve ritenersi offeso. Ma una superiorità di qualche tipo – laica? morale? razionale? - e, purtroppo, un eccessivo menefreghismo, fanno sì che nessuno si senta offeso, e tantomeno invogliato ad imbracciare il mitra, per tutto questo.

dazi doganali

Ho seguito con interesse, sul blog di Luca Sofri, la vicenda dei dazi sugli acquisti effettuati in rete. Vicenda che, a quanto pare, sta assumendo dimensioni sempre più grandi e vergognose per il nostro paese. La piccola “inchiesta” di Sofri è culminata con un suo articolo per Internazionale.


di|gni|tà

Se esiste, a questo mondo, un minimo di dignità, stamane si è manifestata. Si è dimesso Rovati.


sabato, settembre 16, 2006

che simpatica canaglia

Tronchetti Provera si dimette – e non credete all'Unità che parla di “licenziamento” - e Prodi, dalla Cina, senza che nessuno gli abbia chiesto ancora nulla, si affretta a dire che lui non ne era al corrente. Ipotizziamo uno scenario di questo tipo: magari ne era al corrente qualcuno dello staff dei fedelissimi del Presidente del Consiglio, che magari durante una telefonata in Cina glielo avrà anche riferito. Ma lui, di suo, non ne sapeva nulla. Che simpatica canaglia, il Professore.


venerdì, settembre 15, 2006

Un disco alla settimana - 6

C'erano una volta gli Articolo 31, un duo – si dice così? - di hip hop – si dice così? - all'italiana – si potrà mai dire così? C'erano e non ci sono più, si dice così in questi casi. Perché, dopo aver fatto la gavetta nell'underground rap italiano, dopo essersi tirati addosso le critiche di molti puristi del genere - nonostante i dischi vendessero - dopo aver cambiato genere quando i puristi ormai si erano dimenticati di loro e di conseguenza i dischi vendevano molto di meno, e – poi, prometto, la smetto – dopo aver ricominciato a vendere i dischi con Domani Smetto e l'Italiano Medio, Jad, il dj, è uscito con un album (Milano – New York) che segue un percorso più consono al suo stile, più clubbing, non è hip hop ma non è nemmeno musica da aperitivo. Inutile dire che si è tolto uno sfizio, e che il lavoro è stato accolto tiepidamente. Ma se gli A31 hanno motivo di non esistere più è perchè ora si attende il lavoro dell'altro, del cantante, di J.Ax. Bene, chiariamo subito una cosa: in questo blog non si parlerà mai di qualcosa che il sottoscritto ritiene di scarso interesse, soprattutto in campo musicale. Ergo non si parlerà mai degli Articolo 31 perché a) non si conosce il genere b) facevano discretamente cagare c) fino a Domani Smetto non mi ricordavo esattamente della loro esistenza, persa la mia mente di tarro del funky per una guapa loca. Quindi se ora dovessi dirvi che “Ti amo o ti ammazzo”, il nuovo singolo di J.Ax che ne anticipa l'album (“Di sana pianta”, presumibilmente in uscita ad autunno inoltrato), è davvero un bel pezzo – o meglio: lo è per me ma se vi fidate mi ringrazierete – c'è da crederci, insomma. E “ti amo o ti ammazzo” è un bel pezzo, cribbio. La prima volta che lo ascolti non ti lascia granché, e passi più tempo ad osservare la copertina – un mazzo di rose con pugnali e schizzi di sangue, roba romantica che purtroppo non si usa più – che a cercare di calibrare il brano. Però sai che possiede un qualcosa che lo rende strano. E allora lo rimetti, ri-schiacci play e così fino a quando il counter di iTunes non segna una cifra tra 10 e 15. Solo allora diventa chiaro tutto e si materializza quel qualcosa che rende strano il pezzo. Ed è uno strano bello, perfettamente autunnale – e oggi, diamine, oggi che tempo c'è? - nella musica, nelle parole e con il culmine nel ritornello, quel “ti amo o ti ammazzo, il tuo ragazzo è pazzo” scarsetto di rima in verità, ma ossimoro meteorologico che traccia i confini di una stagione – l'autunno, il caldo e il freddo, il 'ti amo' o il 'ti ammazzo' – ad uso e consumo di quelli che sono soliti pensare che le mezze stagioni, buff, non esistono più. Ecco il quid aggiuntivo. Andamento strano, medio-lento, con finale in crescita ed in perfetto Rino Gaetano style, l'unica cosa che Ax riesce a fare quando non stona. E glielo si dice con tutto il bene del mondo, sperando che il pezzo per le ragazzine sia “troppo moscio e senza parolacce”. Vorrà dire che ce lo godremo noi il doppio.

Lo trovate in radio dall'8 settembre e su iTunes Music Store, ai soliti 99 centesimi. Non è dato a sapersi di un'eventuale edizione in cd singolo.

Un disco alla settimana old issues