venerdì, ottobre 31, 2008

Charlotte Roche, "Zone Umide"


La parola chiave, in questo caso, è «smegma». Che poi, cosa vuol dire esattamente, nessuno lo ha ancora capito. Partendo dalla soluzione più facile, si può cercare il significato su Wikipedia, che alla voce recita: «lo smegma, traslitterazione del greco σμήγμα, sapone, è una combinazione di cellule epiteliali esfoliate, secrezioni della pelle e materiali umidi che si possono accumulare sotto il prepuzio nei maschi, e nella zona della vulva nelle femmine, con un caratteristico odore e gusto pungente. Lo smegma è comune a tutti i mammiferi, maschi e femmine». Come corredo, la foto di un glande ricoperto da una glassa bianchiccia disgustosa anche se non avete appena finito di mangiare. Sentendo l'informazione libera, che classifica la voce sotto la categoria «medicina», è una cosa negativa, da evitare assolutamente. Proviamo con altro, meno libero e a pagamento. Lo scaffale con la Garzantina di medicina sta troppo in alto, lascio perdere. Ma un buon vocabolario sono sicuro che farà al caso nostro. Dal Devoto-Oli: «materiale di secrezione e di desquamazione che si deposita attorno agli organi genitali, nel solco balano-prepuziale o attorno al clitoride». Ne sappiamo meno di prima, pare.
Ed è proprio per questo che la parola chiave, come dicevo all'inizio, è «smegma». Questo è sufficiente a spiegare il motivo dell'incredibile successo di Charlotte Roche e del suo romanzo «Zone Umide» (Rizzoli, 15 euro). Sufficiente per il successo, ma non per il contenuto del libro in particolare. Ma è mica poco, comunque. Sufficiente per il successo – si diceva – perché la gente, prima in Germania e ora un po' ovunque (tanto da farlo diventare il primo romanzo tedesco ad andare in cima alle classifiche di vendita globali di Amazon, come recitano le note sul risvolto di copertina) lo compra per capire una volta per tutte cosa diavolo sia lo «smegma», visto che due tentativi tra i più usati sono andati a vuoto. E in effetti la definizione di smegma che dà la Roche non è così disgustosa come quelle date fin qui. Si parla di umori vaginali, nel libro. Né più né meno. Niente smegma da infezioni putride. Niente smegma da scarso igiene (per carità, forse di scarso igiene politicamente corretto nel testo ce n'è, ma non è questo il punto). Niente di niente. Presente quando voi donne avete perdite? Quello è smegma, punto e a capo – e non è detto che sia così disgustoso, e consente pure di risparmiare su certi lubrificanti.
Ora che abbiamo tracciato i contorni del successo, possiamo parlare anche di quello che sta all'interno di tali contorni. Prima cosa, il libro è disponibile in Italia da una settimana – giorno più, giorno meno – e fa parte della stessa collana di Rizzoli (la 24/7) che ha pubblicato anche il libro di Guia Soncini (che lo so, non c'entra nulla ma siccome citarla pare ultimamente essere l'unico modo sicuro di incrementare le visite di questo blog, anche oggi ho compiuto il mio dovere, ora sotto con i commenti!). Il contenuto, si diceva. I paragoni, almeno in Italia, sono stati fatti con Melissa P. e con «V.M. 18» di Isabella Santacroce. Della prima non diciamo nulla, ché a dire male ne è piena la Rete. Sufficiente ribadirli come diari adolescenziali che giusto da noi potevano far scalpore. Dall'opera della seconda, invece, prendiamo le distanze; pur con tutta la sincera simpatia che la Santacroce ci provoca, quel libro era pornografia gratuita e parecchio surreale. Erano nomi ampollosi e pugni infilati nei buchi di culo, era una bulimia di luoghi comuni che alla lunga – cioè, alla breve, visto che il libro l'ho mollato quasi subito – ci ha provocato la nausea, con buona pace di Massimiliano Parente che su Libero propone una rivalutazione del romanzo. Altro pianeta la Roche. Che parte da una rasatura anale malriuscita, con conseguente taglio di emorroidi (le quali, assicura la protagonista del libro Helen Memel, non devono rappresentare un ostacolo per l'uomo che vuole andare a letto con lei) per raccontare fondamentalmente la solitudine di una adolescente tedesca, certo molto diversa da una italiana che piange sulle canzoni di Tiziano Ferro e legge i libri di Moccia (o, talvolta, fa addirittura le due cose contemporaneamente). La solitudine condita da una dose di sessualità – e di esperienza sessuale – che certamente rendono la protagonista, e quindi il libro, più appetibili al pubblico. Partendo dal presupposto che l'igiene è una mania, una morbosità, una costrizione della società moderna (si potrebbe tracciare un parallelismo con certo ecologismo militante), che i profumi sulle donne fanno schifo e che a strusciare la fica su ogni lurida tavoletta di ogni lurido cesso non succede nulla (con tanto di ginecologo che certifica la perfetta sanità dell' organo sessuale), viene raccontata la solitudine di una ragazza che ha strane tecniche di seduzione basate sugli odori (ovviamente «naturali»), strane tecniche di coltivare pianticelle di avocado («a parte scopare, il mio unico hobby») e poi di riutilizzarle alla bisogna, quando i semi sono così piacevoli al tatto; che ha strane manie di farsi depilare da uno che ha conosciuto al mercato; che è ossessionata da ogni sua secrezione corporea, tanto da infilarsi spesso le dita piene di contenuto in bocca («adoro annusare e assaggiare il mio smegma»), perché «se sono una parte di me non possono di certo farmi male»; che si masturba e fa sesso anale senza vergognarsi di dirlo. Ma, al fondo, sta sempre la solitudine. Tanto che in ospedale mente (e si flagella lo sfintere: che altro segno di disagio se non l'autolesionismo?), pur di prolungare la sua degenza e quindi di aumentare le possibilità che sua madre e suo padre si rimettano insieme.
In Italia, che di tutto ciò non abbiamo capito niente, perché al massimo ci eccitiamo o ci disgustiamo, siamo riusciti ad imbastire addirittura un talk show sul libro [ottoemezzo, La7, 31.10.2008], invitando l'autrice e dimenticandoci non solo di parlare del libro, ma anche di leggerlo, mettendola chiaramente in imbarazzo. Si è finiti quindi a rimuginare (ancora una volta, eccheppalle!) sul ruolo e la centralità del corpo femminile, a parlare di veline come esempio negativo di corpo che subisce la pressione della società (e della sua cultura igienista) e ad invitarle pure (Maddalena Corvaglia, sinceramente insopportabile nel volere sempre intervenire in modo fastidioso e nel non rispondere mai alle domande non si sa se perché non capite o perché una risposta sarebbe stata troppo difficile). La Roche, nel frattempo, rideva. Io, nel frattempo mi segnavo le cose più divertenti da qualche parte, con la promessa di ritornarci sopra il più presto. Ma ho letto il libro – a differenza di quelli della televisione – e l'ho fatto in tempi non sospetti, quando il fenomeno era circoscritto alla sola Germania e in Italia aspettavamo la traduzione forse in 4 o 5 (cioè la scorsa settimana). Alla fine è chiaro che la chiave di tutto è lo smegma (a proposito: va bene o va male?), senza di quello addio sogni di gloria per la Roche, che avrebbe continuato a fare la vj sul canale Viva. Invece ci ha regalato un libro che strappa sorrisi al pubblico, che – si spera – eleva le letture medie dell'adolescente italiana/o media/o, portandole magari per una sola volta in linea con quelle degli adolescenti europei. Che non sono meglio o peggio: solo, più adolescenti.

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mercoledì, ottobre 29, 2008

Aggressione politica.


Walter Veltroni, con il solito aplomb che ormai lo contraddistingue (leggi: una certa dose di faccia come il sederino) ha dichiarato che gli scontri tra studenti in Piazza Navona a Roma sono il risultato di «un'aggressione politica». Forse perché, come hanno testimoniato i tiggì di mezzogiorno, questa mattina il capogruppo del Pd al Senato, sen. Finocchiaro, “arringava” con tanto di megafono la folla di studenti incazzati e applaudenti?

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sabato, ottobre 25, 2008

la minigonna la rende solo più spregiudicata - e pure più romanesca

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non era Central Park, ma il Circo Massimo (o il massimo del circo?)

Ogni tanto buttavo un occhio. Il televisore era acceso, non potevo fare altrimenti. Così ho potuto constatare che era tutto sbagliato: il luogo, ma soprattutto il modo all'americana di fare le cose, con lui che viene fuori dal centro, dietro i compari, il pubblico intorno con i cartellini in mano tipo Obama-Biden o McCain-Palin – oddio, ricordate quanto dicevano Veltroni-Franceschini? Dopo un po', altra occhiata: stava parlando ancora, ed era arrivato suppergiù al punto in cui si rammentavano recenti inchieste giornalistiche circa il dilagare dell'alcolismo giovanile. Si parlava di ragazzini che a 11 anni bevono, e la causa non può che essere un non meglio specificato buco della società. In quel momento lo sforzo l'ho fatto, e il televisore l'ho spento. È nuovo, costato qualche migliaio di euro. Correre il rischio di sfasciarlo perché l'ammerricano avrebbe insinuato una colpa di Berlusconi in questo mi sembrava improvvisamente un cedere alle provocazioni del bambino che ha la mamma più puttana di tutte, ma la tua – dice – lo è di più. Una balla, condita con lo gné gné.

PS – apprendo poi che c'è stata la solita guerra di cifre. I telegiornali hanno parlato di “qualche migliaio”, gli organizzatori di “due milioni e mezzo”. Il Sole 24 Ore ha fatto il calcolo: al Circo Massimo non possono starci più di 300 mila persone, e dalle immagini televisive pare che la maglia costituita dalla folla non fosse delle più strette. Al di là di tutto, un Fabrizio Cicchitto in forma strepitosa: “per il principio della non compenetrabilità dei corpi non possono essere più di 300 mila”. Meno male che una tragedia ha suscitato una battuta.

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lunedì, ottobre 20, 2008

i nuovi Giornale e Riformista. In breve, molto in breve.

Due giornali oggi in edicola in una nuova veste grafica: Il Giornale e Il Riformista. Il primo è veramente un buon prodotto, giovane ma non giovanilistico, moderno ma non troppo, molto europeo. Pecca solo, secondo me, nel voler riproporre il Controcorrente di Montanelli in prima pagina. Il secondo, che vuole tra le altre cose passare da giornale di opinione a primo giornale – ispirandosi al Financial Times, pensa un po' te – è orrendo, troppo colorato e poco compassato.

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giovedì, ottobre 16, 2008

Il nuovo supporto Sandisk nasce vecchio

Volendo essere approssimativi, e rimanere solo negli ultimi 50 anni, all'inizio c'era il vinile. Che fu una rivoluzione. Poi arrivò la musicassetta. Che fu una rivoluzione. Poi il compact disc, che di tutte le rivoluzioni fino ad allora presentate era quella che prometteva di rivoluzionare realmente il mercato. E fu, inutile dirlo, rivoluzione. Poi un buco nero ha inghiottito la voglia di rivoluzionare: ci hanno provato con il DAT e il Minidisc; il primo è rimasto un prodotto riservato agli addetti ai lavori, il secondo ha iniziato a prendere piede troppo tardi, quando ormai i giorni dell'audio compresso digitale - per giunta scaricabile dal web - erano alle porte. Altri tentativi, grotteschi, sono stati fatti da Philips con la DCC (chi se la ricorda?) o, insieme alla Sony, con il Super Audio CD (SACD), che mostrava subito il limite maggiore: stabilito che la quadrifonia non è mai realmente interessata a nessuno, chi era così filologicamente scellerato da voler ascoltare in audio 5.1 “The Dark Side of The Moon” dei Pink Floyd, disco che è stato inciso in stereo e basta? Infatti pochissimi ascoltatori ci sono cascati. Ora è giunto il momento dell'ennesima rivoluzione annunciata, e solo il tempo dirà se sarà tale o finirà nel reparto dei “malriusciti”. La Sandisk ha annunciato la vendita di dischi su un nuovo supporto: una minischeda SD sopra la quale saranno pre-caricati dischi in formato MP3 ad alta qualità (320 kbps di bitrate) e senza i DRM, cioè liberi da qualunque limitazione all'utilizzo, al prezzo di 20$.

Personalmente credo che la cosa sia un bluff destinato a mostrare quanto prima tutte le sue limitazioni. Per prima cosa, non c'è rivoluzione, semmai involuzione. Nel senso che è assurdo tentare nuovamente di vendere musica su un supporto, quando già di dischi se ne vendono pochi, e quei pochi che si vendono mostrano una disaffezione crescente degli utenti “medi” nei confronti del supporto ormai più comune come il compact disc. Cresce, è vero, il mercato del vinile, ma è un discorso radicalmente diverso, è un supporto scelto da appassionati o da giovani che lo acquistano proprio perché “vecchio” e senza relazioni apparenti con la musica contenuta su supporti ottico-digitali. In seconda battuta, è una rivoluzione presunta perché vorrebbe semplicemente cambiare il modo di vendere l'ultima rivoluzione dei supporti audio, ovvero i “non supporti”; pensare di mettere gli stessi file che si scaricano, anche legalmente, su un supporto, e farli pagare quasi quanto un cd, è un suicidio commerciale, anche se ben infiocchettato. Senza considerare che, a scarsità di confezione (certo, ci sarà anche qui una misera copertina...) ci si scarica l'album per molto meno: l'ultimo lavoro di David Byrne e Brian Eno, “Everything That Happens Will Happen Today”, per dire, è venduto direttamente dal sito degli autori, in MP3 a 320 kbps e senza DRM (a parità di condizioni, dunque) per circa 9$ in digitale (con annesso digital booklet) e per circa 12$ nella vesione digitale + cd. Terzo punto, allo stato attuale la stragrande maggioranza dei lettori musicali non è in grado di leggere supporti di tipo flash disk; il che, tra l'altro, è il loro punto di forza: non c'è bisogno di aggeggi intermediari per far funzionare un iPod, basta collegarlo al computer e da lì trasferire – o tenere sincronizzata – la musica. Certo, la Sandisk ha annunciato contestualmente al supporto anche il lettore, promettendolo a prezzi bassi e concorrenziali; anche qui, però, anziché fare un passo avanti se ne fanno un po' indietro: sembra di essere ritornati ai tempi del walkman o del discman, quando si andava in giro con le cassette (o i cd) nello zaino, tutte scomodità azzerate dai lettori mp3. E a proposito di schede, e qui introduciamo un altro problema, cosa ce ne faremo una volta acquistate? Sono riutilizzabili? Sono riscrivibili anche quelle originali? E, ammesso che lo siano, due o tre ad alta capacità basterebbero per i bisogni dell'ascoltatore medio: poche, per garantire la sopravvivenza di un intero mercato. Un esperimento di questo tipo, tra le altre cose, non è nuovo in Italia: si sono già viste nei negozi le chiavette USB pre-caricate di di dischi nuovi, ovviamente i titoli più blasonati (ricordo “Safari” di Jovanotti), e vendute sempre in abbinamento ad altri tipi di gadget come porta telefonini e altri (inutili) ameniccoli. In ultimo, il catalogo di dischi promesso dalla Sandisk sembra parecchio scarso e parecchio rivolto al passato: Abba e Jimi Hendrix, tra i nomi. Abbastanza limitato e limitante: un giovane Hendrix se va bene lo compra e se va male lo pirata, ma in entrambi i casi scaricandolo; un meno giovane o un appassionato andranno alla ricerca della ristampa del cd o dell'edizione in vinile, a seconda del grado di passione. A nessuno verrebbe in mente di comprarsi “Are You Experienced?” su una scheda SD. Dite voi, se ne vale la pena.

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martedì, ottobre 14, 2008

il lettore risentito, adornianamente parlando.

Mi sembra di ricordare che uno dei tipi di ascoltatori musicali individuati da Adorno nelle sue celebri lezioni di sociologia della musica tenute nel semestre a cavallo tra il 1961 e il 1962 all'Università di Francoforte fosse l'«ascoltatore risentito», con le varianti di «esperto» e «fan». Spero di non sbagliarmi, è roba che dovrei ritornare a bazzicare quanto prima dopo lunga pausa. Comunque, se ricordo bene, chissà se funziona una trasposizione che dal campo musicale passa a quello letterario? Ricevo nei commenti e riporto qui, per non sprecare tutto questo ben di Dio:
Ordine Generale apre i blog su Guia solo perché si augura che qualcuno ne sparli. E' una certezza, non un sospetto. Qui si dice che aveva parlato del libro di Guia, ma se Mariolina non lo pungolava, col cavolo che ne avrebbe parlato! Lo fa per dire che è bruttino, avete mai sentito dire di un libro che è bruttino? Io mai. Perché si dice fa schifo, è pesante, è noioso, non mi piace e tante altre cose, ma bruttino è la prima volta che lo sento. A parte il fatto che ho letto quasi tutte le recensioni e visto alla tv le presentazioni e non erano certo marchette perché a Guia, se proprio lo vogliamo dire, non regala niente nessuno e so quel che dico perché mio marito che si occupa di queste cose, mi ha fatto notare che per Guia la casa editrice non ha fatto uno straccio di pubblicità mentre c'è stata una straniera sua collega che ha scritto dei libri improbabili che ha avuto pagine intere di pubblicità sul grande quotidiano anche se tutta l'Italia sa che non li scrive lei. E mi fermo qui Ordine Generale per rispetto alla serietà della categoria, ma il tuo commento mi ha fatto uscire dai gangheri perché va bene abbozzare, ma non esageriamo. Non mi interessa che sia pubblicato questo mio commento, l'importante per me è che tu sappia che ho voluto dire quello che ho detto.

Per non lasciare monca la cosa, la mia risposta:
Cara Giovanna,
mi fa piacere che attendi il mio verdetto sulle cose per poi attaccarti ad ogni singola parola e abbozzare - adesso sì - una replica nei miei confronti. Ho scritto che il libro "è bruttino", e l'ho fatto all'interno dei commenti ad un post sul mio blog, non sulla Terza Pagina del Corriere della Sera. Troppo banale come argomentazione? Libera di leggere altro che soddisfi il tuo esigente palato culturale. Evidentemente è il giudizio in sé che pesa e non il modo in cui l'ho formulato, perché sulla sfilza di "fantastico!", "entusiasmante!", "immensa come sempre!" che è stata ripetuta finora da queste parti non hai nulla da dire (o forse mi sono perso qualcosa? Nel caso, pungolami). Il fatto è che, a volerla dire tutta, il mio "bruttino" è stato seguito da un "nulla che abbia lo smalto della Guia giornalista". Ecco, se proprio ci tieni e non ti imbarazza la brevità della frase, parliamo di questo aspetto (e non di quello che si dice nell'ambiente, per favore, ché siamo tutti buoni a dire "conosco questo, e conosco quello, e la collega, e l'editor e vattelapesca..."). Sul fatto poi che io apra blog - nel caso, comunque: scrivo post, che è diverso - su Guia con il solo fine che qualcuno ne sparli, mi rimetto a te. Giuro che questa non è mai stata la mia intenzione, ma se tu ne hai addirittura "certezza", non mi permetto di rovinare il tuo pensiero: a me, cambierebbe poco. I pensieri del retrobottega editoriale italiano mi interessano poco: alla fine, il giudizio che conta lo decreta il lettore, sempre. Troppo facile nascondersi dietro "quella ha la pubblicità e i romanzi manco li scrive lei". Accomodante per chi è stroncato, ma anche per chi si vorrebbe con la frase stroncare. Solo un dubbio: pensi davvero che dire che un libro "fa schifo" o "non mi piace" sia tanto meglio che definirlo "bruttino"? Cioè, sugli alti piedistalli dell'industria e della critica letteraria italiana - sopra i quali ti collochi - si ragiona con queste sublimi categorie critico-estetiche? Nel caso, lasciami godere del mio "bruttino".
Saluti.

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venerdì, ottobre 10, 2008

vi racconto un fatto.

Vi racconto un fatto. Liceo dell'hinterland milanese, lo stesso che ho frequentato io ormai anni or sono. Stamattina alcuni studenti, i soliti che chiunque abbia fatto le superiori conosce e che sembrano reincarnarsi ogni quinquennio sotto nuove sembianze, facevano un picchetto fuori da scuola per impedire agli altri alunni – quelli che a scuola ci vanno per studiare – di entrare. Il motivo, uno sciopero. Di quelli autogestiti, come si dice in gergo; di quelli organizzati grazie al tam tam di sms, di e-mail e, ultimamente, di Facebook: «Ragazzi, a questo giro non si entra, mi raccomando! Facciamo sciopero!». Queste cose le so perché mio fratello frequenta quel liceo. E non è uno studente reincarnato, portatore in corpo di qualche teppistello del '68. No, è uno studente dell'altro tipo, descritto qualche riga più su come di quelli che a scuola «ci vanno per studiare». Capita – proseguo nel racconto del fatto – che io sia l'unico in famiglia in grado di poterlo far uscire da scuola anticipatamente: i miei sono in vacanza all'estero, e lui è ancora minorenne. E capita anche che in classe di mio fratello solo in due non hanno aderito allo sciopero: lui e una sua compagna di classe. Come logico, la professoressa di latino non farà lezione, e così anche tutti gli altri che verranno nelle ore successive. Di più, quella di latino invita mio fratello e la sua compagna di classe ad uscire dalla scuola se vogliono, senza dover adempire a tutti gli obblighi burocratici per l'uscita anticipata: apprezza il loro comportamento, apprezza che siano voluti entrare in classe, ma la campanella è appena suonata, lei fingerebbe un leggero ritardo e dice che no, farebbe finta di non averli visti e non segnerebbe la loro presenza sul registro. Ma i due compagni di classe sono curiosi: oggi la professoressa avrebbe riconsegnato i compiti in classe di latino, e loro vorrebbero conoscerne l'esito. Optano quindi per rimanere in classe almeno la prima ora, poi i fratelli – io e la sorella della compagna di classe – andranno a prenderli durante l'ora successiva. La professoressa accetta, e consente che sia fatta col cellulare una chiamata a casa per avvisare di andare a prenderli.
Sono le 10 della mattina e varco senza alcun rimpianto i cancelli del mio ex liceo: a mio fratello è andata bene, gli impegni mi permettevano di assentarmi per una mezzoretta. Entro, e lo trovo con il registro in mano, pronto per portarmi dalla vice-preside a firmare il permesso di uscita anticipata. Ma proprio fuori dall'ufficio di presidenza succede una cosa: prima di me è arrivata la sorella della compagna di classe di mio fratello, e sta discutendo con la vice-preside la quale proprio no, non vuole saperne di far uscire in anticipo la studentessa. Non ce ne sarebbe motivo, secondo lei. La sorella maggiore fa notare che un'uscita anticipata necessita di una giustificazione formale ma che in pratica non si devono fornire elementi particolari; insomma, per quanto potesse saperne la vice-preside, in casa loro era morto il gatto e non volevano condividerne il dolore con il primo passante. La preside, stronzissima, dice che non le interessa, l'alunna non può uscire e «ringrazi che non metto a sua sorella una nota disciplinare che pure meriterebbe: ha usato il telefono cellulare in classe, il che è proibito dal regolamento». E fa nulla se proprio la professoressa di latino, che dovendo far rispettare le regole può concedere anche delle deroghe, era al corrente delle telefonate. Mio fratello capisce la situazione, vede il mio sguardo e, conoscendomi, mi dice di lasciar perdere, tornerà in classe a studiare o a passare il tempo in qualche altro modo. Io, che lo conosco almeno quanto lui conosce me, accetto la sentenza senza fiatare, anche se mi giravano le palle per il principio e – a quel punto – anche per il tempo perso. Andrò a casa. Faccio per uscire dal corridoio che porta agli uffici del preside e del suo vice quando, appesa alla bacheca «avvisi della presidenza», trovo la fotocopia ingrandita di un articolo di giornale che annuncia la manifestazione dei sindacati della scuola contro il ministro Gelmini e la sua riforma, prevista per il 30 di questo mese. E mi viene il dubbio che mio fratello e la sua compagna di classe non li abbiano fatti uscire perché crumiri.

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mercoledì, ottobre 08, 2008

L'oro.

Che poi appena entrano in Parlamento sono tutti lì che smaniano per far sapere all'Italia intera che sono laureati, loro.

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martedì, ottobre 07, 2008

coffeine refill.

Il blog Kelablu ha scritto una cosetta sfiziosa (che però non è fresca, arrivando da Wired) circa il fatto che Microsoft pare copiare Apple. En passant, si nota anche un certo tentativo di far trasparire una qualche superiorità di Starbucks nei confronti di McDonald's – Mc chi? Ancora?

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