sabato, novembre 29, 2008

venerdì, novembre 28, 2008

farla fuori dal buco e non accorgersene.


Carlo Antonelli, direttore di Rolling Stone Italia, scrive nell’editoriale sul nuovo numero [n. 62, p.9] che gli studenti in piazza contro la Gelmini hanno «alzato la testa e detto la loro. Hanno riaperto il loro futuro». Questo per affermare il concetto secondo cui «il conflitto è il cuore della democrazia» e sottintendendo, ovviamente, che la democrazia in questo momento sia un concetto astratto in Italia. Forza studenti, par di capire, e abbasso il ministro Mariastella Gelmini, che nello stesso numero della rivista musicale (!), per mano di Alberto Piccinini, è dipinta [ibidem, p. 44] come un essere che «non esiste», un’entità astratta «fantoccio della destra grigia e benpensante che ha in odio da sempre gli scioperi, i capelloni, il rock&roll, gli autostoppisti, le canne, Jimi Hendrix, la sinistra, l’aborto, le comuni, sognando California, sedersi per terra, cogliere i fiori di campo, cercare quadrifogli, fare le impennate con la bicicletta, spaccare un vetro con le pallonate, frequentare i centri sociali […] tutte cose che hanno reso appena sopportabile questa vita». Quando vi sarete ripresi dalla sbornia causata da questa lunga serie di luoghi comuni – e grazie al cielo che alla destra è ancora concessa una sana scopata – continuate a leggere.
Gli studenti della Sapienza di Roma, che dell’«onda» studentesca è stata il motore primo, hanno votato per eleggere i loro rappresentanti nel senato accademico e nel cda. Ai primi tre posti ci sono tre liste di destra. La prima lista di sinistra si è collocata al quarto posto, dando luogo ad una debacle clamorosa e disturbando l'inagurazione dell'Anno Accademico.

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Gonzo Natal, di Celentano il regal

La serietà di un artista, inteso come di un artista ancora in vita (dove la vita, ça va sans dire, è la sua attività) si misura in vari modi. Il rapporto specifico che ha con la sua opera è senza dubbio uno di questi. E per «rapporto specifico» non s’intende solo il lavoro di stesura, di composizione – di produzione tout court, insomma – ma anche come l’opera prodotta viene veicolata al pubblico, grande o piccolo che sia. Rimaniamo su quest’ultimo aspetto: più grande, in termini numerici, è il pubblico che si aspetta la tua opera, più tu hai potere su di esso. Questo avviene almeno nel campo della musica: basti pensare ai grandi artisti e alla capacità manipolatoria che questi hanno sugli spettatori, sui fan ancor di più, grazie alla loro produzione artistica, che funge appunto da veicolo, da mezzo per raggiungere la gente. Se sei un grande artista, e conti su un gran numero di persone che ti sono affezionate, il momento di uscita di un nuovo lavoro è una grande attesa, attesa che ripaga il pubblico e – conseguentemente – ripaga anche te. Se sei un artista mediocre, o un artista ex tale, e del pubblico un pochetto te ne freghi e lo tieni buono solo per battere cassa, il momento di uscita del disco si trasforma in un rapporto tra gonzi: gonzo tu, artista, che ritieni il pubblico anch’esso gonzo, pronto ad accaparrarsi ogni scoreggetta che fatichi a trattenere dall’altra parte del rosone. Un pubblico che però non è più un pubblico di affezionati; è un pubblico distratto, un consumatore non abituale, che ritiene giusto acquistare un’opera (musicale, in questo caso, ma il discorso è estendibile ad altri contesti artistici) in un determinato periodo dell’anno, quasi fosse un obbligo morale. E l’artista, quello derubricato sotto la voce «mediocre o ex tale», sa che quel periodo dell’anno è per lui fondamentale per avere il giusto traino nella promozione e conseguentemente nella vendita del prodotto. Buttasse fuori un disco – una data a casaccio – il 13 di maggio, mediaticamente non sarebbe lo stesso – per fare quello ci vuole coraggio, coraggio che quasi sempre manca al mediocre. Il periodo dell’anno che possiamo ormai chiamare «periodo gonzo» per via del rapporto artista-pubblico di cui sopra, nella fattispecie, è il Natale, quando i negozi di dischi sono invasi da ogni tipo di raccolta, greatest hits, best of, live, cofanetto e chi più ne ha più ne metta. Spesso sono operazioni truffaldine, messe insieme dalla casa discografica cui mancava ancora l’uscita di un album per vedersi il contratto onorato in tutta la sua integrità – l’artista, nel frattempo, è già scappato previo pagamento di penale su un’altra major. Spesso ancora sono assembramenti di due-tre dischi già editi in una nuova confezione di cartoncino corredata da adesivo accattivante. Quasi mai è roba di un qualche particolare interesse. Come spero si sia capito, c’è gente che vive sul dischetto di Natale, e andrebbe in panico a far uscire qualunque altra cosa in un qualunque altro periodo dell’anno. Questo per dire che Natale è proprio arrivato e, puntuale come ogni anno, con lui anche Adriano Celentano, il quale approfitta del meccanismo fatto di gonzissimi regali comprati da gonzissimi acquirenti da donare a gonzissimi riceventi, e manda nei negozi la sua nuova raccolta («L’animale», Clan Celenano/Sony BMG), mascherandone l’inutilità con la solita foglia di fico dei due brani inediti: una cover de «La Cura» di Franco Battiato e una canzone dal solito sapore di ecoterrorismo rancido e ritrito, quella robetta che da quando ha scritto «Il ragazzo della via Gluck» gli serve per innalzarsi a profeta, dal titolo inquietante di «Sognando Chernobyl» – noi, per il momento, ci si dà una grattatina e si spera di ricevere in dono un disco uscito magari trenta o quaranta anni fa, che sia scelto con cura da chi fa il regalo in base ai suoi personali gusti.

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giovedì, novembre 27, 2008

ad Axl dategliela diet

Come saprete, Axl Rose ha impiegato 15 (quindici!) anni per far uscire Chinese Democracy, l’ultima fatica dei suoi – il corsivo non mi è scappato, è voluto – Guns n’ Roses. Quello che non saprete, probabilmente, è questo: avete presente la Dr Pepper, quella bevanda che in Italia tutti conoscono e tutti vogliono assaggiare perché la si vede nei film e telefilm ammerriccani ma che nessuno trova semplicemente perché non importata (mi dicono di un tentativo, andato male, fatto un sacco di anni or sono) nonostante sia la più antica cola prodotta negli Usa? Bene, come trovata promozionale, quelli che la producono lo scorso marzo hanno dichiarato che se Chinese Democracy fosse uscito entro la fine dell’anno, ne avrebbero regalato una lattina a chiunque ne facesse richiesta. Poi il disco è uscito, e loro si sono trovati nella condizione di dover onorare la promessa. Ma come fare, visto che presumibilmente si sarebbero presentati a migliaia – se non a milioni – a ritirare il simpatico ‘premio’? Far scaricare un coupon dal web per poter ritirare la lattina omaggio è parsa la soluzione migliore. Solo che, come facilmente prevedibile, il sito della Dr Pepper è stato preso d’assalto, per cui i termini per il ritiro del buono sono slittati, a tal punto che Axl Rose – parecchio scazzato per la cosa, pare – ha chiesto che la Dr Pepper ammetta il fallimento della sua operazione tramite la pubblicazione di un mea culpa sui principali quotidiani americani e si impegni a concedere più tempo ai clienti. Lui, che c’ha messo 15 (quindici!) anni per un disco bruttino, ora s’incazza se qualcuno impiega due giorni in più a distribuire prodotti omaggio.

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Charlotte Roche, Zone Umide pt. 2 (e la vanità del blogger)

Un paio di post sulla vanità del blogger, in una settimana scarsa, e per il resto un gran silenzio, non sono molto – questo il rimbrotto che leggo in ognuno di voi. Avete ragione, per carità. Di cosa vogliamo discutere ce lo siamo però chiesti? Potrei star qui ore a scrivere di politica, di massimi sistemi, analizzare il casino che è successo in India, a Mumbai, o anche cose più frivole tipo il volto nuovo della sinistra extraparlamentare, inteso come Vladimir Luxuria (ma noi persone serie la conoscevamo già per il suo estro artistico e per la sua carriera pre-onorevole, nevvero?) oppure cercare di analizzare perché l’Atlantic ha dichiarato che la vendita di dischi tramite il downloading digitale ha superato quella su supporto ‘tradizionale’. Siamo sicuri di volerlo fare, ché già i blog là fuori sono intasati di tutto questo?

Niente, vi tocca ancora la vanità. E vengo al dunque: oggi mi è stata recapitata, omaggio gentile e quindi ancor più gradito, una copia del libro di Charlotte Roche Zone Umide (Rizzoli, 15 euro). Mi è stata spedita perché su questo blog se ne è parlato un gran bene, e l’ho consigliato (e lo consiglio tuttora, a maggior ragione) a voi lettori magari illudendomi (io e l’ufficio incaricato della promozione) di aver fatto aumentare di una paio di copie il fatturato di Rizzoli per quest’anno. Dell’omaggio, ovviamente, sono molto grato. Quasi che il mio essere blogger – con tutto quello che ne deriva, non ultima una quantità di tempo passata a scrivere gratis per il piacere di farlo – abbia finalmente avuto la sua gratificazione. E con esso la mia vanità.

Tornando al libro, apprezzate la sincerità: ho detto che secondo me è un gran libro prima di riceverne una copia in omaggio e dopo averne pagata una di tasca mia; anzi, l’omaggio è la conseguenza dell’averne parlato bene. Per cui si deve trattare proprio di un bel libro. Ottimo anche come strenna natalizia alla vostra amica scandalizzata da eccessi verbali e ossessionata dall’igiene e da un’idea vecchiotta di femminismo (sostiene l'autrice del libro, in un'intervista al Corriere della Sera [14.10.2008], che «la donna è una cosa sola, non è unicamente sesso profumato, è anche altro, va in bagno, si ammala, sanguina. Non riconoscere e non parlare di questa sua parte limita e costringe la donna»). Se siete a corto di idee, fate almeno la fatica di ringraziarmi.

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venerdì, novembre 21, 2008

questioni di identità


A Debora, che la incuriosisco.

La vanità, quella, l’è una brutta bestia. Ma per avere un blog è neccessario esserlo almeno un po’ - vanitosi intendo. E così mi si lascia commentato qua e là che “incuriosisco”, che “è stato fondato un gruppo su Facebook di gente che ti vorrebbe conoscere” e, insomma, fa più che piacere – sono vanitoso, ormai lo saprete: quindi se e solo se non mi conoscete di persona, iscrivetevi a quel gruppo. Solo che – suvvia! – incuriosire mi pare un po’ troppo, svelare addirittura la mia identità è fuori da ogni logica. Perché questo blog è nato per la vanità ma fino ad un certo punto: nella vita credo di avere altre valvole di sfogo attraverso le quali lasciarla uscire. Ecco, vedete il blog come una di queste valvole, e tutto vi sarà più chiaro. Vi è poi che non solamente per la vanità ho creato ormai anni or sono Ordine Generale: mi serve anche come esercizio continuo, come tela dove gettare sopra – ‘schizzare’ sarebbe stato ancora più opportuno – tutto quello che mi passa per la testa, e come mi passa per la testa, con tutte le arzigogolature e le mancanze di forma e di sintassi – e di contenuto, spessissimo – e dove poter abusare di tutte le parentetiche e saltare i punti e fare un sacco di consecutive, di subordinate, di anacoluti; mancare totalmente le gerarchie grammatico-lessicali (!), ché almeno non c’è nessuno che vuole che io faccia così o colà, e io sono l’arbitro – e il direttore, e il caporedattore, e l’editor e spesso anche il lettore – unico di questi schizzi. Credo abbiate compreso, no? Un esercizio unico, ma anche un punto di riflessione senza eguali: buttare già un pensiero serve per assimilarlo meglio, talvolta anche per articolarlo meglio nella propria testa prima ancora che su foglio – o su pixel, quel diamine che volete voi! Un po’ bloc notes e un po’ saggio – “paper”, come dicono quelli che pubblicano sulle riviste accademiche. Un po’ anche angolo del ribrezzo, perché a volte rileggo roba indietro con i mesi che mi fa accapponare la pelle – tra qualche mese queste righe saranno tra quelle, già sono pronto a scommetterci: la vena oggi è scarsa, e scarseggiava anche ieri e l’altro giorno pure, domani chissà. E anche “una sega”, come mi pare scrisse una volta una grandissima giornalista tanto amata da queste parti – salvo poi farsi anch’essa un blog, come tutti i bravi ragazzi; e va bene così.
In tutto questo voi, carissimi lettori che nemmeno ci speravo mi seguiste così assiduamente e – perché no? – anche affettuosamente, giocate un ruolo fondamentale. Perché a volte mi accorgo, tra uno schizzo e una riflessione, che non posso prescindere da voi, che in qualche modo il messaggio è rivolto a qualcuno. Poi, però, mi rilasso: un modo in più per riflettere meglio, o per esagerare con le licenze. Questa, forse, l’unica identità che vi posso svelare, e sapete bene come un ‘vedo e non vedo’ sia molto più intrigante di becera pornografia. L’identità vera, lasciatela a me. Lo scopo di Ordine Generale non è questo, e a dire il vero se cercate bene negli archivi troverete qualche corrispondenza tra quanto pubblicato qui e quanto su larga scala (e solo perché non conoscete il cestino della carta straccia, a me tanto famigliare) che vi potrebbe facilmente ricondurre alla mia persona. Del tutto trascurabile, del resto, rispetto a quanto scrivo qui. C’è poi il piacere, la vanità (ancora!) che gioca un ruolo tutto suo; ma quel ruolo – purtroppo o per fortuna, stabilite voi ché io non ci riesco – non è sufficiente. Non basta.

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Echo & The Bunnymen, The Killing Moon (1984)

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mercoledì, novembre 19, 2008

la macchina del tempo.

Capita che alzandosi una mattina qualunque, come questa mattina, e credendo di vivere una ventina d'anni più avanti, ci si trovi invece inchiodati così violentemente al presente. Grazie alla prima pagina de Il Piccolo di Trieste di oggi, 19 novembre 1986.

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martedì, novembre 18, 2008

si arrossisce, almeno un po'.

Mi dicono quelli che ne capiscono, che su Facebook questo blog si è guadagnato addirittura un gruppo tutto suo. O meglio, tutto mio, perché nella fattispecie si iscrivono quelli che mi vorrebbero – addirittura! – conoscere. Troppo buoni, troppa grazia. Sappiate che aumentano i sensi di colpa per non essere così presente come vorrei. Ma ci sarà modo.

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venerdì, novembre 14, 2008

oplà, la televisione!

Nel giro di cinque-minuti-cinque – e non è una finzione letteraria – su La7 si è sentito quanto segue:

1. Daniele Capezzone ha deliziosamente dato del “coglione” a Marco Travaglio. [Ottoemezzo]
2. Giorgio Bocca ha lasciato intendere che i giornali di oggi sono diversi da quelli in cui è cresciuto lui perché, tra le altre cose, “i fascisti sono [considerati] democratici”. [Le Invasioni Barbariche]
3. Daria Bignardi, parlando della categoria dei giornalisti, ha usato la prima persona plurale (“siamo”). “siamo” chi, Daria? [Ibidem]

Se succede qualcosa d'altro di esilarante, perdonatemi per non averlo segnalato. Già questo mi sembra più che sufficiente.

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mercoledì, novembre 12, 2008

una domanda, (al momento) zero risposte.

Se lo chiedono in tanti tra i miei lettori. E se lo chiede anche Dagospia [12.11.2008]: "Perché Guia Soncini, dopo tre articoli e una sola rubrica domenicale, non scrive già più sul Riformista?"

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domenica, novembre 09, 2008

Zucconi ha abbronzato Obama prima del Cav.


«I commentatori che fino a dieci giorni fa calcolavano il margine di vittoria del senatore abbronzato e la batosta della Fata Turchina dei ghiacciai con il suo rimorchio senile ora non si fidano dei sondaggi.»
Vittorio Zucconi, Più sondaggi per tutti, 31.10.2008

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sabato, novembre 08, 2008

nazismi.

Dire di un uomo di colore, nero, che è “abbronzato” non è niente di spiacevole a meno che non si voglia scatenare un'inutile bagarre perché non è rimasto nulla cui appigliarsi. Figuriamoci poi che peso possa avere l'espressione, se il contesto nel quale l'aggettivo è stato usato era quello del complimento - “carineria”, direbbe il Cav. - ed esso era addirittura preceduto da “giovane e bello”. Per dire, chi da noi (ma non solo) si è stracciato le vesti quando, durante le primarie americane per la scelta dei candidati alla presidenza, Hillary Clinton in uno spot elettorale accentuò artificiosamete il colore della pelle di Obama per far passare in modo più forte il messaggio "afroamericano, non americano"?
Dire di una persona, indipendentemente dal colore della sua pelle, che “non è un essere umano” è invece quantomeno nazista. Ma non leggeremo mai nessun compagnuccio piagnucolare sul sito del New York Times, per far capire all'America e al mondo che non tutti gli italiani sono come quelli che dicono certe cose. Anzi, li vedremo in coda alle casse delle librerie.

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lunedì, novembre 03, 2008

quattro-cinque giorni al massimo.

Starò via qualche giorno. Lontano da casa, da internet, da tutto. Ci sentiamo al mio ritorno.

domenica, novembre 02, 2008

Abolire l'ordine degli inviati di guerra ancora no, eh?

In Italia, se vuoi diventare un giornalista professionista, devi sostenere un esame. Questo esame, fino a un anno fa, lo si sosteneva con una macchina da scrivere meccanica. Proprio così, dovevi cercarne una, sperare di trovarla e esercitarti a picchiettare sui tasti durissimi fino a quando i polpastrelli facevano male. Il perché di questa scelta è difficile a dirsi. Nelle redazioni i terminali esistono da (almeno!) una ventina di anni, e scrivere a macchina è un vezzo che al limite si concede qualche direttore vetusto. C'è da pensare che forse all'Ordine avevano paura che, con i moderni pc, qualcuno copiasse. Poi però il buon senso deve aver avuto la meglio, perché sostenere un esame di quel tipo in quelle condizioni non realistiche pareva una follia. Allora, pronti a sostenere l'esame con i computer. Per ovviare alla questione delle copiature, l'Ordine ha acquistato 500 chiavette USB sopra le quali i candidati dovevano salvare il proprio elaborato che sarebbe successivamente stato esaminato dalla commissione. Peccato che molte di queste chiavette fossero guaste e che alcuni candidati abbiano dovuto addirittura copiare a mano il loro lavoro.

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sabato, novembre 01, 2008

lo studente è fesso. Sempre e comunque

Per rendersi conto di quello che è lo stato dell'opposizione in Italia – e questo per tacere del governo, che inizia ad avere solo ora un po' di tremarella dopo una luna di miele che se si dovesse concludere adesso, sarebbe la più lunga e la più desiderata da qualunque altro Presidente del Consiglio della storia repubblicana, passata e futura – lo stato dell'opposizione, si diceva. Per rendercene conto basta osservare il caso creato intorno al decreto Gelmini. Senza per altro andare nella sostanza del decreto, ché non serve alla bisogna della strumentalizzazione della piazza. E così abbiamo visto politici del Piddì andare in piazza, arringare la folla con il megafono fuori dal Senato, cercare di piazzare le loro manine viscide e avide di voti sulla folla degli studenti, che tanto più si dichiarano non strumentalizzabili tanto più si fanno strumentalizzare dai politici prima e dalle baronie scolastiche poi. Mi si dica: che c'entrano in piazza manifestanti di scuole medie – inferiori e superiori – e universitari con il decreto Gelmini? Si vuole re-introdurre il grembiulino negli atenei? Non mi pare. E in effetti suddetto decreto, tanto odiato e tanto vituperato, non tocca né licei né univeristà. Queste ultime, semmai, sono toccate dai tagli presenti nella Finanziaria varata lo scorso luglio. E, sia chiaro, tagli come se ne fanno ogni anno, ad ogni Finanziaria, indipendentemente dal colore del governo che la vara (o ci siamo già dimenticati dei tagli di Padoa Schioppa patrocinati dallo stesso Ministro Mussi ora in piazza fianco fianco con gli studenti nella speranza di rimediare qualche voto per la sua Sinistra Democratica?). Sta di fatto che lo scorso luglio né Veltroni né Di Pietro hanno detto nulla sul futuro dell'università: perché? Sostanzialmente d'accordo con i tagli? Non credo. Semmai: non essendoci studenti incazzati, perché l'anno scolastico era in dirittura d'arrivo e ottobre e novembre sono i mesi delle occupazioni, dai quali recuperare qualche voto, non c'era nemmeno bisogno di fare cagnara. Recuperano adesso, dimostrandosi per altro incoerenti con sé stessi e sperando che la massa degli studenti – la maggior parte ignorante dei motivi per cui protesta: è sufficiente raccontare una cazzata che lo studente-sfaticato medio ci crede – non se ne accorga. I due vogliono proporre un referendum contro il decreto, sottintendendolo – immagino – contro i tagli all'istruzione. I suddetti tagli, come detto, sono stati inseriti in Finanziaria. Per cui, Costituzione alla mano, “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio” (art. 75). Gli studenti, come ovvio, si berranno anche questa panzana, incuranti del fatto che se il referendum si farà e dovesse andare per la meglio (per chi l'ha promosso), al massimo verranno tolti i grembiulini alle elementari. Lo studente, nel frattempo, ha fatto ancora la figura del fesso. Quella che più gli si addice, tra l'altro.

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