martedì, ottobre 31, 2006

Finito di mettere le pezze alla Finanziaria?

Ci stiamo arrampicando sugli specchi, abbiamo dato fondo praticamente a tutto”. Queste le parole del vice ministro dell'Economia Vincenzo Visco, rivolte a chi vorrebbe portare ulteriori modifiche a questa Finanziaria fino a renderla irriconoscibile per l'ennesima volta da quando è stata presentata. Segno questo, tra le altre cose, dell'orrenda qualità del testo. Se sono stati presentati tantissimi emendamenti, se in molti all'interno della maggioranza si dichiarano scontenti, se il tira e molla tra le riforme strutturali che i riformisti avrebbero voluto e le tasse – meglio se vendicative – caldeggiate dall'imbecillità dell'ultra sinistra ha visto la vittoria di queste ultime, vuol dire che all'interno delle stesse persone che la Finanziaria l'hanno scritta non c'è chiarezza. Prima dicono una cosa, poi ne fanno un'altra (l'ultima, in ordine di tempo, riguarda ancora la modifica al “superbollo” sui Suv) e alla fine ci si ritrova con un testo sempre modificato, impossibile da comprendere al semplice cittadino ma a questo punto anche a chi ci ha lavorato sopra. Migliorassero la situazione, si potrebbe anche chiudere un occhio. Invece questi, resosi conto della pochezza del testo da loro presentato, stanno giocando a mettere le pezze: sistema di qui, sistema di lì, e quello che si ottiene non può che essere una versione sbiadita del già grigio testo originale. Questo modo di lavorare, tra l'altro, è proprio il risultato di una coalizione divisa: chi vole la Tav, chi non la vuole; chi dice che il famoso programma dell'Unione va rispettato, chi invece afferma che “non si tratta del Vangelo”. Divisione più assoluta, che si fa ancora più pesante dal momento che il Cav. sembra essersi messo da parte, divertito in un angolo a vedere questi che litigano - “ci faremo il Drive In” - e giusto un paio di ruggiti dalla piazza per non perdere contatto con i suoi. Staremo a vedere, presumibilmente non ci saranno più sostanziali modifiche e ci sorbiremo dunque questo “tagli zero, tasse mille, riforme zero, vendetta mille” nella speranza che il governo cada, e in fretta. E che, come dice il Fassino brontolante sulle intercettazioni, “se Prodi cade, si va al voto”. E voi a casa.


G.S. (Grande Stratega)

«Ma aooh? Ti credi davvero di essere il grande stratega mentre gli altri sono degli stronzi?» Marco Pannella a Daniele Capezzone, direzione dei Radicali, 26 ottobre 2006 [qui l'intervento integrale]

Se le cose stanno in questo modo – e se magari lor signori abbandonano il mortadella avariato – al prossimo giro potrei anche votare radicale.


"Spiavo, ma per noia" - ditelo a Fassino

«Nossignore. Nessun ordine dall’alto. E’ stata una mia iniziativa». Neppure ordini, diciamo così, obliqui? Magari arrivati da delicatissimi apparati dello Stato? «Ma figuriamoci. Sono il pesce più piccolo della Guardia di Finanza. E non conosco nessun agente segreto. Penso che come risposta sia sufficiente».
Dalle dichiarazioni dell'appuntato di Borgomanero (Novara), riguardo le intercettazioni emerse in seguito all'indagine della Magistratura di Milano. [La Stampa, 31.10.2006, on-line e cartaceo]

Dite a Fassino & Co. - insomma, a tutti quelli che gridano al complotto e poi mettono il Grande Fratello fiscale – che questi spiavano sì, ma “per noia”. Niente complotti, servizi segreti, servizi deviati o altre fantasticherie - “trombone”, come le ha definite ieri Ferrara – sulle quali la sinistra si sta pateticamente aggrappando. Solamente provateci voi a fare dei turni di notte, con un piccolo tv color da 14”, quello da campeggio, e non avere la tentazione di dare una sbirciatina ai conti correnti di personaggi illustri, politici e non – non c'è da ripetere che oltre a Prodi c'erano il Cav., i suoi figli, la Ferilli, Totti e via di popolarità calando, vero?


lunedì, ottobre 30, 2006

Ego te absolvo

Appena dopo che il Papa si è pronunciato contro la pedofilia di stampo ecclesiastico, le Iene fanno un botto dei loro. Archiviata vergognosamente con il ritiro dei filmati la questione del “politico-drogato”, domani sera la trasmissione mostrerà l'omertà dei sacerdoti nei confronti degli abusi sessuali compiuti dai loro pari ai danni di minori. Chi interverrà questa volta a ritirare il filmato?


sabato, ottobre 28, 2006

A Silvio Berlusconi piace raccontare barzellette sporche anche a persone che vede per la prima volta, è un tic residuale della sua anima di venditore e di rappresentante del commercio. Però invece di dire 'fica' dice 'la natura'. Ma si può?”

Massimo Fini, Di[zion]ario Erotico – contro la donna a favore della femmina, 2000, Marsilio, pag. 51

Capitelo

Ieri sera, nel mio paesello, sono comparsi i famigerati manifesti di Rifondazione Comunista, quelli di “Anche i Ricchi Piangano”. Stamane esco dall'edicola e incontro un amico. So della sua frequentazione attiva in Rc e lui, capendo tutto, mi si avvicina con sorriso sornione. Lo saluto – l'educazione prima di tutto – poi inizio: vergogna! Fa finta di niente, sulle prime. Allora rincaro: fate proprio schifo, diglielo pure ai tuoi capi. Ma lui, in evidente imbarazzo, non capisce. Allora cerco di aumentare ulteriormente la dose, con però la tecnica dello zuccherino: visto cosa succede pensavo che foste i più seri a livello politico qui in paese, invece siete tali e quali a quelli che odiate, e poi andate in giro con la Mercedes e il Rolex – facendo chiaro riferimento alla sua condizione da ossimoro vivente: macchinone e orologione, tessera di Rifondazione in tasca. Lui tergiversa, farfuglia qualcosa, cerca di portare il discorso su qualcosa di più amichevole. Io concludo: siete pure imbecilli! Li avete tolti da Roma perché vi siete vergognati – oltre ad aver messo in imbarazzo i vostri alleati – e li mettete qui, in provincia? Ci siamo salutati, come sempre. Tanto io lo so benissimo che lui non crede minimamente in ciò che i suoi compagni dicono e fanno. E lui sa che io so. Solamente che – capitelo – è un politico. Gli serve la tessera.


Basta che mi accendi / Sintonizzati con me


venerdì, ottobre 27, 2006

Sbagliato violare la Privacy, ma sbagliato anche incolpare il Cav.

Che Prodi la stia tirando lunga sulla questione degli spionaggi è verificabile: altre sarebbero le priorità di cui dovrebbe parlare ma – vista la situazione – preferisce glissare e nascondersi in un angolo a fare la vittima. Però nemmeno ha tutti i torni a incazzarsi per quanto successo e a chiedere che qualcuno paghi. Non è mai bella cosa che i dati privati di una persona siano resi accessibili in modo facile e veloce, anche per impieghi che si fermano alla semplice “curiosità” e che quindi non vanno oltre alla violazione della privacy. Di conseguenza è giusto e sacrosanto che qualcuno paghi, che il responsabile di queste cazzate venga fuori e licenziato in trono. In diverso modo è fazioso ed estremamente infantile incolpare chi c'era al Governo nella scorsa legislatura di ciò che oggi salta fuori dopo l'inchiesta della Magistratura Milanese. Fazioso, perché non si perde occasione per colpire l'avversa parte politica con argomentazioni che non si reggono in piedi da sole; infantile, perché dalle indagini emerge chiaramente che non solo politici di centrosinistra sono stati spiati, ma anche personaggi televisivi, dello sport, nonché figli “illustri” di Cavalieri, questi ultimi a loro volta spiati – e pesantemente – nel passato.

Che poi il motivo di queste sbirciate sia uno spionaggio è tutto da verificare. Dalle indagini emerge infatti che i movimenti finanziari di Prodi e consorte sarebbero stati visualizzati dopo che lui ha donato qualcosa ai figli – e senza tasse, grazie al Cav. - e nei giorni prima delle elezioni di aprile. Segno che a sbirciare sono stati stupidi “impiegati” con libero accesso ai dati, spinti dalla curiosità di mettere il naso in ciò che alla mattina leggevano sui giornali e con ogni probabilità senza strani secondi fini.

Dulcis in fundo – ma l'ho già scritto ieri – che sia il Centrosinistra a fare una lezione morale dopo aver introdotto il Grande Fratello Fiscale targato Visco, è quanto meno ridicolo. O forse la privacy fa indignare solamente quando si tocca quella del Premier della propria parte, mentre farsi gli affaracci dei liberi cittadini è cosa buona e giusta? O forse ancora il signor Fassino – quello che maggiormente sembra essersi scagliato contro Berlusconi e Tremonti – è ancora piccato per quella famosa storia dell' “abbiamo una banca” spifferata – causa intercettazioni – giusto in tempo per mandare all'aria l'affarone? Un'altra buona occasione sprecata per smettere di predicare bene e razzolare male.


Ai politici locali, senza affetto.

Qui di seguito metto una letterina che avrei scritto, di getto, ai politici locali della ridente cittadina in cui vivo dopo l'ennesimo episodio di incazzatura. Come capirete leggendo, mi tengo ben distante dallo “scendere in campo”, sia perché ritengo la cosa di scarso interesse e quindi poco stuzzicante (e mi è stato chiesto più volte), sia perché il mare magnum di sterco nel quale mi troverei a nuotare mi sarebbe di enorme imbarazzo – io, figuriamoci, che mi lavo le mani 15 volte al dì. Le “xxx” le ho messe perché su internet il fatto che si sappia o meno dove vivo non conta. E per non limitare il discorso alla realtà locale nella quale sono inserito. Tanto – talmente ovvio da non doverlo nemmeno ripetere, giusto? - è così ovunque.

Il centrodestra xxxese dovrebbe ripensarsi. E nel farlo, dovrebbe altresì tenere in considerazione l'espressione “in meglio”, perché se va avanti in questo modo perde quel pizzico di credibilità che ancora gli è rimasta grazie solamente ad un paio di persone che lo rendono “salvabile” dall'essere collocato al fondo della scala della disapprovazione. Perché non si può predicare bene e razzolare male, non si può dire di fare questo e fare quest'altro e poi comportarsi come si è finora comportato, almeno dalla sua ultima incarnazione come xxx Futura fino ad ora. Già la squadra messa in piedi per le elezioni comunali aveva dell'imbarazzante: pochi elementi a crederci davvero e molte comparse le quali, messo lì il nome, per negligenza o fiutando già la disfatta, han preferito bene levare le tende e disinteressarsi, senza però chiamarsi fuori dalla competizione. Con il risultato che i voti raccolti sui singoli candidati erano in verità pochi – e, i voti, dovrebbero esprimere la forza di un candidato, o ci sbagliamo?

Per non parlare della stupida ed imbarazzante competizione tra singoli. Ora, io non ho mai fatto pare di una squadra politica – e nemmeno so se farei meglio o peggio, per il momento parlerebbero solo le intenzioni – però credo che se di comune accordo delle persone scelgono un candidato – o, allo stesso modo, intorno ad un candidato si crea un capannello di persone – vuol dire che in questo stesso candidato ci credono, o no? E che faranno di tutto per farlo vincere e per far “passare” insieme a lui le persone che più si ritengono meritevoli, al limite in base ad altrettanto stupide quote di partito – lui perché è di così e l'altro perché è di colà. Quello che si è visto all'interno di xxx Futura è stata, al contrario, una competizione ferrata tra singoli, con tanto di inutili manifesti elettorali, pullman pubblicitari e santini sul modello “voto di scambio”, e guai se uno avesse pensato ad affiggere la foto del candidato sindaco in modo tale da sfruttare il fatto che la persona è sì conosciuta in paese, ma una bella immagine lo rende ancor più famigliare a chi magari non lo conosce per i dati anagrafi. Tutto ciò ha portato ad una sola e triste conseguenza: anziché dirottare – e far dirottare – i voti su quei quattro-cinque candidati ritenuti – per i motivi di cui sopra – vincenti e quindi rafforzarne il loro passaggio in Consiglio Comunale con un bel mazzetto di voti, ci si è ritrovati con varie persone da 20-25 voti cadauna che a nulla servono se non a indebolire le persone che in Consiglio in effetti ci sono andate ma con meno voti di quelli che avrebbero preso senza l'assurdo “tutti contro tutti” - le persone da un paio di voti, va da sé, nemmeno vengono prese in considerazione se non per la risposta alla seguente domanda: cosa vi siete inseriti a fare? Avreste sicuramente fatto figura più egregia a starvene ai lati, a simpatizzare, ad andare al mare, a fare qualunque cose che non fosse l'entrare in campo in prima persona visto l'inesistente interesse dimostrato poi.

E questo fino alle elezioni. Dopo? Promessa di un'opposizione dura in consiglio? Perché fino ad oggi abbiamo assistito – quasi – solo a dichiarazioni non stupide negli intenti, ma quanto meno inutili. Tutti siamo d'accordo sul fatto che è da imbecilli fare la disinfestazione delle zanzare ad estate inoltrata, perché anche un bambino sa che si disinfestano le uova ancora chiuse e non le zanzare già vive, ma tutto ciò da qui a farlo diventare argomento di primaria importanza nello scontro con l'attuale maggioranza mi sembra troppo. Le zanzare, ovvio, infastidiscono anche chi sta scrivendo, ma non mi sembrano la priorità del paese. Il che non vuol dire che l'argomento non doveva essere trattato, semplicemente che gli strilli sulla Gazzetta della xxx a causa dell'emergenza zanzare erano eccessivi. Perché non insistere sull'assurda condizione della viabilità? Sulla situazione paradossale di via xxx? Sull'ennesima inutile rotonda all'incrocio tra via xxx e via xxx, nonché l'ennesimo “svincolo strategico” - che però nulla risolve – in zona Centri Commerciali? Perché niente sulla difesa dei commercianti xxxesi?

Meglio poi stendere un velo pietoso sulla questione pulmino per la scuola privata. A parte il fatto che l'idea di base è che se io sono andato a scuola per cinque anni fuori xxx e l'ho fatto con i mezzi pubblici prima e con mezzi privati poi, non vedo perché qualcun altro dovrebbe invece usufruire di un servizio al 60% offerto dal Comune, comprendo però l'obiezione di base: non ci sono mezzi pubblici per quella scuola e poi il Comune questo servizio lo offriva già in passato. Benissimo, allora la polemica ci può anche stare. Ma non – ancora una volta – da strillone principale: il problema per il paese è costituito da altri fattori che vanno oltre qualche persona che si serve di tale scuola privata fuori dal comune. E non c'è bisogno di montare la polemica per comprendere che il taglio del servizio è opera di questa sinistra vendicativa sia a livello nazionale quanto, nel suo piccolo, a livello locale essendo il servizio usufruito con ogni probabilità da persone di orientamento politico avverso a quello del comune. Ma, ancora, i problemi mi sembrano altri. Perché non insistere su iniziative culturali che rimettano la maiuscola alla parola Cultura? Perché non organizzare – magari con uno di quei famosi tavoli bipartisan presenziati da personaggi ritenuti universalmente validi sia a sinistra che a destra – iniziative culturali di ampio livello? Perché, al limite, non incazzarsi per madonnari stipendiati dal comune che dipingono per terra a bassissimi livelli, o portano a scuola i nostri figli con improbabili e pericolosi – non per il principio di fondo, quanto per come sono organizzati - “bicibus”? Perché non lasciar perdere questioni da politica nazionale come la difesa della famiglia, il no serrato ai Pacs e argomenti affini i quali – per la maggiore – vengono sviluppati all'interno del nostro senso etico e non politico, e concentrarsi su tante altre cose serie ed importanti sui quali fare opposizione?

Chiudo questa missiva toccando un altro punto dolente. Non lasciamo in mano alla sinistra l'esclusiva di manifestare nelle piazze in modo tranquillo e pacifico e dunque sotto forma di tavoli informativi e gazebi. Possiamo tranquillamente farlo sia per le cose che non funzionano a livello locale – con xxx Futura – , sia a livello nazionale – a discrezione dei singoli partiti. E proprio ai singoli partiti mi voglio rivolgere: organizzare un gazebo forse non richiede moltissime forze ma, se si vuol far un buon lavoro, un minimo di quello che giovanilisticamente si chiama “sbattimento” dovrebbe esserci. Promettere la presenza ad un ragazzo che – di sua iniziativa ma con il placet del partito – vuole organizzare il suo bravo gazebo e poi fuggire davanti alla prospettiva del fatto che questo gazebo non si monta da solo ma un paio di persone servono, è quanto meno indicativo dell'impegno che i dirigenti locali mettono nelle iniziative che loro ritengono non avere piccolo tornaconto personale e/o forte rilevanza da finire almeno sulla Gazzetta della xxx. Per carità, il sabato mattina, la spesa, la moglie, i figli. Tutte motivazioni sacrosante, private e non discutibili. Ma, tuttavia, che da un gruppo di 10-15 persone non ci siano un paio di braccia pronte ad aiutare, e a distribuire volantini, e a raccogliere firme contro questa stupida sinistra tanto a Roma quanto a xxx, è sintomatico. Così come è sintomatico dell'impegno messo in campo il fatto che ad aiutare il povero ragazzo ad organizzare il gazebo, con ogni probabilità, ci andranno persone che – per svariati motivi, non ultima una fiera ed ostentata indipendenza intellettuale che rifugge dalle logiche di partito – nemmeno sono tesserati ma semplicemente simpatizzanti. Di questo centrodestra? No, facciamo solo di un paio di persone all'interno di questo centrodestra xxxese.


giovedì, ottobre 26, 2006

Preghiera.

Che il pistolotto morale su una presunta complicità del centrodestra in quelle che sono le intercettazione abusive effettuate sul conto di Prodi e gentile consorte venga da gente che ha introdotto il Grande Fratello Fiscale è assolutamente fuori luogo. Amen.


mercoledì, ottobre 25, 2006

è uscito Firefox 2.0

Vendita quotidiani settembre 2005 - 2006

(riporto da Dagospia) “LIBERO” RECORD (+72%), SCATTO DE “IL GIORNALE” (7,3%), IN RIPRESA IL “SOLE” (2,9%)

Prosegue anche a settembre il trend positivo di “Libero” che ha raggiunto 141.969 copie, con 59.778 copie in più rispetto a settembre 2005 (+72%). Settembre positivo anche per “Il Giornale”: il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro si attesta a 226.792 copie, con una crescita del 7,3% rispetto al 2005 (211.419 copie). Buona ripresa per “Il Sole 24 Ore”, con 334.829 copie nel 2006: il quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli registra 9.439 copie in più rispetto al 2005, con una crescita del 2,9%.

Sostanzialmente stabili le diffusioni degli altri principali quotidiani: “Il Messaggero” aumenta di 1.600 copie (+0,7%) raggiungendo 233.600 copie diffuse, mentre si attestano a +0,1% “Corriere della Sera” e “Repubblica”, rispettivamente con 685.000 copie (684.000 a settembre 2005) e con 630.893 copie (630.328 a settembre 2005). A 96.430 copie arriva “Avvenire” (-0,1% rispetto a settembre 2005, che aveva registrato 96.519 copie), mentre “Il Secolo XIX” si attesta a 112.848 copie, 972 in meno rispetto al 2005 (-0,8%).


lunedì, ottobre 23, 2006

Tanti auguri, iPod!

5 anni per ogni cosa è un traguardo importante. Una cifra tonda, la prima con un nome accattivante, un lustro, che fa impallidire lo squallido biennio. 5 anni per conquistare il mondo sono però pochi, pochissimi. Per cambiare così radicalmente le abitudini delle persone nel fare una determinata cosa, poi, è quasi come dire niente. E pensare che ha impiegato meno di cinque anni per abituare le persone che nel taschino della giacca non ci andavano solo le sigarette, bensì tutti i dischi che si possedevano in casa e buona parte – in alcuni casi tutti – di quelli che si sarebbero comprati nel corso della vita. Già, il 23 ottobre 2006 Steve Jobs presentava l'iPod, e forse nemmeno lui sperava di cambiare così tanto il mercato musicale, incidendo pesantemente sulla modalità con la quale la musica sarebbe stata fruita – e venduta - da allora all'eternità. Una scommessa, quella della Apple, che non ha influito solamente sul player, ma anche su mille altri fattori a questo collaterale. Non ultimo, la vendita dei Mac, che pare rialzarsi dopo aver visto acque non proprio limpide. 5 anni e ora in metropolitana “una persona su tre ha le cuffiette bianche nelle orecchie”, e non che le altre due non stiano ascoltando musica: probabilmente lo fanno da uno dei milioni di apparecchi che cercano, senza la benché minima possibilità di successo, di far concorrenza all'Ipod, re incontrastato. Forse solo la Sony con il Walkman – inteso come marchio registrato che ha dato origine a mille cloni – aveva fatto ed ottenuto tanto. E tanto fece per un po' di tempo, introducendo gli auricolari, il Walkman con l'autoreverse, il Dolby e la radio incorporati, addirittura la versione impermeabile all'acqua. E tutti l'avevano, tutti si ascoltavano le loro cassette, sognando al massimo un lettore di compact disc – il Discman – che avrebbe permesso la ricerca automatica e rapida dei brani. Nessuno immaginava di arrivare a tanto, quantificabile in migliaia di brani in una scatola di caramelle. E non solo musica, ovviamente. Un design incredibile, semplice ed accattivante allo stesso tempo. Versioni colorate e accessori di ogni tipo e una qualità sonora non paragonabile alle prime timide chiavette usb che permettevano l'ascolto di file caricati su di essi. A voler vedere, l'Ipod segna anche la crisi dell'mp3 inteso come formato di compressione. Perché mentre grazie al player Apple – e al Music Store – la vendita digitale di musica ha iniziato ad avere un suo mercato sempre più in espansione, allo stesso modo l'mp3 si è rivelato troppo debole per questo stesso mercato. A bassi bitrate, condizione ideale per la vendita digitale tramite download, l'mp3 perde in qualità. E infatti la Apple ti vende dei file Aac, perfettamente leggibili dal tuo iPod ma non da un altro player qualunque. E con una qualità nettamente superiore (circa il doppio) rispetto a quella dell'mp3 a parità di bitrate – basso: 128 kbit/s. Ma senza entrare troppo nei tecnicismi, l'iPod è un fenomeno culturale devastante. Molto più del telefonino e nulla che riesca a contrastarlo. Non c'è palmare, portatile, Blackberry che tenga. L'Ipod ha anche nella sua semplicità un pregio enorme: non bisogna avere troppa dimestichezza per adoperarlo, basta un briciolo d'intuito e fa tutto lui, ed è per questo che ha un target di pubblico non precisato e imprecisabile. Non solo il ragazzino smanettone, ma anche il Papa e la Regina Elisabetta hanno il loro bravo iPod, segno che la rivoluzione non è né classista né per fasce d'età. È, appunto, globale. Come l'iPod. Tanti auguri.


domenica, ottobre 22, 2006

segnalazione: blog gastronomico

Blog gastronomici. Non ne avevo mai cercati e anzi ero così scellerato da pensare che nemmeno ne esistessero – e in un mondo dove su You Tube trovi il video di Mauro Repetto devo aver proprio sbagliato la mia previsione. Dunque, blog gastronomici. Mica me li sono guardati tutti, ci mancherebbe. Ma mi sono innamorato di questo qui, che da un paio di settimane compare anche nella barra laterale dei links. Sì, il Cavoletto di Bruxelles mi piace, perché è scritto bene e ti dà anche dritte su come cucinare – in modo semplice – cosette originali. Le signore ringraziano, io pure.


venerdì, ottobre 20, 2006

I computer? solo macchine infernali

Macchine infernali del cazzo. I computer sono solamente delle macchine infernali del cazzo. E chiunque pensi che siano utili, semplici da usare, estremamente importanti nella nostra vita si sbaglia. Semplicemente, i computer ti viziano. Chiamatela retorica, chiamateli luoghi comuni, chiamateli discorsi che “abbiamo già sentito qualche migliaio di volte”, ma i computer sono diabolici. Non sono utili, non sono intelligenti. Semplicemente è l'abitudine che noi ci siamo fatti di loro che li rende indispensabili nella nostra vita. Noi al mattino li accendiamo, alla sera li spegniamo. E loro per tutta la giornata ci abituano a cose fondamentalmente inutili. Non nel merito, nella forma. Faccio un esempio: la prima cosa che si fa al mattino, acceso il pc, nell'ordine – anche invertibile, come per le addizioni il risultato non cambia – è: leggere la posta, cliccare su un portale di news per le ultime notizie. Lo fa chiunque, dal giornalista allo studente, passando per l'impiegato e per chi il computer lo tiene sulla scrivania (o in casa) solamente per fare questo. Ora, lungi dal dire che tutto ciò è inutile, perché direi una cazzata enorme, è però inutile – e diabolico – il modo con cui lo facciamo: il computer. Prima si dava un'occhiata ai fax e poi al televideo. Ed eri sempre sicuro che la televisione si rompeva una volta al lustro, e il fax poco meno. Ora no, il pc quando vuole si incanta e tutto d'un tratto ti senti spaesato e “che cazzo faccio?” è la primissima cosa che ti viene in mente, l'unica che la tua testa annebbiata dall'utilizzo del computer è in grado di partorire. Il computer è infernale ed inutile, non mi stancherò mai di dirlo. Perché basta che si metta a fare un bip di troppo, e inizi a sudare freddo, a masterizzare l'intero hard disk perché troppi tuoi conoscenti hanno perso dati importanti, scritti importanti, file importanti. E non pensi ad altro. A meno che hai un Mac, ovvio. E sto pensando di farmelo anche io sto cazzo di Mac, magari riesco ad evitare per tempo una qualche sciagura di cui sopra.


mercoledì, ottobre 18, 2006

Consenso a picco per Prodi e l'Unione

Il sondaggio di Ipr Marketing commissionato da Repubblica.it parla chiaro. E dice che il gradimento per il Governo targato Unione ha subito, da luglio ad ottobre, un calo drastico, segno che la già esigua maggioranza di italiani che ha portato Prodi e i suoi ministri a governare s'è in parte ravveduta e che il lavoro fatto dall'esecutivo è stato poco apprezzato dagli elettori. Il consenso per il governo è passato infatti da un buon 63% di luglio ad un terribile 45% di ottobre, con un calo di ben 18 punti percentuali. Presi singolarmente, praticamente tutti i ministri hanno visto il loro indice di gradimento scendere, anche se i cali più vistosi riguardano i personaggi che sono stati più in mostra negli ultimi periodi. Si va quindi dai 20 punti percentuali persi dal Ministro dell'Economia Padoa Schioppa (71% a 51%) ai 15 punti che Pierluigi Bersani ha visto sparire con ogni probabilità per via delle pseudo liberalizzazioni, ai -13 sul conto di Gentiloni, autore del decreto di legge che spedendo un paio di reti sul digitale terrestre e abbassando il tetto di raccolta pubblicitaria dovrebbe riformare il sistema televisivo. Anche il vicepremier Francesco Rutelli, già impegnato con le divisioni interne nella sua Margherita, è vittima di un forte calo di consenso: - 9 punti percentuali. In cima alla classifica di gradimento c'è Massimo d'Alema (64%) seguito dal ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro e da quello per le politiche giovanili e le attività sportive Giovanna Melandri, entrambi al 63%, mentre anche il rifondarolo Paolo Ferrero (solidarietà sociale) non subisce variazioni al suo indice, segno che il mostrarsi critico verso l'operato del Governo ha pagato. L'unico dato che il sondaggio ha registrato in salita è la percentuale di conoscenza dei singoli ministri presso l'opinione pubblica. Ma questo, se possibile, è un altro punto in sfavore al Governo, dal momento che precisa come il gradimento non sia stato dato – o meglio: tolto – in modo superficiale bensì con una conoscenza di fondo dell'operato dei singoli ministri.


lunedì, ottobre 16, 2006

Ancora su Keith Jarrett

Ne ho parlato qui. Ritrova(te)si! ne parla invece qui.


Leggete un po' QUI, e capirete perché ho scarsissima considerazione dei quotidiani di partito. Di qualunque parte siano, destra sinistra o centro.


Non sono così presuntuoso, o almeno non ancora. Ma se anche ci fosse solamente una persona che se lo chiede, è giusto e corte dare lei una spiegazione. O no? Allora, carissima e sola persona che te lo chiedi, lo confido solamente a te. Un paio di giorni di assenza dal blog – la cosa pubblicata ieri giaceva da una settimana nel cassetto “da pubblicare” - è da motivarsi come segue: sto ancora pensando a cosa scrivere riguardo Prodi in versione Calimero che si lamenta perché “televisioni e giornali” sono contro di lui. Il fatto è che – per la prima volta – non mi vengono le parole. Delle due l'una: o mi sono rincoglionito (e l'ipotesi, va da sé, non è del tutto da scartare) oppure quell'uomo mi ha rubato anche la parola. L'unica cosa che mi era rimasta.


domenica, ottobre 15, 2006

Un disco alla settimana - 10

CBGB


Tutta colpa dei comitati di quartiere. Brontoloni, questi non capiscono che lì, dentro quel posto che con tanto astio e con tanta passione stanno cercando di uccidere, è stata scritta qualche pagina di storia della musica. Peggio per loro, perché non sanno chi stanno sopprimendo. Ma peggio anche per noi, perché lo stiamo inesorabilmente perdendo. Di più, praticamente il CBGB di New York l'abbiamo già perso. E proprio per il comitato di Bowery, dove al civico 315 è sorto, è vissuto e si sta spegnendo quel locale fondato da un pazzo – Hilly Cristal – che pensava di farne un club di Country, Bluegrass e Blues - “And Other Music For Uplifting Gormandizers”, da qui il nome completo CBGB & OMFUG – con in più delle letture di poesia e nel giro di un paio di anni si è trovato ad avere in mano il centro nevralgico del Punk Rock prima ancora che dall'altra parte dell'oceano uno sciroccato – di Ny Dolls ma anche di Ramones – prese quattro ragazzini e li trasformò nell'enorme truffa che tutti conosciamo. Maledetti comitati di quartiere, è proprio il caso di dirlo. Manderanno il CBGB a cercare fortuna a Las Vegas, stando alla voce più accreditata, anche se qualcuno non esclude che il locale possa rinascere in qualche altra zona di New York, comitato del quartiere permettendo. Ha 33 anni il CBGB – ed ogni riferimento sembrerebbe essere puramente causale – essendo stato inaugurato nel dicembre del 1973, e sebbene non siano molti, per un locale che ha fatto la storia sono anche troppi. Eppure questi suoi vicini di casa non mostrano il minimo rispetto per questa creatura, che ha visto nascere – e talvolta morire – i migliori tra coloro che dominarono la rivoluzione sonora di fine anni '70 – dopo la quale nulla nella musica, e soprattutto nel music biz, sarebbe rimasto uguale. Sono nati su quelle assi di legno i Suicide e i Television, Debbie Harry e i suoi Blondie. E i Ramones e i Talking Heads. E gli Heartbreakers di Johnny Thunders, e iVoidoids. Piatto decisamente ricco. E che si mantiene intatto, fedele alla sua storia e alla sua tradizione anche il 15 di ottobre, in quello che viene chiamato “CBGB's last show – and the club will re-open near in the future”, e che vedrà protagonista Patti Smith, una che il CBGB lo conosce essendo stata avvistata più e più volte in passato (soprattutto agli show dei Television) e che avrà il non facile compito di rendere quel near un po' più near di quanto si vocifera. O perlomeno di farlo credere al pubblico. Chissà cosa ne sarà dei locali o del tendone bianco che accoglieva sulla porta. Chissà se al comitato del quartiere un po' di quel sano baccano mancherà.

Un disco alla settimana old issues


venerdì, ottobre 13, 2006

Aggiornate i bookmarks

Il sito della rassegna stampa della Camera ha cambiato indirizzo, quello nuovo è: rassegna.camera.it


Se...

Se il Corriere della Sera si compra qualche blog


Il Nord non avrà senso dello Stato, caro Ministro, ma tira la carretta come pochi

Il Ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa durante un sessione di domande-risposte sul sito del Corriere della Sera ha affermato che “il Nord non ha senso dello Stato”. Nulla di più vero, ad essere sinceri. Perché come fa il Nord a fidarsi di uno stato che gli sega le gambe? Come fa il ceto produttivo, allocato non solo ma soprattutto al Nord, ad avere una misura di senso nei confronti di chi ostacola la produzione e la crescita e lo sviluppo con tasse o surrogati di esse? Se lo Stato non fosse lo Stato che è e che Padoa Schioppa con ogni probabilità vuole che rimanga, come può pretendere che il Nord possa avere il minimo rispetto per esso? Già è occupato a trainare economicamente l'Italia intera, dimostrando forse di non avere senso dello Stato ma di sapere tirare la carretta; come preoccuparsi di altro, quando quell'altro è a lui ostile?


giovedì, ottobre 12, 2006

Se gli mandate Rete 4 sul digitale lui vi corca

Conosco una persona che qualche anno fa, per paura di non poter vedere più Rete 4, installò in casa il sistema per poter ricevere i canali satellitari. Come dargli torto? D'altronde la voce dell'epoca era che il canale del gruppo Mediaset sarebbe dovuto finire in orbita. Poi un nulla di fatto, e il signore di cui saprà tirò il fiato: per il momento mi becco ancora il mio canale preferito sull'analogico – pensò - poi si vedrà ma non è mica una brutta cosa risparmiare sull'abbonamento satellitare ancora per qualche anno. Ora invece la tv viene riformata – ancora – e viene detto che un canale Rai, uno Mediaset e uno Telecom dovrà lasciare libera la sua frequenza e trovarsi un altro sistema di broadcasting. Tralasciando Telecom, si presume che il decreto vada a colpire Rai Tre e Rete 4: quest'ultima per ovvi ed evidenti motivi politici, la prima perché se non se ne tagliava uno anche alla Rai risultava essere chiaro anche agli imbecilli che l'Unione è Sovietica. Il fatto strano è che il loro padrone non potrà decidere dove mandare le reti, bensì è stato stabilito dal Ministro Gentiloni che esse devono andare sul digitale, per “favorire un processo di migrazione”. Il processo di migrazione, va da sé, serve ad evitare che l'Italia faccia per la seconda volta figuraccia e non si adegui al dtt entro una tale data – pensate che doveva essere il 2006 secondo la Gasparri; se ci vanno due canali – e mica piccoli – la gente annusa l'andazzo e si fa il digitale terrestre. All'inizio vi parlavo di una persona, che potete immaginare ben contenta di aver speso soldi per la parabola e per i cavi che dovevano scendere in casa, per poi sentirsi dire che – per una sorta di punizione politica – se vuole guardare Rete 4 deve comprare anche il decoder per il digitale, quando è chiaro che se non gliene fregava nulla del satellite, figuriamoci del digitale terrestre che presenta un'offerta ancora più scarsa. Conoscendolo come lo conosco, se il ddl dovesse passare in Parlamento e lui dovesse incontrarein giro Gentiloni, lo corca. Poco ma sicuro.


mercoledì, ottobre 11, 2006

Che ne sarà del Maxxi - Museo delle Arti del XXI Secolo?

In Italia non esiste un Museo per l'arte moderna. Londra ha il Tate, Parigi il Pompidou o il Musee dell'Art Modern. Berlino l'Hamburger Bahnof e Madrid ha un importante sezione dedicata all'arte contemporanea all'interno del Museo Nacional de Arte Reina Sofia. In Italia uno spazio del genere non esiste. O meglio: dovrebbe esistere, ma ancora non è pronto. E sì che sono passati più di 3 anni da quel 20 marzo 2003, giorno della posa della prima pietra del Maxxi, Museo delle Arti del XXI Secolo, che dovrebbe sorgere a Roma nel quartiere Flaminio, in un area fisica occupata da capannoni dell'ex caserma Montello, ceduti nel 1997 al Ministero dei Beni Culturali dal Ministero della Difesa. Tre lunghi anni che hanno già visto slittare la data di apertura di ben tre volte: 2006, 2007, 2008 e che potrebbe ulteriormente slittare a non si sa quando. Già, perché nonostante le promesse del Ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli, il quale prima della Finanziaria 2007 aveva dichiarato che i soldi stanziati per il termine dei lavori ci sarebbero stati tutti e che l'opera, progettata dall'irachena Zaha Haid, avrebbe visto la luce entro 2008, ora il destino del museo non è più chiaro. In Finanziaria infatti sono stati stanziati per il Maxxi solamente 15 milioni di euro in tre anni, contro i 40 promessi per il 2007 e i 60-80 per il 2008. Il fatto che ora i fondi siano venuti meno non comporta chiaramente solo un ulteriore slittamento della conclusione dei lavori, con la vergogna di lasciare Roma unica tra le grandi capitali europee a non avere uno spazio per l'arte contemporanea, ma va anche ad aggravare il costo finale dell'opera, che è stato stimato in 100 milioni di euro ma che a questo punto – con il ritardare dei lavori – potrebbe ulteriormente lievitare. Ma non solo: l'aggravio dei costi è prodotto anche dalla semplice interruzione dei lavori: è calcolato che il cantiere, anche da fermo, costa circa 300.000 euro al giorno. E sì che Pio Baldi, direttore generale del Dipartimento per l'Architettura e l'Arte Contemporanea e principale promotore del Maxxi, ha affermato che il cantiere è un qualcosa di “estremo, perché realizza strutture mai viste con tecnologie mai usate in Italia, e potrebbe procedere molto in fretta” (L'Indipendente 05.10.2006 pag. 4). Eggià, potrebbe, ma probabilmente non sarà così. Molto dipenderà dallo zelo che Rutelli metterà nel difendere un progetto estremamente importante per il nostro paese e che a sua volta ha già difeso in passato. Dal canto suo l'opinione pubblica ha iniziato a farsi sentire con un appello sottoscritto da artisti e intellettuali e promosso da L'Indipendente, unico fra i quotidiani italiani a schierarsi apertamente dalla parte dell'opera in questione. L'appello, pubblicato sulla prima pagina dell'edizione dell'11 ottobre può essere sottoscritto mandando una e-mail alla redazione del quotidiano. E speriamo che il tentativo non sia vano, aggiungiamo noi.


Disclaimer

Lì a fianco, sulla destra, sta scritto che non sono assolutamente responsabile per quanto i visitatori scrivono nei commenti. Per ribadire questo concetto viene utile un fatto di cronaca accaduto in America. Una tizia ha perso una causa per diffamazione a mezzo blog. Per 11,3 milioni di dollari, che non è esattamente una cifra facilmente reperibile. Tutto ciò lo dico mica per pararmi le chiappe, ci mancherebbe. Penso anche che chi intenti cause di questo tipo sia un buontempone e non perché internet sia una sorta di terra di nessuno dove tutti possono fare il cazzo che vogliono, ivi compreso insultare. Semplicemente perché a dar retta alla Rete e alle sue numerose portinerie non se ne verrebbe più a capo e sarebbe un processo dopo l'altro, ininterrottamente. Ma siccome di buontemponi è pieno il mondo, e la cifra in questo caso è incredibilmente alta, mica posso essere più stronzo di chi già è stato stronzo lasciando un commento diffamante senza nemmeno prendersi le responsabilità, e rimetterci dal mio portafoglio il dovuto nei confronti della parte lesa. E per di più senza avere nemmeno la soddisfazione di pagare per essermi tolto lo sfizio di insultare qualcuno. Dimenticavo: siamo in Rete, quindi fa fede l'indirizzo IP.


se il Suv pesa troppo poco, zac!, si abbassa la soglia

Furbissimi questi dell'Unione. Tra un po' – con questo criterio – metteranno un superbollo anche per le biciclette a motore che peseranno più di 15 kg. Siccome alcuni Suv non pagavano la supertassa perché il loro peso era sotto la famigerata soglia dei 2.600 Kg mapperò non esiste che un riccone schifoso che va in ufficio con quell'ammasso di ferraglia non paghi – perché altrimenti mica piange – allora via quasi mezza tonnellata. Vogliono vedere ora chi non pagherà con il limite a 2.200 Kg.


Test atomici: per quanto staremo ancora a guardare?

Il regime della Corea del Nord dopo aver fatto esperimenti nucleari afferma che se ci saranno sanzioni, per loro sarà come se il mondo gli avesse dichiarato guerra. L'affermazione non solo è provocatoria, ma potrebbe essere anche veritiera delle intenzioni, dal momento che come tutti i regimi anche quello di Pyongyang non è particolarmente incline al dialogo. La Corea del Sud per il momento ha sospeso gli aiuti, la Cina – che ha clamorosamente fallito la trattativa fino ad arrivare ai famigerati test – dice che di un attacco – ma più probabilmente anche di pensanti sanzioni – non se ne parla. Stati Uniti e Giappone per il momento stanno a guardare, senza far trapelare troppo. L'Onu vorrà dimostrare per una volta di essere una cosa seria e non un solo enorme palazzone di vetro dove si producono cose eclatanti come risoluzioni che non prevedono il disarmo di una parte agguerrita, minacciosa e con le peggiori armi fornite da un altro brigante, all'interno di un conflitto? (vedi Libano) Oppure dobbiamo aspettare che in Corea si facciano un altro bel test atomico – e lo facciano seriamente, non come il falso allarme di stamane – e magari che altri paesi – vedi l'Iran – non solo stiano a guardare soddisfatti ma anzi finanzino la ricerca nucleare coreana al fine di prelevare idee e metodi per il nucleare che si vogliono fare in casa loro? Dal momento che per il regime nordcoreano le sanzioni sono un “atto di guerra” e che, presumibilmente e logicamente, un atto di guerra vero e proprio sarebbe visto allo stesso modo, come si vorrà intervenire? Chiudendo anche l'unico occhio che è rimasto aperto – perché l'altro, va da sé, è stato bonariamente chiuso già da tempo? Certo, se poi vogliamo credere alle cazzate della sinistra pecoreccia di casa nostra, ovvero che se i regimi si stanno dotando di armi nucleari, la colpa è solo degli Usa che fa sentir loro il fiato sul collo – e non, ovviamente, loro che a causa del comportamento si fanno tenere il fiato sul collo – è un'altra storia. Si chiama ideologia, e cattiva per giunta. Ma l'esperienza vuole che non abbia mai risolto nulla.


martedì, ottobre 10, 2006

Welcome to my Blue Zebra

Non l'ho ancora provato, ma deve essere formidabile. Altro che Skype.


il Garante blocca le Iene

Se ti beccano a rubare la marmellata, e per beccarti s'intende una cosa seria e documentata, non supposizioni da gogna mediatica ma prove concrete, e tu ti spendi con tutta l'anima per evitare che la prova concreta venga diffusa – seppur garantendo il tuo anonimato – è perché la marmellata l'hai rubata, giusto? Corriere.it


lunedì, ottobre 09, 2006

Perchè stupirsi se (anche) il politico ha quel vizietto lì?

Le Iene hanno fatto uno sketch dei loro, cattivo al punto giusto ed allo stesso tempo onesto nei confronti del telespettatore. Con un artificio diabolico hanno sottoposto 50 parlamentari al drug wipe, un test che rileva l'assunzione di sostanze stupefacenti nelle ultime 36 ore. Il risultato è però dei più prevedibili: il 23% ha fatto uso di cannabis, l'8% di cocaina. Qualcuno dice che il metodo non è sicuro che ha un margine abbastanza alto di errore, mentre l'autore della trasmissione televisiva dice che “è infallibile al 100%”. Ma non è una questione di metodo o di infallibilità. Chi si stupisce del risultato del test dove pensava di vivere? Bene fa Capezzone ad affermare in modo fiero “io l'ho sempre detto...”, perché è così. Gli onorevoli sono uomini, e gli uomini fanno uso di sostanze stupefacenti, soprattutto nella casta al quale appartengono i sopracitati. Quindi niente moralismi, anche perché altrimenti non ne verremo fuori più: i “drogati” cacciati verranno rimpiazzati da “nuovi drogati”. Nessuno si stupisce più se un conoscente – anche se di lungo corso – ogni tanto ha quel vizietto lì, perché dovremmo fare un eccezione con gli onorevoli? La cosa veramente interessante semmai sarà vedere se il servizio verrà mandato o meno in onda.


domenica, ottobre 08, 2006

Se Google si compra YouTube

L'indiscrezione l'ha fatta partire il Wall Street Journal, segno che la cosa potrebbe essere seria. Google sarebbe infatti in procinto di acquistare YouTube, il portale dei video che solo negli Usa detine il 46% del settore – contro l'11% dello stesso servizio offerto dal colosso di Mountain View. Il prezzo sarebbe fissato sugli 1,6 miliardi di dollari, anche se nessuno per il momento ha confermato – o, per la verità, smentito. Nel passato avevano mostrato il loro interesse per YouTube – e come dare loro torto – anche altri colossi quali Microsoft, Yahoo e persino la News Corporation di Rupert Murdoch, senza però successo. Ora è persino troppo chiaro che se l'operazione dovesse andare in porto, Google da gigante qual'è diventerebbe ancora più grosso, forte e imbattibile per quanto riguarda lo sviluppo delle risorse multimediali on-line, con un gruppo che arriverebbe a comprendere di tutto, dalla posta elettronica all'archivio bibliografico a quello delle notizie fino a elementi multimediali quali immagini, fotografie satellitari, mappe e, appunto, video. Gli mancherebbe solamente un servizio di vendita digitale di musica ma qui andrebbe a scontrarsi con la Apple che è forte – almeno – quanto Google in quel determinato campo.


sicuri sicuri di non essere coglioni?

Prima fa una Finanziaria da lotta di classe, confermando l'asse con Bertinotti e gentaglia varia ed assortita. Poi cerca di introdurre presunti “ritocchi” perché altrimenti la sinistra riformista – Ds e Margherita – si lamenta e allora addio Partito Democratico e quindi possibilità di avere un suo partito.


C'è la luna, a Pechino / Com'è dolce, Pechino / Com'è strana, Pechino


sabato, ottobre 07, 2006

Un disco alla settimana - 9

Keith Jarrett


Sale sul palco e aspetta. Non è placido, è solo in attesa dell'ispirazione. Il pomeriggio prima dello spettacolo, come al solito, l'ha passato in albergo: un libro, una colazione leggera e veloce, un po' di concentrazione. Niente spartiti, appunti, note, piccole sequenze musicali. Niente di niente. Solo un uomo, uno Steinway – uno dei tanti che gli hanno messo ha disposizione e che lui ha salvato dallo scarto – e la sua concentrazione. Possono passare anche dei minuti prima che prenda posizione sullo sgabello e faccia partire le dita. In quei minuti deve trovare lo spunto, non può fare scena muta e sebbene non gli sia mai capitato non può neanche permettersi di correre il rischio - “non ho nemmeno un seme quando comincio, è come partire da zero” affermerà in una dichiarazione. Lo spunto prima o poi arriva. E se non è buono lo si sviluppa comunque, in attesa che la sua evoluzione porti a qualcosa di meglio. Per lui, ovviamente. Il pubblico è troppo ammaliato dalla sua figura per accorgersene. È lui che deve godere, prima di tutto. È lui che trae da questa eterna sfida chiamata improvvisazione la sua linfa vitale. È una scommessa questa. Che Keith Jarrett – il personaggio del quale si sta parlando – è abituato ad affrontare e a vincere, come quando dai lavori solisti è passato al trio – e che trio: Jack DeJhonette alla batteria e Gary Peacock al basso – e dal trio alla reinterpretazione di Mozart, Bach, Haendel e del russo Shostakovich . Ma la sfida più importante, l'ultima, ha bussato alla porta quando si è trattato di venire fuori da quella terribile malattia conosciuta come Sindrome da Affaticamento Cronico. Una bestia nera che dal 1996 per tre anni l'ha spossato, l'ha ammazzato e l'ha umiliato fisicamente, e se non l'ha ucciso anche psicologicamente è stata solamente una questione di forza. Jarrett la sua forza l'ha dimostrata, e dal 1999 ne è uscito, grazie anche alla moglie che gli è stata accanto nella loro fattoria del New Jersey, riprendendo così i numerosi concerti nei più prestigiosi teatri d'opera di tutto il mondo. Già, strano connubio questo: lui, un jazzista tra i migliori al mondo, figlioccio di Bill Evans e vecchio compagno di Miles Davis in quello che con ogni probabilità è stato l'ensamble più prestigioso del Jazz – un pedigree che parla da solo, dunque. Loro, i teatri, capolavori d'arte, di architettura e di acustica, abituati a rappresentazioni sontuose, a orchestre mirabolanti e a direttori a dir poco eccentrici. Keith Jarrett ne ha girati molti di teatri nel corso degli anni, da Colonia a Vienna, da Brema a Losanna, persino alla Scala di Milano. E fa strano vedere lui “dentro” loro. Con il suo pianoforte, disposto lateralmente rispetto al pubblico. Su quel palco, su quelle assi di legno che se presentano la caratteristica – per altro, occidentale – della lieve pendenza atta ad offrire la miglior visuale possibile in qualunque zona della sala lo spettatore sia seduto, Jarrett non ci suona sopra. Il suo manager quando è il momento di contattare le prestigiose sale è infatti intransigente: vuole visionare foto, piantine, schemi acustici, numero di posti disponibili. E soprattutto quella pendenza non ci deve essere: Jarrett soffre di mal di schiena, dopo 10 minuti in quella postura innaturale impazzirebbe, quindi se volete farlo suonare mettete almeno una pedana che elimini – e completamente – le pendenze. Altrimenti arrivederci e tanti saluti, il nostro non esce nemmeno dall'albergo nel quale si è chiuso a meditare prima dello spettacolo.

Lui è così; c'è chi lo accusa di snobismo e chi invece pensa siano solamente capricci di uno che è diventato qualcuno anche oltre l'elitaria cerchia del Jazz. Ma qualsiasi cosa si possa affermare – di buona o di cattiva, poco importa – nei confronti di Keith Jarrett viene eliminata, fatta sparire dai meandri più nascosti nella mente, appena il nostro tocca il pianoforte, appena il famoso nucleo primordiale della sua improvvisazione ha trovato una via di fuga che dalla mente porta alle dita. E guai ad interromperlo, perché altrimenti è lui ad interrompere la vostra goduria: se lo disturbate – basta un bisbiglio – vi ammonisce, vi sbugiarda d'innanzi all'intero parterre, vi umilia, non vi fa sentire degni di lui – e probabilmente l'assenza di mancanza di rispetto nei suoi confronti in quei momenti equivale a tutto ciò – e allo stesso modo se provate a criticarlo. Basta un apprezzamento non particolarmente bonario e lui chiude il coperchio dello strumento, saluta e se ne va – se lo ricordano bene quelli che il 23 giugno del 1998 si trovavano al Teatro della Verdura di Palermo e che ancora cercano il responsabile di quel fischio per corcarlo.

Dovreste vederlo, ad esibizione inoltrata, che spettacolo Keith Jarrett. Non adora particolarmente il pianoforte, con ogni probabilità nella sua testa è uno strumento come tanti altri – come un timpano, o un violino, o un trombone – ma a lui più congeniale di altri; è quello che gli permette nel modo più semplice e più diretto, più veloce, di esprimere la sua arte. È il mezzo che immediatamente gli consente di trasformare il parto delle sue cellule celebrali, il primo nucleo musicale, in suoni, ed esprimere la successiva seconda elaborazione e poi la prima melodia, l'elaborazione della melodia, l'armonizzazione totale della melodia, il ritmo che si è stabilizzato e il conclusivo – orgasmico – elaborato. È la tavolozza del pittore che possiede più colori di tutte le altre e che gli permette di costruire il suo paesaggio partendo da quel primo tratto – il primo spunto, il nucleo primordiale – che può anche non vedersi più a dipinto concluso, ma che è fondamentale per dare il via al lavoro, per portare avanti la costruzione armolodica.

Ansima Keith Jarrett quando suona il pianoforte, e nei suoi lavori d'improvvisazione la cosa è estremamente riconoscibile, basta alzare di un pelo la manopola del volume. Si sente il respiro pesante, la melodia prima cantata sforzando la gola e il naso e poi suonata al pianoforte. Fa un accompagnamento vocale e tiene il ritmo con i piedi – non è raro, infatti, vederlo in piedi davanti al pianoforte nei momenti di massimo spasmo artistico. Si potrebbe dire che Jarrett con il pianoforte fa l'amore, se la cosa non stridesse con la sua idea di strumento meccanico come mezzo non particolarmente amato per esprimere in musica le sue idee. Lo sprona a tirare fuori il meglio. Il pubblico in sala gioisce, si stupisce. Sono sempre due o tre minuti di applausi alla fine di ogni esibizione. Lui ringrazia in modo composto ma nella sua mente, c'è da giurarlo, è già alla ricerca del nucleo primordiale per l'improvvisazione successiva.

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