È successo, in questi giorni lontano dal blog, che ho scritto una letterina al Foglio [02.04.2008, pag.4]. Nella letterina facevo spiritosamente notare come il direttore di Rolling Stone non ce l'avesse con Ferrara e la sua combriccola quando, a proposito di Juno, affermava che la pellicola in Italia è stata malintesa, bensì con un suo redattore che nella pagina delle recensioni cinematografiche non si era accorto che il fatto di dare in affidamento il nascituro ad una coppia non è il punto di forza del film, che sta invece nel decidere di tenersi il bambino anziché abortirlo – ecco dove avevo deciso di collocare, ovviamente con molta malizia e ironia, il malinteso. La letterina, precisamente, è questa:
Al direttore – scrive il direttore dell'edizione italiana di Rolling Stone che il film “Juno” è stato "ridicolmente malinterpretato" da "certe pive brontolone di casa nostra". Non si preoccupi, non ce l'ha con me che le scrivo, o con lei che organizza, o con quanti la sostengono. Ce l'ha, evidentemente, con un redattore della rivista stessa il quale, nelle pagine delle recensioni cinematografiche, non si accorge che le straordinarietà del film sono il mancato aborto e la scelta della vita, e si affida semplicemente ad un "decide di dare in affidamento il nascituro ad una giovane coppia un po' irrisolta dell'upper class". E vissero tutti felici e contenti. Cordiali Saluti – seguiva la mia firma.
È successo, inoltre, che Carlo Antonelli, il direttore di Rolling Stone, si sia un po' risentito, e abbia deciso di rispondere alla mia simpatica provocazione. E lo ha fatto nella rubrica delle lettere del Foglio di oggi [03.04.2008, pag. 4], dicendo che io leggo il suo giornale con la penna rossa in mano, che ho frainteso tutto, che ho confuso il mio giudizio sul film (“il lettore che vi ha scritto lo apprezza perché finisce come vorrebbe lui”), con quello che hanno dato lui e il suo redattore: lui, dicevamo, accusa di strumentalizzazione e fraintendimento, a Rolling Stone piace per “la freschezza del suo sguardo sull'adolescenza” e a prescindere “da ciò che decide nel finale la protagonista del film”. Insomma, si scambia un inizio per un finale e ci si dimentica di citare nella "sinossi" - il termine, va da sé, non l'ho usato io per cercare di elevare il tutto verso un piano di difficile confutazione – la parte più importante del film ovvero, ripeto, la scelta di tenere il bambino, la scelta per la vita, non quella di dare il pargolo in affidamento. La conclusione: io e quelli del Foglio abbiamo il vizio di confondere le cose, “come si faceva due secoli fa”. All'inizio l'idea di rispondere sul Foglio mi ha tentato; poi, mi sono detto, probabilmente al giornale avranno di meglio a cui pensare che ad un lettore petulante che risponde ad un direttore un po' in acido. E ho ripiegato su un e-mail privata a Carlo Antonelli. E-mail che è rimasta lì, nella cartella delle bozze, perché in fondo di rimediare ad una “brutta tirata d'orecchie” alla quale non devo rimediare perché non c'è motivo che io la riceva, non ne avevo voglia. Sta' lì – pensavo, riferendomi alla lettera – magari tra un paio d'ore cambio idea e ti spedisco lo stesso. Poi faccio il solito giretto sui blog, e leggo che Camillo ha scritto una cosuccia sulla questione. Che prendo, sottolineo e faccio mia in tutto e per tutto. E 'fanculo le tirate d'orecchie, brutte o belle che siano.
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