sabato, novembre 26, 2005

Musicalia / Ho incontrato Diamanda Galas e mi sono innamorato

Il 25 novembre Milano è fredda. Il cielo è grigio, la temperatura è intorno allo zero e nevischio ghiacciato per tutto il giorno cadrà sulla città meneghina. Sembra quasi che qualcuno abbia voluto preparare alla perfezione il clima per la – ennesima – calata italiana di Diamanda Galas e, detto per inciso, ci riesce alla perfezione. Non conosco in modo approfondito l’opera della Serpenta – come lei si definisce – quindi mi sono preparato all’incontro avvenuto nell’auditorium Villa Simonetta della Civica Scuola di Musica di Milano con spirito di apprendimento più che altro. Pensavo anche che mi sarei trovato davanti una persona spocchiosa; chissà perché nella mia mente l’immagine di lei era questa: forse le interviste che nel corso degli anni ho letto, le sue dichiarazioni al fulmicotone, o forse la sua immagine. Sta di fatto che vengo smentito non appena la nostra fa ingresso, accompagnata da un applauso, nell’auditorium. La donna che infatti mi trovo davanti e che parlerà per le successive 5 ore è l’opposto di quanto la mia immaginazione aveva fruttato. Sorride, è incredibilmente loquace e appena inizia a parlare le sue parole inondano la sala e sembrano non voler più smettere. Non è bella, Diamanda Galas. Non bassa ma decisamente più di quanto le foto mostrano, 50 anni esatti, capelli lunghi e di colore nero corvino, corpo esile, occhi con poco trucco rispetto a quello che siamo abituati a vedere nelle immagini sui giornali, la nostra possiede però un qualcosa che ti porta a non staccarle più gli occhi di dosso, qualcosa che la rende incredibilmente affascinate. L’incontro, avvenuto in occasione della consegna alla cantante del premio Demetrio Stratos, verte su tutto ciò che la può riguardare: dal tema dell’esilio al processo creativo che la porta alla formazione dei suoi brani. Dalla poesia alla filosofia. Da aneddoti divertenti e irripetibili, a proclami vagamente femministi che tutto fanno tranne che infastidire. Spiega il suo ultimo spettacolo, Defixiones: will and testament, basato sulla declamazione di poesie di poeti stranieri, in lingua originale, che riunisce così le composizioni di poeti greci, spagnoli, e siriani, tra gli altri. E fa niente se i critici questa cosa non l’hanno capita: Diamanda non traduce, e lascia all’intelligenza dello spettatore la lettura di un libretto contenente i testi con la traduzione, con la certezza che se non ti prendi la briga di farlo, lei non ci metterà nulla a darti del “fucking idiot”. Parla del tema dell’esilio, delle categorie emarginate, e si scaglia contro i paesi che prevedono pene corporali – morte e pratica della muratura sui vivi comprese – per gli omosessuali. D’altronde persino il suo corpo fa intendere quanto a lei il tema dell’esilio sia caro: sulle falangi delle dita della mano sinistra ha tatuato un inequivocabile “We are all HIV +”, in segno di solidarietà verso le persone affette da Aids e ricordo del suo impegno presso ospedali di cura per malati terminali (oltre che segno di dolore personale: in passato ha dichiarato che molti dei suoi amici sono malati di Aids). Diamanda poi, sollecitata dalle domande dei numerosi partecipanti, parla del suo processo creativo, di come l’idea prende la forma di canzone, sia che si tratti dei suoi pezzi di chiara derivazione blues (musica che, grazie al padre musicista, ha assorbito alla perfezione) o che in ballo ci siano le sue fantastiche e spettrali sperimentazioni vocali, che portano ad una “liberazione della voce” ed a esperimenti, se non proprio di polifonia tout court, sicuramente di distorsione vocale e di arricchimento armonico della voce. Dice dunque che per lei è fondamentale partire dal testo per poi arrivare – a seconda di esso – ad una base musicale (portando l’esempio opposto del fratello, capace di aggiungere un testo a qualunque melodia già esistente). Parla della sua collaborazione con John Paul Jones, ex bassista dei Led Zeppelin, con il quale ha fatto un disco nel 1994, The Sporting Life, avente come tema l’uccisione degli uomini; basso, percussioni e sintetizzatori “and no fucking guitars”, come specifica fiera, e nessuna concessione al commerciale, come invece qualcuno ha provato ad insinuare con una domanda punzecchiante. Si sofferma a lungo a parlare della sua voce, del suo strumento più prezioso (quasi come se il pianoforte che, tra le altre cose, suona magistralmente, fosse per lei uno strumento di secondo piano). Dice che ha imparato le tecniche da un prete – che si autodefinì l’unico in grado di conoscere gli strumenti per far progredire la tecnica vocale, a differenza di tutti gli altri maestri che nulla fanno tranne rovinare le corde vocali – e che tuttora si esercita ogni qual volta riesce, perché per lei è “molto importante tenersi in allenamento; come uno scrittore deve continuare a scrivere e un boxeur a tirare pugni, così un cantante deve cantare continuamente per affinare la sua tecnica e migliorare la sua voce”. Parla a lungo di come sul suo corpo abbia imparato a sentire i giusti punti di risonanza delle singole note e di come anche ora ci sia un personal trainer – da lei chiamato in una delle sue continue incursioni nella lingua italiana “maestro della voce”, ovviamente senza allusioni alla PFM – che la segue nei suoi allenamenti e che lei considera fondamentale. Sempre riguardo alla voce, sollecitata da una domanda di una persona che le chiedeva se è vero quello che i medici dicono, ossia che per una questione ormonale col passare degli anni la voce delle donne tende a diminuire fino a quasi sparire del tutto, risponde come di consueto in modo abbastanza piccante, dicendo di “odiare tutti i medici perché sono uomini e chissà come mai hanno pazienti donne. E come hanno inventato le creme vaginali per le donne avanti con l’età, così potrebbero inventare dei fucking hormons – ormoni del cazzo – per la gola da assumere tramite gargarismi e risciacqui”. Insomma, un personaggio magnifico e decisamente fuori dalle righe. Riguardo alle collaborazioni con altra gente – oltre al già citato John Paul Jones, a livello mainstream si ricorda la collaborazione con Alan Wilder, ex Depeche Mode, per lo spazio di un disco, Liquid – lei chiude ogni porta a riguardo: collaborare con altri cantanti non le interessa, e visto che è già lei a sperimentare la voce, preferirebbe collaborare con sperimentatori musicali. Ma non parlatele degli Einsturzende Neubauten di Blixa Bargeld, perché dall’alto della sua classe vi sentireste rispondere che lei “è troppo vecchia per fare la baby sitter”. Fa impressione vedere quale effettivamente sia il suo pubblico, davvero variegato è trasversale rispetto a qualsiasi genere o classe sociologico/sociale. Diamanda stessa afferma, con un certo – e invidiabile – orgoglio, che la sua audience è assolutamente “individuale, ognuno che pensa con la propria testa ed è inammissibile in qualunque categoria”. E impossibile darle torto: si va dagli estimatori di musica colta, ai consumatori di musica popolare al pubblico goth, con il quale lei stessa in più di un’intervista ha ammesso di avere un rapporto speciale, nonostante non si senta per niente un personaggio gotico e sempre nonostante prediliga vestirsi di nero – perché “mi copre e mi rende invisibile in mezzo agli altri” ha affermato a Milano -, con l’unica eccezione sulla cover del disco The Sporting Life, dove si presenta con canottiera rosso fuoco e trucco da cannibale. Davvero un bel seminario quello di Milano, che finalmente ha portato un’artista decisamente non convenzionale – anzi, spesso scomoda se non addirittura blasfema – come Diamanda Galas in un ambiente di musica colta, compiendo quindi una sorta di “sdoganamento” culturale che, per coloro che ancora non conoscono a fondo l’opera dell’artista mezza greca e mezza americana (nata a S. Diego da genitori greci), non può portare che giovamento e arricchimento. Ma una nota dolente c’è stata, purtroppo, e come di consueto riguarda l’organizzazione: filmati che non partivano hanno causato mezzora di ritardo all’inizio del seminario. Ma se l’inconveniente tecnico è sempre in agguato, decisamente meno giustificabile l’operato di un’interprete quantomeno imbarazzante. “I’ve got friends in Turkey” dice Diamanda. “Ho molti amici in Turchia” ribatte l’interprete e la Galas, immensa come non mai, con una mistura di italiano e inglese la guarda e, con ghigno malefico, le dice “Non ‘molti’, just ‘a few’” – e stendo un velo pietoso su altri ben più eclatanti casi di traduzioni errate. All’uscita dalla sala il cielo è ancora grigio e palline di neve congelata continuano a scendere, come a voler accompagnare Diamanda Galas dall’auditorium all’albergo, garantendole il paesaggio più adatto alla sua attraversata.


giovedì, novembre 24, 2005

Oh! Oh! Oh! Oh!

Bob Geldof al posto di bacchettare l’Italia dovrebbe fare qualcosa – non dico di più utile, questo no – per la quale è decisamente più competente. Per esempio aveva questo gruppo, fantastico, che fece una canzone – Someone’s looking at you – altrettanto fantastica. La suddetta canzone aveva un coretto – oh oh oh oh – struggente e freakissimo. Perché non ce la canta ancora una volta, al posto dei pistolotti?

Ciampi bis? Si, no, forse

Gianfranco Fini, presidente di Alleanza Nazionale e politico sicuramente navigato, ha lanciato la proposta: perché non un Ciampi bis, ovvero la ri-elezione del Presidente della Repubblica per un secondo mandato? Proposta solo in apparenza (e si vedrà il perché) accantonata dalla maggioranza - “ipotesi prematura” ha detto il Premier Silvio Berlusconi – ma invece invocata a gran voce dall’opposizione, dai Ds ai Verdi, che in più di un caso hanno addirittura espresso il loro stupore per “essere d’accordo con Fini, per la prima volta”. Ma quali sono le ragioni che stanno dietro questa uscita del Ministro degli Esteri e vice Premier, sicuramente non arrivata a caso? Ci sta un vecchio gioco della politica, antico come il mondo, il do ut des. Ti offro qualcosa affinché tu poi faccia un favore a me. L’offerta messa sul piatto dalla maggioranza – che, pur fingendo di accantonarla, si ha motivo di pensare che invece l’abbia promossa in penombra, mandando avanti Fini – è appunto un nuovo settenario, mentre il favore in cambio, a pochi mesi dal voto, sarebbe il non mettere il bastone tra le ruote da parte del Presidente della Repubblica sulla nuova legge elettorale in senso proporzionale. Ciampi, da par suo, ha declinato l’offerta. Saggiamente, per due motivi: il primo, nonostante lo scambio di favori come detto sia pratica antica, non è sicuramente la più nobile delle azioni, e il Presidente della Repubblica deve aver capito l’inciucio, preferendo non mettere a rischio la sua – seppur teorica - imparzialità. Il secondo, detto senza offesa per Ciampi, è un motivo non politico, bensì anagrafico: il Presidente comincia ad avere una certa età, dunque per lui farsi altri sette anni al Quirinale potrebbe non rivelarsi una scelta azzeccata. In tutto questo però le due figure politiche che figura fanno? Della maggioranza abbiamo già detto, e ribadiamo che il giochetto è vecchio ed è stato talmente abusato nel cursus della storia politica che viene quasi difficile anche scandalizzarsi. Per quanto riguarda l’opposizione, la vicenda si è invece rivelata come una zappata sui piedi. Perché se prima ha affiancato Fini nella sua ipotesi di un Ciampi bis, si è poi dovuta trovare d’accordo con il Presidente della Repubblica che dalla Turchia, dove si trovava in visita ufficiale, ha affermato di voler concludere degnamente il suo mandato e basta, come a voler scongiurare l’ipotesi di un secondo settenario. Insomma, i signori dell’opposizione Ciampi lo vogliono o no? Oppure preferiscono intromettersi in dibattiti interni alla Casa della Libertà, dicendo la loro – e dichiarandosi addirittura stupiti per essere d’accordo - e poi a giochi conclusi dovendo smentire il tutto, dimostrando ancora una volta tutta la loro inadeguatezza? Ai posteri l’ardua sentenza, nella speranza di non doverla verificare il prossimo aprile.

Freddie Mercury 5.09.1946 - 24.11.1991

Quante citazioni dalle sue liriche si potrebbero usare. Quante parole, quanto decoro, quanti riempimenti, quante belle parole ma anche quanta retorica. Ma non si raggiungerebbe mai la quantità di elogi necessaria a ricordare la sua figura.

mercoledì, novembre 23, 2005

Pubblico ringraziamento

Ringrazio pubblicamente il blog The Right Nation – il blog Americano di Ideazione per darmi l’onore – immeritato? – di comparire tra i links preferiti. Ancora grazie.

martedì, novembre 22, 2005

Melissa P. e la noia che ti assale

Solitamente il giusto cursus sarebbe lettura-visione. Da che mondo è mondo il “classico” prima lo si legge e poi lo si va a vedere al cinema, decretando che il confronto con il libro è imbarazzante. Ma appunto se c’è di mezzo un classico. Dunque io sono andato a vedere Melissa P. – il film – senza aver letto “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire" – il libro – e avrei forse sbagliato? No, perché di classico non si tratta. Né tanto meno mi pento di non aver posato gli occhi su quelle pagine immagino pregne di alta letteratura, perchè la visione del film mi è bastata. Si vedono un paio di culi – cioè lo stesso un paio di volte -, un davvero brutto pompino vista mare e mezza orgia con l’immagine sfuocata. Se tutto ciò basta per riempire la sala di ragazzini di 16 con le proprie fidanzate sottobraccio, assolutamente non va però a sopperire la mancanza di una storia che si regga in piedi da sola. Una noia mortale, con attori che recitano male e sbadigli che iniziano ad arrivare dopo circa un quarto d’ora di visione. Fantozzianamente parlando si direbbe “una cagata pazzesca”. Poco, davvero poco, ci manca.

Il mio commentatore anonimo preferito conosce solo un termine: coglione

Caro il mio commentatore anonimo, coglione almeno quanto vai in giro a darne agli altri, non cadrò nel tuo tranello. Dunque grazie a te non toglierò alle altre brave persone la possibilità di lasciare commenti anonimi. Mi basta che tu sappia un paio di cose; primo, ho motivo di pensare che tu faccia parte della cerchia ristretta di blog iscritti a quella grande idea – che con il tuo comportamento infanghi – che è Blog News. Secondo, da questa prima informazione potrei risalire al tuo blog. Terzo – già, quasi me ne dimenticavo – ho il tuo indirizzo IP, il provider a cui ti connetti, il sistema operativo e il browser. Ora, sai che in rete esistono delle regole? E che per farle rispettare talvolta – come avviene anche nella vita reale – si può far intervenire un organo chiamato Polizia, in questo caso postale?

lunedì, novembre 21, 2005

Via Arafat e non Via Caduti a Nassiriya - che schifo.

Avrei voluto – anzi, dovuto - scrivere almeno settemila battute (ma non ce l'ho fatta) per parlare della vicenda di quel sindaco nel napoletano – riportarne il nome e il paese di cui è primo cittadino? Meglio omettere – che con la scusa del “i soldati italiani in Iraq sono pagati” ha preferito intitolare una via a Yasser Arafat e non ai caduti dell’attentato di Nassiriya. Uno sgarbo tutto all’italiana. Anzi, tutto “alla sinistra”, essendo il nostro “grande personaggio” un sindaco dei Comunisti Italiani. Capito? I nostri erano pagati, condizione necessaria per essere esclusi dal titolo di “martiri” – ma i soldoni che Araft aveva non sono stati presi in considerazione? Un gesto folle, e una follia difendere questa azione che offende i parenti di quelle vittime, anzi – tanto qui si può dire – di quei martiri, oltre che il Paese intero. Che schifo. Potessi, la farei a casa mia una via per loro, e darei un bel calcione nel sedere a tutti quegli imbecilli che la pensano come quel sindaco. Ignoranza strumentalizzata, nient’altro da aggiungere di fronte a queste cose.

Campi di concentramento

Stamane sul Giornale c’è un bellissimo articolo di Filippo Facci sui laogai cinesi, veri e propri campi di concentramento ancora esistenti, dove chiunque dimostri di essere “ribelle” - secondo non meglio specificati canoni, senza prove e senza processi – viene rinchiuso. A lavorare, prendere mazzate. Talvolta morire. Dategli un’occhiata.

sabato, novembre 19, 2005

Finire sul calendario Pirelli non è da tutti, sebbene ultimamente in troppe ci siano capitate. Tuttavia, tuttavia…Io questa Kate – se non fosse che Pete Doherty potrebbe ancora vantare su di essa qualche diritto di fidanzato, ché la storia non si è mica ben capita – la adoro.

Il pezzo lo troverete da qualche parte, tra un po'...

Mercoledì 16 novembre, al Senato sono circa le 19 e 30 quando viene approvata una nuova riforma targata Casa delle Libertà, la devolution così tanto voluta dalla Lega di Bossi. Centrodestra praticamente compatto nel votare a favore (l’unica defezione registrata è stata quella del vice presidente del sentato Fisichella, che votando no ha anche colto l’occasione per dimettersi da Alleanza Nazionale, in polemica col partito), centrosinistra altrettanto unito a votare contro e a promettere una futura battaglia referendaria. Intanto, dalle “tribune d’onore” Umberto Bossi, moglie e figli al seguito, ha alzato il pugno alla lettura dell’esito della votazione (170 sì, 132 no e 3 astenuti). Di più non poteva fare, la malattia che l’ha colpito lo scorso anno ancora lascia i segni. Vorrebbe, presumibilmente, alzarsi, urlare, sbraitare, mostrare tutta la felicità verso i suoi compagni di partito e verso il centrodestra (quasi) intero. Non può, ma in quel pugno e in quel ghigno l’idea viene comunque resa. Ma al di là della cronaca, degli avvenimenti, del colore, cosa cambierà con questa benedetta devolution? Inutile girarci troppo intorno: essendo una riforma cosiddetta costituzionale, andrà a modificare parte della costituzione, precisamente l’articolo 117. Ma non è abbastanza per storcere il naso minacciando una presunta “morte della Carta”, in verità nemmeno lontanamente auspicabile. La riforma della devolution attribuisce competenza esclusiva alle Regioni per quanto riguarda l’organizzazione sanitaria, scolastica e la polizia amministrativa locale, questo il quadro generale. Per quanto riguarda la sanità, non cambia nulla: la legge conferma i poteri che le regioni già hanno per quanto riguarda l’organizzazione e la gestione delle strutture sanitarie ed ospedaliere. Riguardo alla scuola, saranno le regioni a rendersi carico dell’organizzazione del personale, mentre non cambierà la formulazione dei programmi scolastici, che sarà ancora centralizzata, con la possibile aggiunta di integrazioni – e non dunque di privazioni o stravolgimenti - da parte di specifici enti locali. Infine le regioni avranno il potere di istituire o meno un nuovo corpo di polizia locale con funzioni amministrative. Con la riforma non è stata introdotta solo la devolution, bensì anche altre modiche riguardanti il Senato della Repubblica che diventa federale. Il numero dei senatori passa così da 315 a 252 membri, eletti in ciascuna regione durante le votazioni regionali (nelle quali, quindi, si voteranno anche i membri del Senato). Diminuisce anche il numero dei deputati, che scende a 500 (da 630). Infine si rafforzano i poteri del premier, che per insediarsi non avrà più bisogno della fiducia del Parlamento, ma solo di un voto del programma. Il Premier potrà però essere sfiduciato dai membri della stessa maggioranza, a patto che venga indicato il nome di un nuovo Premier. Inoltre spetta al Presidente del Consiglio nominare o revocare i ministri, oltre alla scelta di sciogliere le camere, e non più al Capo dello Stato. Questi i tecnicismi della riforma, queste le modifiche che alla sinistra fanno urlare uno scandalo che sinceramente è arduo vedere. È stato detto da chi era contrario a questa devolution, che le regioni avrebbero avuto troppi poteri, che l’Italia sarebbe stata disunita. Niente di più falso, tant’è che è stata comunque inserita una clausola, chiamata di “interesse nazionale” che prevede il blocco di una legge regionale se questa dovesse pregiudicare l’interesse nazionale dello Stato. Come può dunque minacciare l’unità d’Italia? Per quanto riguarda il Sud, erroneamente indicato come vittima dalla devolution, c’è da dire invece che questa è un’occasione e per niente un danno. Questa riforma, responsabilizzando le amministrazioni regionali, conferisce loro il potere di decretare le scelte migliori per lo sviluppo del territorio, senza che queste vengano prima discusse all’interno di un ministero. In pratica gli amministratori del Sud si trasformano in governanti. Il che non è poco, e soprattutto non pregiudica lo sviluppo. Ovviamente ora la legge dovrà scontrarsi con un referendum ideato da coloro i quali anziché analizzare la riforma per quello che realmente è, hanno preferito bocciarla “senza se e senza ma” perché – come accade da sempre con questa ridicola opposizione – qualsiasi cosa propone il governo è sinceramente sbagliata. Non si tratta di essere leghisti o di difendere Bossi, anzi. Solamente di valutare un’ottima riforma che dà più potere alle regioni e che porta come risultato nient’altro che una maggiore governabilità in quelle istituzioni – scuola, sanità. Polizia locale – sempre fuggevoli al farsi governare. E, molto importante, di rafforzare i poteri del Premier che è praticamente l’unico vero capo dello Stato, essendo votato direttamente dalla popolazione.

Il Nobel e l'Ambrogino

Oggi Dario Fo ha lasciato una stupenda – ironicamente parlando – intervista alla Stampa. Si parlava di Milano, essendo il giullare uno dei candidati alle primarie per il posto da sindaco. E il nostro ne ha avute per tutti. A cominciare dalla giunta attuale, secondo lui composta da fascisti – un po’ come dire che quelli come lui sono stalinisti, non vi pare? -, quindi spregevole, quindi che non si deve degnare di cercare una collaborazione. Quindi una chiavica, per parlare il napoletano in una questione puramente meneghina. Insomma, se secondo il Fo questa giunta fa così tanto, ma tanto, schifo, perché non ha levato le tende? Suvvia, un qualche circo pronto ad accoglierlo l’avrebbe trovato tranquillamente. Come? Dall’alto mi dicono che sono troppo stronzo e che se voglio dimostrare un po’ di classe non dovrei parlare così di una pur sempre (?) rispettabile (??) persona come Dario Fo. Non mi tocca. Non alla sola giunta milanese si limitava la vomitata. Nient’affatto signori. È periodo di Ambrogini a Milano – onorificenze che il capoluogo lombardo conferisce a personaggi importanti che, in qualche modo rientrante nelle loro competenze, hanno “lasciato il segno” – e come anche i sassi sanno, è stata proposta la consegna del premio anche a Oriana Fallaci. Apriti cielo, per Fo questo è scandaloso. Insomma, la Fallaci predica l’odio, è razzista, alimenterebbe – se non addirittura “si inventerebbe” – gli scontri di civiltà. Fo taglia corto, Oriana Fallaci con l’ambrogino “non c’entra niente”. Da queste parti la Fallaci è amata e rispettata – e lo affermo con orgoglio, anche a costo di prendermi del razzista – e dunque la cosa è stata mal digerita. Certo, il signor Fo ha giustamente potuto dire quello che ha voluto – ne ha avuto il sacrosanto diritto – solo che ci sembrerebbe opportuno “calibrare” la vomitata, di tanto in tanto. Insomma, passi la giunta comunale, passi l’Oriana xenofoba – tutte cose che non condivido minimamente, ma che il Fo, ripeto, ha potuto affermare – ma quel “non c’entra niente” non doveva. Prima di tutto per rispetto verso una persona, ancor prima che una scrittrice – in misura nettamente maggiore di quanto possa essere considerato Dario Fo uno scrittore. A tal proposito quelle amare parole mi hanno riportato con la memoria a quel nemmeno troppo lontano 1997 e a un Nobel che - questa volta sì - non c’entra nulla. Con la differenza – e qui converrà anche Fo – che un Nobel non è un Ambrogino qualunque.

venerdì, novembre 18, 2005

L'errore

Sbagliano Marcello Veneziani e Vittorio Feltri stamane su Libero. Parlando di Devolution il primo dice che è di destra – e qui non sbaglia affatto – e terrone, e che quindi non accetta la nuova riforma. Feltri invece dice che l’accetta – con riserve – perché è orobico. L’errore? Mettere su un piano di provenienza geografica una riforma che, se funzionerà a dovere, sarà utile per l’Italia – unita – intera.

domenica, novembre 13, 2005

Consigli per gli acquisti

Ho finito oggi Un amore fascista, l’ultimo libro di Giordano Bruno Guerri. Bello, narra il triste amore tra Edda Mussolini – figlia di – e Galeazzo Ciano. Romanzo all’interno di un libro storico potrebbe essere una definizione corretta, anche se non rende giustizia alle capacità narrative di Gbg. Magari – ma proprio forse – ne riparlerò.

Tutela delle coppie di fatto. Perchè no?

Nella commemorazione degli morti a Nassiriya di ieri, un fatto è stato decisamente fuori luogo. Tutti saprete della signora Adelina Parrillo, portata alla messa in onore dei caduti svoltasi alla caserma Macao, trasferita insieme agli altri parenti delle vittime al Vittoriano per la consegna delle medaglie e poi impedita di entrare perché era “solo” la compagna di Stefano Rolli (una delle vittime), e non aveva alcun legame – legale – di parentela. Imbarazzo, vergogna, rabbia. Tutti sentimenti provati dalla signora Parrillo e tutte reazioni completamente comprensibili. Ora, si crede nella gaffe – nell’ennesima gaffe -, si spera nelle scuse che prontamente dal Ministero della Difesa arriveranno. Perché un episodio così increscioso non può e non deve intaccare la celebrazione di eroi, morti per la liberazione di un altro paese. Morti in missione di Pace per mano di un terrorismo crudele. Tuttavia l’episodio è avvenuto, e vale quindi la pena di riflettere, scomodando uno degli argomenti più caldi della stagione politica, i cosiddetti Pacs. Patti civili di Solidarietà. Ora non so se è giusto introdurli, se è giusto permettere a due omosessuali di cadere nella pagliacciata di un loro matrimonio – perché di pagliacciata si tratta, e nessuno vuole mettere in dubbio il giusto e legittimo amore che ci può essere tra persone dello stesso sesso. Non credo che i Pacs siano il metodo migliore. C’è da dire però che le coppie di fatto vanno certamente tutelate, che in questo senso ancora molta ignoranza aleggia sul Palazzo romano. E la tutela deve avvenire non solo per evitare spiacevoli episodi come quello di ieri, ma anche per garantire alla coppia una vita dignitosa. Al di là delle questioni morali e matrimoniali, credete sia giusto che due persone, amanti per tutta la vita, non possano – ad esempio – prendere la pensione del compagno (o della compagna) qualora esso (o essa) venga a mancare? O che non si possa prestare assistenza nella malattia della persona che per una vita abbiamo amato e accompagnato, solo perché non si è parenti? Riflettiamo su queste cose. Così come riflettiamo sul fatto che i Pacs non sono un matrimonio, nella maniera più assoluta. Perché quest’ultimo è composto anche da altre cose. Che non tutti però sono obbligati a sottoscrivere per avere un minimo di copertura e sicurezza. Faccio piano a dirle, queste cose. Perché c’è sempre qualche imbecille che – vedendo dalla parte politica in cui sto, la stessa in cui presumibilmente sta anche lui – mi accuserebbe di progressismo. A me? Io che ho sostenuto così tanto la vita, l’embrione. Io che ho predicato contro i 4 sì – e allo stesso tempo contro l’orrenda pratica dell’astensione – nel referendum dello scorso giugno? Perché, non si può allo stesso tempo essere a favore di un minimo di tutela della “coppia di fatto”? Qui ci sono gli estremi per una querela.

sabato, novembre 12, 2005

i dardi: striptease

Dopo aver letto della studentessa in provincia di Udine, che ha mostrato le grazie ai suoi compagni di classe come campagna elettorale per diventare rappresentante di classe, si pregano le gentili donzelle che affollano i banchi tanto del centrosinistra quanto del centrodestra di risparmiarci lo spettacolo. Anche perché, come da cronaca, la studentessa in questione non è stata eletta rappresentante.

un doloroso ricordo

Due anni fa l’Italia ha subito il più grande attacco terroristico della sua storia, in Iraq nella base di Nassiriya. Quattro kamikaze sono “riusciti” ad uccidere 12 carabinieri, 5 soldati, 2 civili e 8 iracheni.

Alla faccia di...

Alle 23:20 di venerdì 12 novembre 2005, mentre un personaggio tanto codardo e imbecille da non firmarsi nemmeno mi dava del ‘coglione’ – inutile che controlliate, è già sparito - , bevevo Negroni ai piedi del duomo di Monza. Ora, solo ora, capisco alla faccia di chi.

venerdì, novembre 11, 2005

Ma che bravi questi qui!

Ora si è capito perché la sinistra radicale non ha partecipato alla manifestazione indetta dal Foglio di Giuliano Ferrara in solidarietà ad Israele. Perché altrimenti oggi 11 novembre 2005 una sinistra radicale in Italia non esisterebbe più. Come? Chiedetelo ad Alessio d’Amato, segretario romano dei Comunisti Italiani di Diliberto. Lui alla manifestazione ci è andato: a quanto pare gli è costato il posto. Pensate se ci fossero andati tutti…

Celentano è finito.

Celentano è finito, e nessuno se ne dispiace. Finito, basta, andato. Adesso per almeno altri tre-quattro anni non lo vedremo più. Certo, ad ogni Natale tornerà, nei negozi di dischi, per venderci qualcosa. Lo fa regolarmente negli ultimi anni anche se – è doveroso dirlo – con fortune alterne. D’altronde anche lui deve campare, no? Che volete che siano quei tre – dico, tre – capriccetti che si potrà togliere con lo stipendio guadagnato con quattro – dico, quattro – puntate. Ma nessuna divagazione: Celentano è finto ieri sera. Altri 10 milioni di spettatori, trend che si è mantenuto pressoché ottimo – qualche piccolo calo durante la terza puntata, ma è umano (e Celentano, nonostante l’aspetto, sembrerebbe esserlo). Il problema non sono stati gli ascolti – cioè, intendiamoci, non è un problema quantitativo di quanti l’hanno guardato o di quanti (pecoroni) si sono fatti orientare nel voto da Celentano -, il problema semmai è creativo. Trend positivo per gli ascolti, parabola discendente nella qualità. Già poca, pochissima, nella prima puntata; rasentava lo zero nell’ultima. Certo, c’è stato Benigni e il suo – solito, vecchio e ammuffito – show. Ci sono stati Teo Teocoli e la Guzzanti. Hanno cantato Ligabue ed Eros Ramazzotti. Ma al di là di questo, il molleggiato non ha dato nulla. Soliti monologhi, soliti sorrisi “sguenci”, solite ed interminabili pause. E soliti attacchi politici, televisivi, giornalistici e chi più ne ha più ne metta. Da aggiungere poi un fenomeno nazional-popolare che al Brutto non veniva dai tempi della Coppia più bella del mondo in coppia – appunto, ché da solo ne fa solo mezza alla settimana – con Claudia Mori: il tormentone “rock-lento”. Se dunque come sembra opportuno bisogna dare un giudizio basandosi su una delle voci di questo binomio, concludiamo – e, attenti, nulla di nuovo: cose già dette – con un bel “Celentano è stato lento, lentissimo”. Ma è stato. Ed ora fortunatamente non è più. Alla prossima vomitata.

giovedì, novembre 10, 2005

And the winner is...

Ora verrebbe anche da essere maligni, ma si capisce che il momento non è dei migliori. Certo che affidare Serie A (il programma dal quale Paolo Bonolis se n’è andato giusto in tempo per non dover subire l’affronto di essere trombato) a Enrico Mentana è un fatto che – oltre ad essere decisamente eccezionale – suscita il sorrisino dei più. E si ritorna all’inizio: verrebbe pure da essere maligni…Certo, Bonolis se n’è andato – in tempo per evitare e bla, bla, bla... – perché gli ascolti del programma erano al di sotto delle peggiori previsioni Mediaset. Un po’ come – l’ottimo, stupendo, giuro di dichiarare il vero: a me questa trasmissione piace; roba che Vespa è di un vecchio e patetico – Matrix, il programma condotto da, guarda caso, Enrico Mentana. In conclusione, non è per voler essere a tutti i costi maligni – proprio come si diceva di voler evitare all’inizio del post – ma non è un buon augurio. Né per Chicco Mentana, né tanto meno per il calcio “in chiaro”. Che – e qui viene il bello – potrebbe anche non fregare più nulla agli italiani.

mercoledì, novembre 09, 2005

Qualcuno mi spiega perché eat the music di Kate Bush – la divina eat the music della divina Kate Bush – fa parte di una cagatina di disco come the red shoes?

Tav? Si, grazie!

ciò che trovate qui sotto è un estratto da un pezzo di prossima pubblicazione. Non vi dico dove, tie'!

[…] Un’infrastruttura utile come la linea ferroviaria ad alta velocità sta scatenando gli animi degli abitanti della Valle di Susa, una delle tante zone coinvolte dal passaggio di questi treni. I motivi? I soliti: il cantiere aperto per chissà quanti anni, il traffico, i camion. Senza che nessuno dei protestanti prenda in considerazione che la linea ferroviaria se inevitabilmente porta traffico al momento della realizzazione, allo stesso modo eviterà il transito dei camion che trasportano le merci oltre il confine, perché il trasporto merci sarà garantito dai treni. E, ancora, come ignorare e opporsi all’allacciamento dell’Italia su un raccordo così importante a livello extra-nazionale? Perché rinunciare al collegamento del nostro paese con l’estero mediante l’utilizzo di una tecnologia che altrove già usano? C’è anche da dire che a livello governativo tra Francia e Italia – e, all’interno dell’Italia, tra i due schieramenti politici – tutto era stato risolto e gli accordi trovati. Ora non è giusto che per delle proteste, condotte tra l’altro dalla strumentalizzazione politica di un partito come i Verdi – abitanti nello stesso casotto di Romano Prodi -, l’Italia debba rinunciare ad un collegamento così importante […]

lunedì, novembre 07, 2005

Lettere dall'Iraq

Oggi La Stampa ha pubblicato una bellissima lettera di Jalal Talabani, Presidente dell’Iraq, indirizzata in particolare al nostro Paese – in questi giorni è in Italia per incontrare il Papa, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e anche qualcuno dell’opposizione – e in generale a tutti i paesi impegnati nella ricostruzione dell’Iraq e nella realizzazione della sua democrazia. Era troppo bella per finire nella pila dei giornali da riguardare – o, peggio ancora, in quelli da buttare.

PER NOI IRACHENI IL VOSTRO RITIRO SAREBBE UNA CATASTROFE

È una battaglia molto difficile quella che si sta combattendo oggi nel mio Paese. Da un lato c’è la maggioranza degli iracheni, che desidera costruire un nuovo Iraq; un Iraq democratico, pacifico, sicuro; un Iraq in pace con sé stesso, con i vicini e con il mondo. dall’altro c’è una minoranza di terroristi e di orfani del regime di Saddam Hussein che vogliono il ritorno della dittatura e della tirannia. Per la maggioranza degli iracheni il futuro all’orizzonte è di promesse e di speranza. Il vecchio Iraq era fatto di discriminazioni, camere di tortura e fosse comuni. Il nuovo vuole democrazia, diritti umani, libertà ed eguaglianza. Il mese scorso il popolo iracheno ha preso una decisione storica adottando una nuova Costituzione. A gennaio, in una elezione che ha rappresentato una pietra miliare per l’Iraq e per tutto il Medio Oriente, gli iracheni hanno sfidato i terroristi e le auto-bomba per eleggere un Parlamento, che poi ha scelto un Presidente. E il mese prossimo avremo un’altra elezione, quella di un governo non più provvisorio.
La buona notizia è che a ogni passo sulla via della democrazia sempre più iracheni prendono parte al processo politico e mostrano di credere che i voti, e non le pallottole, cambieranno le loro vite. Sono al corrente dei dubbi dei mass media occidentali sul fatto che la democrazia possa funzionare in Iraq. C’è chi la ritiene un’imposizione occidentale. Io dico: questo non ha senso ed è un insulto alle centinaia di migliaia di iracheni che hanno sacrificato la vita per i valori in cui credevano.
Nell’accingerci al duro compito di edificare la democrazia stiamo anche spazzando le macerie per ricostruire un Paese distrutto dalla dittatura. Nella sostanziale indifferenza dei mass media, 14 delle 18 province irachene stanno facendo netti progressi in direzione della stabilità e della prosperità. Adesso godiamo di una vibrante libertà di stampa e tutti gli iracheni sono liberi di dire quello che vogliono. Il mercato è stato gradualmente liberato dai controlli statali e l’Iraq sta progressivamente ricostruendo la sua economia.
Ho detto in passato e ribadisco qui che la libertà e la democrazia sono il cuore del nuovo Iraq. Ma i nostri sforzi e la nostra giovane democrazia sono sotto attacco da parte degli stessi fanatici che hanno commesso i crimini dell’11 settembre a New York, dell’11 marzo a Madrid e del 7 luglio a Londra. Si tratta dei medesimi assassini che uccidono oggi in Iraq.
Chi pensa che il terrorismo in Iraq sia il risultato della presenza delle forze multinazionali si sbaglia. Gli orfani di Saddam Hussein e i terroristi stranieri di Al Qaeda non possono sopportare una democrazia nel Medio Oriente. È per questo che la continua presenza delle forze multinazionali è assolutamente vitale per noi. Capisco che molti italiani desiderino che le loro truppe in Iraq tornino a casa quanto prima è possibile. E io garantisco che stiamo facendo di tutto perché ciò avvenga. Anche noi vogliamo che la presenza delle forze multinazionali abbia termine, ma sono le azioni dei terroristi a perpetuarla.
L’impegno del vostro Paese per la causa della democrazia in Iraq e il vostro contributo all’addestramento delle nostre forze di sicurezza ci aiutano a fare da noi e a governare il nostro Paese. Un ritiro anzitempo sarebbe una catastrofe per il popolo dell’Iraq e una vittoria del terrorismo. Né voi nel mondo libero e democratico, né noi iracheni possiamo permetterci di abbandonare la causa della democrazia e consegnare l’Iraq ai terroristi.
Per tutte queste ragioni dobbiamo essere consapevoli che stiamo combattendo una battaglia comune. È ora di lasciar perdere la diatriba se scatenare la guerra sia stato giusto o no. Ormai questa è storia. Dobbiamo accantonare le divergenze e guardare all’Iraq con occhi nuovi e comprendere la semplice realtà morale: noi stiamo da una parte e i terroristi dall’altra. Scegliere da quale delle due stare non è difficile.

Jalal Talabani, Presidente dell’Iraq
© La Stampa


I dardi: il nudo su Famiglia Cristiana

Don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, ha dichiarato ai lettori, scandalizzati: “Perdonateci il nudo”. Poi, non resosi conto che il registratore dei cronisti era ancora acceso, avrebbe anche aggiunto: “però non sapete quanto costa un’inserzione pubblicitaria a colori sulla nostra rivista…”.

domenica, novembre 06, 2005

Piero Fassino e la politica estera

Leggere l’intervista a Piero Fassino pubblicata oggi su La Stampa mi fa venire un sorrisino. Un brivido – no, non è terrore – di soddisfazione. Perché certe dichiarazioni del segretario dei Democratici di Sinistra sono inequivocabili, e mostrano tutte le difficoltà che l’Unione avrà nel malaugurato caso vada al governo. Parlando di Iraq, ad esempio, Fassino dice che “tutti a casa è un’espressione che non mi piace perché dà l’idea di rinunciare ad assumersi le proprie responsabilità […] se vinceremo le elezioni proporremo al Parlamento un calendario per il rientro dei soldati italiani”. Ecco, bene, il brivido si estende. Primo perché, in fin dei conti, quanto dichiarato dal leader dei Ds – pensiero questo proprio anche di Prodi -, è lo stesso piano che la Casa delle Libertà ha in mente, ovvero quello di un ritiro graduale delle truppe di Pace – perché c’è sempre qualche imbecille che si ostina a chiamarle ‘soldati di guerra’, non cogliendo, o non volendo cogliere, la differenza – in accordo con il nuovo Parlamento legale dell’Iraq, con gli Usa (al cui riguardo, sempre nella stessa intervista, Fassino dice “se vinceremo collaboreremo lealmente con gli Usa”) e con le Nazioni Unite. Secondo, il brivido è dettato dalla precarietà in situazioni estere che un probabile – mi tocco, mi tocco… - governo dell’Unione dovrà affrontare. Metti che l’Unione vince, il giorno dopo su Liberazione e manifesto il titolo sarebbe: “E ora via dall’Iraq, immediatamente”. Chi lo spiega – e, soprattutto, cerca di far capire – ai Bertinotti, Cossutta, Diliberto e comunistaglia varia, che quello che hanno in mente loro non sarà esattamente quello cha ha in mente l’Unione? Altra piccola questione: Fassino, parlando della sua esperienza come Ministro degli Esteri – che fa, butta già lì una sua candidatura? – ricorda gli interventi militari affrontati dal centrosinistra. E allora via con l’elenco: Bosnia, crisi macedone, intervento contro la Serbia, intervento in Kosovo, intervento in Albania. Dunque, carissimi, pensate ancora che Berlusconi sia un imbecille guerrafondaio, o qualcosa vi sta lentamente tornando in mente?

sabato, novembre 05, 2005

Perchè la sinistra radicale ha sbagliato a non partecipare alla fiaccolata per Israele

Alla fiaccolata di giovedì sera a Roma, davanti all’ambasciata iraniana in Italia, contro le folli parole del Presidente della Repubblica Islamica d’Iran Ahmadinejad – “Cancellare Israele dalle carte geografiche” – hanno partecipato 15 mila persone. Un successo, tanto che nemmeno Giuliano Ferrara, direttore del Foglio e organizzatore della serata, se l’aspettava, sebbene avesse dichiarato che il tutto avrebbe avuto un senso anche “alla presenza di sole 15 persone”. Successo sia in termini di pubblico che di rappresentanza, questa volta veramente bipartisan, con la presenza di esponenti politici di destra e di sinistra – e nonostante le dovute defezioni dell’ultim’ora di Gianfranco Fini, ministro degli Esteri, di Silvio Berlusconi, premier, e di Romano Prodi, una mortadella dal ruolo non meglio specificato. Bello vedere esponenti dei Ds in piazza al fianco di esponenti di Alleanza Nazionale, tutti con le loro bandiere bianco-celesti con la stella di David e la loro bella fiaccola in mano. Mi rendo conto, certo, che sto facendo un ottimo esercizio di retorica, ma ogni tanto ci vuole pure, no? E allora continuo: bello, bello, bello. Ma non tutto, ovviamente. Perché anche in questa occasione ci sono stati tutti i distinguo del caso, da parte della sinistra radicale italiana. I Comunisti italiani di Cossutta e Rifondazione Comunista di Bertinotti non hanno infatti aderito alla fiaccolata (presenti invece i Verdi di Pecoraro Scanio, nonostante in un primo momento la loro presenza non fosse data per certa, anzi). Evidentemente i residui sovietici che sono rimasti nel nostro paese non hanno provato orrore davanti a quelle parole, ma anzi sotto sotto un po’ ci sguazzavano: insomma, a loro lo Stato d’Israele non è mai stato simpatico. Questa la verità, anche se un’altra ipotesi è possibile: non si dimostrava anche per la Palestina. E a questo punto qualcosa non mi torna: insomma, Ahmadinejad chi ha minacciato, Israele o la Palestina? Vero è che da quelle parti la situazione è tutto tranne che rosea, ma ciò non toglie che se un capo di Paese minaccia la cancellazione di un altro stato, non si può stare con le mani in mano ma anzi bisogna far sentire lo sdegno. Chiaro, no? E invece i comunisti – perché in tal modo si chiamano i loro partiti e in tal modo piace loro essere riconosciuti – niente, la solita ignoranza. Niente manifestazione per lo Stato della Palestina? Niente fiaccolata per Israele! E le parole di Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, in prima pagina venerdì 4 novembre sembrano essere abbastanza eloquenti: “Questo non vuol dire che la fiaccolata di ieri fosse illegittima. È stata una prova di forza, in piazza, di uno schieramento politico filoisraeliano – e apertamente ostile al mondo arabo e islamico – che si è rifiutato di porre nella sua piattaforma il diritto, non solo del popolo israeliano, ma anche del popolo palestinese ad avere uno Stato; e in questo modo si è collocato in modo netto e inequivocabile a sostegno di Scarno, della sua politica, del rifiuto di lasciare i territori occupati”. Insomma, per il direttore del quotidiano di Rifondazione, la sinistra non poteva andare in piazza con Giuliano Ferrara perché è uno schifoso, filoisraeliano, razzista nei confronti del mondo islamico e arabo e per giunta filo-americano. Anche se la Palestina, l’Islam, l’America non c’entravano nulla, e il povero Israele si è sentito minacciato di cancellazione. Ma per loro far sentire lo sdegno non si po’. Segno questo che indica una cosa ben più grave: lo sdegno forse non l’hanno proprio provato. Questi non ci fanno. Ci sono, ci sono.

Pillole 1 / La musica del silenzio

Siccome l’avvento del juke-box rese ininterrotto il flusso di musica negli affollati locali pubblici, nel 1959 la Hush Records mise in commercio un disco con la registrazione di alcuni minuti di silenzio, da inserirsi proprio in quelle macchine. Nessun plagio ovviamente alla celebre 4’33’’ di Cage, bensì una possibilità per l’utente di garantire, previo inserimenti del gettone, il meritato riposo alle sue membrane.

venerdì, novembre 04, 2005

O forse il contrario?

Oggi 4 novembre alcune ragazze di un centro sociale hanno sfilato per Reggio Emilia nude, in segno di protesta contro l’esercito italiano in Iraq. Sui loro corpi nudi le scritte ‘assassini’ e ‘no war’, senza che nessuno spiegasse loro gentilmente che l’esercito italiano è in Iraq in missione di Pace, quella pace da loro tanto decantata. E che, se sono in Pace, non possono essere assassini. Ma tant’è: faccia coperta dal passamontagna e culo bene in vista. O forse il contrario?