lunedì, luglio 31, 2006

Bacco e tabacco droghe in Uk

Dalla Gran Bretagna arriva una folle proposta del Parlamento. Folle perché chiede di inserire – in risposta ad una «inesistente» politica a riguardo da parte di Blair – l'alcol e le sigarette dentro la tabella delle sostanze stupefacenti. Ma questo è ancora il meno. Voglio dire, la cosa sconvolgente non è che esista una tabella per gli stupefacenti; nient'affatto. Quello che lascia perplessi è che nella classe 'a' ci troviamo l'eroina, nella 'c' la cannabis e nella 'b' questi vorrebbero infilare bacco e tabacco.


Due o tre dati su You Tube

Se di rivoluzione digitale vogliamo parlare, per una volta non a sproposito, converrebbe puntare tutte le carte su YouTube. Le basi ci sono, e non si tratta semplicemente di fuochi di paglia. Certo, Myspace ha fatto anch'egli il botto. Ma YT l'ha già superato nel conteggio delle visite totali mondiali: considerando quanto è trafficata la rete oggigiorno, immaginate cosa può rappresentare il 3,9% di YouTube contro il 3,65 del gruppo recentemente acquisito dalla News Corporation di Murdoch.

Ma non solo a scapito di Myspace prosegue l'avanzata di YouTube ( + 297% di utente nei primi tre mesi del 2006). A farne le spese sarebbe anche la Bbc, superata per quanto riguarda la reach dei siti che fa riferimento al suo gruppo. Da più parti si comincia a vociferare circa una possibile offerta pubblica, considerato l'incredibile e velocissimo successo, e qui non si stenta più di tanto a crederlo. Ancora convinti che la rivoluzione digitale non stia avvenendo nel più breve tempo possibile?


domenica, luglio 30, 2006

I lettori di Repubblica sono cambiati. Stiamo parlando della versione on-line, c'è da dirlo, ma uno potrebbe comunque leggersi il Corriere, o il sito dell'Ansa, o Google News se proprio è a caccia di notizie. Quindi c'è da augurarsi che il sondaggio riguardante l'indulto condotto da Rep on-line sia abbastanza veritiero e attendibile per quanto riguarda la percentuale di votanti che regolarmente leggono Repubblica e che sembrano sposarne in toto la linea. Pur non accorgendosi di essere cambiati, come si diceva all'inizio. All'atto della nascita Repubblica incarnava una sinistra che si proponeva intelligente, una sinistra riformista, socialista – socialdemocratica? – che con il passare degli anni è diventata quello che noi oggi – ma anche allora – intendiamo come 'progressista'. E forcaiola, a quanto pare. Dal momento che inaspettatamente il 93% dei votanti, dopo 6 giorni di voto, è convinta che l'indulto sia sbagliato – il 6% pensa il contrario e l'1% non sa. Dico, bisogna che qualcuno di destra faccia il liberal-progressita? Mica c'avrà avuto ragione quel mio amico che diceva che destra e sinistra non esistono più ma sono due mazzi di carte mescolate e se stai di qua potrebbe essere che arrivi da là? Mah.


Dibattito su Guia

Siccome due carissimi lettori me l'hanno chiesto, e ogni promessa è un debito, raccolgo per l'ennesima volta qui sotto tutti i links dei post dove si parla di Guia Soncini. Sono molti e, purtroppo, alcuni confusi: io avevo chiesto di non lasciare messaggi su Guia sotto post che con Guia non c'entravano nulla, ma in pochi hanno seguito il mio consiglio. Quello che vi chiedo, gentilmente, è molto semplice: salvatevi questo post nei preferiti e continuiamo il dibattito solo sotto il post a cui si viene mandati cliccando sul primo link: è il più commentato, è quello dove il dibattito si è svolto per la maggiore e in questo modo potrò evitare in futuro di fare altri “post raccolta” come il presente.

Altra cosa: sto mettendo tutti i post che vedete qui sotto, con tutti i commenti fino al 30 luglio 2006, in un unico file PDF. Se qualcuno è interessato scriva alla mail del blog (ordinegenerale@gmail.com) e provvederò a spedire il tutto tramite posta elettronica.

PS: Non sapete come si fa a salvare questo post nei preferiti? È molto semplice: proprio sotto il post vero e proprio c'è l'orario in cui questo è stato pubblicato on-line. Cliccando sull'orario si viene mandati alla singola pagina del post in questione. A quel punto basterà andare nel menù “preferiti” del vostro browser e fare “Aggiungi ai preferiti”. Di una semplicità disarmante.

27 marzo 2006 Guia, noi qui ti adoriamo
03 aprile 2006 post senza titolo
04 aprile 2006 post senza titolo
26 aprile 2006 Sposini lascia Tg5 e Mediaset
28 aprile 2006 post senza titolo


Approvato (finalmente) l'indulto

Il tanto, e trasversalmente, richiesto indulto è arrivato. Votazione lampo come non se ne vedevano da tempo. Giovedì 27 luglio il testo è stato approvato dalla Camera con 460 sì, 94 no e 18 astenuti e ieri l'iter si è concluso al Senato con 245 sì, 56 no e 6 astenuti. A nulla sono servite le proteste, decisamente ridicole, di Antonio di Pietro e della sua inventata “autosospensione” da ministro per poterle mettere in atto. Un asse trasversale tra la maggioranza (con l'eccezione dei Comunisti Italiani) e l'opposizione (escluso An e Lega) ha fatto sì che questo gesto di clemenza, più volte chiesto, potesse essere realizzato. Al di là delle sterili polemiche, anch'esse trasversali – non erano in molti infatti nell'Ulivo ad essere contenti – l'indulto era estremamente necessario. La situazione nelle carceri italiane è molto grave e il problema del sovraffollamento è tutto tranne che finto. Con questo provvedimento saranno 12700 i carcerati liberati, 16677 i beneficiari tra chi sconta una pena alternativa, 13336 quelli in prova ai servizi sociali e 3341 i beneficiari tra chi si trova agli arresti domiciliari. Non di vero e proprio “colpo di spugna” si tratta, infatti le regole per poter godere di questo provvedimento sono precise: possono beneficiarne tutti i condannati in via definitiva per i reati commessi entro il 2 maggio 2006, con condanne non superiori ai 3 anni o, nei casi di pene pecuniarie, con importo non superiore ai 10000 euro. E non potrà usufruire del gesto di clemenza chi è stato condannato con pene accessorie (temporali o permanenti), chi si è macchiato di terrorismo, associazione sovversiva, devastazione, saccheggio, strage, sequestro, associazione di stampo mafioso, prostituzione minorile e pedopornografia, tratta di persone e schiavismo, riciclaggio, traffico produzione e detenzione di sostanze stupefacenti e usura. L'indulto inoltre sarà negato per chi, tra i beneficiari, si macchierà di un reato con pena definitiva non inferiore ai 2 anni, in modo tale da scongiurare l'ipotesi che chi verrà liberato possa macchiarsi di reato grave e dimostrarsi quindi recidivo. L'ultimo indulto italiano è stato fatto 16 anni fa, nel 1990, mentre la richiesta – applaudita da tutti ma messa in pratica fino a ieri da nessuno, tanto meno trasversalmente – fatta al Parlamento da Papa Wojtyla risaliva al 2002. Se vogliamo fare dell'analisi politica, viene facile pensare a come questo provvedimento sia il primo ad essere attuato con la logica della intesa allargata che tanto piace all'Ulivo – soprattutto tra i non prodiani – e a Forza Italia.


Se vi chiedete – ve lo chiedete? - perché è stato cancellato un commento, io vi potrei rispondere che sta tutto scritto lì, nella barra a destra. Se poi lo sforzo lo considerate eccessivo, il riassunto fa più o meno così: niente insulti (più o meno cattivi, più o meno voluti) e prese di posizione personali – né tantomeno dichiarazioni su presunti miei “disinteressamenti”, ché sta tutto su queste pagine. Se avete voglia e tempo di leggere, scoprirete che la mia posizione non è mai cambiata.


sabato, luglio 29, 2006

Roma, 29 lug. - (Adnkronos) - ''Non sottovalutiamo i rischi connessi al ritorno in liberta' di tanti carcerati e riteniamo che il governo debba dare alle Forze dell'Ordine le risorse necessarie per scongiurarli. Ma, allo stato attuale delle cose, l'indulto e' una soluzione positiva sia per alleviare la situazione penosissima delle carceri, sia per offrire a tanti condannati una ulteriore possibilita' di riscatto umano e civile''. Lo sottolinea in una nota il senatore Beppe Pisanu di Forza Italia.

E anche Ordine Generale, che sull'indulto ancora non ha aperto bocca, sottoscrive in pieno.


Ho letto da qualche parte che in Italia si produce molto Spam


venerdì, luglio 28, 2006

Non sarà modificato il decreto Bersani, e i farmacisti non verranno quindi graziati come i taxisti. Quindi, cari noi, stiamo tranquilli: troveremo la nostra cara Aspirina nella sempre nostra e sempre cara Coop di fiducia.


Scusate, dove sta l'illecito?

Per chi, come il sottoscritto, si sta chiedendo in che modo sono arrivate le sanzioni per il capro-espiatorio Juventus, ecco qui un paio di dichiarazioni interessanti

Non ci sono illeciti, era tutto regolare, quel campionato [2004-2005] non è stato falsato, l'unico dubbio rimane la partita Parma-Lecce (!)” Piero Sandulli, presidente della Corte Federale

Abbiamo cercato di interpretare [al momento di presentare le pene] un sentimento collettivo, abbiamo ascoltato la gente comune e provato a metterci sulla lunghezza d'onda” Mario Serio, Giudice della Corte Federale.

Segnalo anche altri due articoli di Camillo pubblicati sul Foglio rispettivamente il 27 e il 28 luglio. Imperdibili, come sempre.


Domandina

Mi chiedo, non senza un pizzico di malizia: ma se il colpo di spugna nella vicenda Calciopoli c'è stato praticamente per tutti, ha ancora senso l'epurazione di Aldo Biscardi? Possibile che a Carraro solo una multa e al Biscardone nazionale – che per quanto possa o meno risultare simpatico, lui e la sua trasmissione, non è sicuramente uomo di colpa in tutta la vicenda – lo scappare in una rete ancor più piccola di quella da dove già trasmetteva. Lui, con 26 anni di trasmissione alle spalle?


mercoledì, luglio 26, 2006

Funziona bene, cazzo se funziona bene!

A corollario delle parole di Romano Prodi, secondo il quale “la coalizione [l'Unione] funziona e opera bene”, si potrebbe dire che: a) Mastella minaccia ogni due per tre le dimissioni; b) Di Pietro sono due giorni che mostra quello che è in dosi maggiori, e ogni tre per due minaccia le dimissioni; c) la sinistra radicale, bontà sua e anche un po' nostra, si sta piegando sempre più inesorabilmente verso il novantesimo grado – e i compagni scopriranno le gioie e i dolori della vita?; d) due votazioni importanti – liberalizzazioni ieri, Afghanistan domani – e due colpetti di fiducia.


Lo scudetto all'Inter è la prova, l'ultima, che la palla è rotonda. O almeno lo era prima delle indagini.


Il bluff di calciopoli

Questo blog ha già più volte, e ampiamente, dichiarato la sua linea di pensiero circa calciopoli. Ma per chi risultasse eccessivamente duro di comprendonio, si può sempre fare una sintesi. Allora, uno scandalo che definire il “tipico troiaio all'italiana” potrebbe risultare persino troppo eufemistico. Si mirava non a risanare il calcio, quello sarebbe stato troppo e forse nessuno lo vuole davvero, ma a trovare quei tre o quattro capri espiatori (che dopo il secondo appello è diventato uno solo, la Juventus) da punire, pensando che tutto ciò sarebbe bastato a tenere buoni gli animi per qualche anno e a far credere al popolo italiano del calcio – il quale popolo, a tutti i livelli, è il peggior esempio di Bar dello Sport – che ora sì, i campionati saranno corretti. Come se prima non lo fossero, e no. C'era bisogno del signor Borrelli e del signor Rossi per far diventare il calcio italiano il tempio della correttezza. Ora che Moggi e la triade sono fuori gioco e che qualcuno paga quattro lire di ridicola ammenda, vincerà il prossimo scudetto una squadra che non sia l'Inter o la Roma, questo è sicuro, a perfetta garanzia della correttezza del calcio, non è vero? E dimentichiamoci in fretta e furia dei nostri campioni del mondo, in molti appartenenti al cosiddetto “sistema Moggi” (e affiliati), tanto osannati fino all'altro giorno e ora persino snobbati, tanto vanno a giocare all'estero e a noi che ci frega. Ma non erano i più forti del Mondo? E allora come la mettiamo con il fatto che le loro squadre di appartenenza “rubassero”? Ma poi rubavano, perché sinceramente un episodio ad esempio di corruzione non è saltato fuori. In compenso sono venuti a galla cavilli per cercare di mascherare gli episodi mancanti di cui sopra, ma insomma l'italiano si deve eccitare in qualche modo e secondo voi verifica? Ma va, facciamolo contento. Il fatto è che non c'è voluto molto per capire che in definitiva non è stato risanato nulla e tutto rimarrà uguale a prima, e da queste parti sono partite le scommesse. Se Tangentopoli – giusto per usare lo sbagliato termine di paragone con scomodato per lo scandalo del calcio, nonostante la spaventosa somiglianza tra la Repubblica di ieri e la Gazzetta dello Sport di oggi – sancì seppur in qualche bislacco modo il passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica – e vediamo quali sono poi le grandi differenze – Calciopoli non ha segnato un bel niente e chi si sognava la seconda repubblica pallonara in arrivo dovrà attendere ancora, perché il tempo e la voglia per indagare – e, giustamente, punire – le vere responsabilità – quelle individuali, non di chi compra le azioni in borsa ad esempio – non ci sono stati. La prova di tutto ciò? Il Palermo, che fino a poco più di 24 ore fa sognava la Champions League, è stato di questa depauperato, se il termine non vi fa schifo. Da chi? Dal Milan, che quella coppa la doveva giocare e basta.

PS: e siccome qui non siamo per niente al Bar dello Sport, se volete commentare per favore usate un linguaggio adeguato.


lunedì, luglio 24, 2006

Marco Travaglio, evidentemente, si sente l'unico in dovere di parlare di Montanelli.


domenica, luglio 23, 2006

la morsa che tiene in scacco la sinistra

L'intervista a Franca Rame oggi su La Stampa presenta pienamente il problema della sinistra in questi giorni. Perché il passaggio al Senato del rifinanziamento della missione in Afghanistan potrebbe rappresentare, vista l'esiguità della maggioranza, il primo vero e grande ostacolo che Romano Prodi trova davanti a sé. E se si aggiungono le aggravanti di una politica estera – tralasciando per il momento quella interna – priva di un unico filo conduttore che unisca le diverse fazioni dell'Unione, oltre che le innumerevoli diversità di pensiero, si capisce come le preoccupazioni tra le file del centro-sinistra (con il trattino) sono più che giustificate. Ma cosa afferma di particolare la moglie di Dario Fo? Semplicemente dice di trovarsi come chiusa in una morsa, stretta tra la sua coscienza personale (che le imporrebbe di votare no) e la logica di coalizione, o meglio il non sentirsi responsabile della caduta del Governo, che invece la spinge verso il sì. A quanto pare anche il marito premio Nobel, che con lei vanta un passato tra le file dei cosiddetti pacifisti – dei due pesi e due misure? - la mette in difficoltà, dicendole di pensarci bene, perché il suo voto potrebbe risultare determinante. Ma anche se così non fosse, può una maggioranza così divisa andare avanti per molto? Può un governo nel quale l'area riformista dovrebbe trainare e dominare l'intera coalizione, subire i ricatti della fazione massimalista? Può l'Italia permettersi di andare avanti con personaggi alquanto discutibili come i Comunisti Italiani e parte dei Verdi – Rifondazione Comunista, già abbastanza implodente a causa della sua smania di potere per questa volta la lasciamo fuori – gente che non perde mai occasione di fare il tifo per il terrorismo, sia che questo si chiami la “resistenza” di Al-Zarqawi o i missili di Hezbollah. Al Senato avremo una prima risposta e, anche qualora questa dovesse essere favorevole per l'Unione, ci permettiamo di consigliare agli uomini del centrosinistra che sarà solamente il primo dei tanti banchi di prova che la loro cigolante e scollata maggioranza dovrà subire. Tanto più se il centrodestra si mostra responsabile come nell'ultima occasione alla Camera, facendo vera e responsabile opposizione “di governo”, senza semplicemente andare contro la maggioranza per partito preso.


partire da un blog per raccontare i vizi capitali

Keith Haring, Head with snakes (the seven capital vices), smalto su tela, 110,2 x 149,6, 1986, Galleria Michelangelo, Bergamo

A Lei, che sebbene non me lo chieda continua a pensare
a cosa combino quando le
dico che ho da fare le mie cose.

PROLOGO: Era notte e sognavo un elefantino, mica troppo piccolo per la verità, che andava da una formica piccola ed innocua a chiederle un pezzo, di quelli belli lunghi, dicendole che ne sarebbe stata capace. Al mattino, sveglio, il sogno mi tornò in mente e decisi di mettermi nei panni di una formica – anche se lo scarrafone, all'occorrenza, sarebbe andato più che bene.

Ma che bello avere un blog. Che fico, insomma. Pure Il Sole 24 ore (giovedì 20 luglio, inserto Nòva) ha scritto che i blog iniziano ad avere importanza, tanto che in America – la terribile America, la sempre-avanti-di-dieci-anni-America – hanno pure fatto degli incontri per decretare il grado di influenza dei diari on-line. Cosa che per altro in Italia sarebbe impossibile da fare, visto che la maggioranza di questi blog hanno nomi come occhidacerbiatt e fighettacalda e fratvb4ever e mi fermo qui perché provate solamente ad immaginare il resto. Capite dunque come in questo modo sia facile avere poca influenza nel mondo. Sicuramente anche i sopracitati rappresentano scritti – ma lasciamo perdere – e teoricamente potrebbero essere considerati anche come 'informazione', più raramente opinione. Certo è che però bisogna pure distinguere tra l'informazione utile o inutile; mica voglio fare il moralista, io, o il superbo (io, e ci torneremo tra qualche riga, vedrete che tutto ciò ha un senso) e dire che bisogna sempre essere seriosi e cupi e tristi e mai una nota di colore. Lungi da me. Così come lungi da me le nota troppo colorite, o le note di troppo colore, o le troppe note di colore – scommetto che sintatticamente tutto ciò ha un nome, ma capite che i fannulloni come me mica hanno voglia di prendere in mano i libri di linguistica e andare a cercare il nome preciso di certi costrutti sintattici.

We ended up at the Grand Hotel / It was empty, cold and bare / but wit the the Rolling truck Stones thing just outside / Making our music there

Dicevamo dei blog italiani, terribilmente meno influenti e meno importanti a livello opinionistico di quelli americani – o inglesi o tedeschi, immagino, pur senza sapere mezza parola mezza di quei bevitori di cappuccino subito dopo aver ingerito una quattro stagioni cruda dentro e bruciata fuori in un posticiattolo della periferia di Berlino Est. E ci credo che sono meno influenti, si perdono troppo in cazzate. Rappresentano una versione più estesa – leggi: raggiungibile da più persone e in modo casuale – dell'sms. Per certi versi la comunità dei blogger italiani – della maggioranza dei blogger italiani, e non parlo solo di quelli compresi tra i 13 e i 17 anni, sarebbe già un bel risultato – è sorella minore della generazione degli sms: scrivono cazzate, cinema e pizze, e lui quanto è bono; e lo fanno con le 'k' al posto delle 'c' dure, diamine, e un minimo di buon senso e se non si vuole esagerare con l'amor proprio, almeno si tenga in considerazione l'amor di chi legge ed è costretto a rabbrividire se non, nella peggiore delle ipotesi, a chiamare il nipotino o il cuginetto per farsi tradurre tutte quelle nuove abbreviazioni come 'qst' in luogo di 'questo' e l'ora più chiaro 'kll' al posto di 'quello'. Troppo poveri, cerebralmente e a livello di contenuti, questi blog. Poi succede che una mattina ci si ritrovi alle 11 di fronte al pc, una di quelle mattine che a svegliarsi sembra ci si stia mettendo troppo (e comunque di più della mattina precedente); un disco sta di sottofondo e si naviga utilizzando il criterio del quinto – o del terzo, o del quarto, il cardinale decidetelo voi – collegamento.

Used to sing and say my prayers / live my life without a care / now I have become a fool / because I listened to the mule

Esatto, mai sentito parlare del criterio del quinto collegamento? Dunque, trattasi di cosa molto semplice: si entra nel proprio blog, o in uno di quelli che leggete con maggiore assiduità ammesso che ce ne siano (e non sapete quanto sia stato difficile per il sottoscritto trovarne uno), e si clicca sul quinto link presente. Si entra quindi nel blog collegato e si ripete la stessa cosa: si clicca sul quinto collegamento e così via, fino a quando ne avete voglia e/o trovate qualcosa di interessante. E sembra proprio che in questa mattina dove svegliarsi pare un'impresa e bla bla bla, qualcosa di interessante l'ho trovata. E qui si spiega tutto quel popò di introduzione sui blog italiani, troppo facili nel fare cazzate o – appunto – nel girare catenedisantantonio manco fossimo al cellulare. Il fatto è che una di queste catenedisantantonio mi sembrava anche interessante. Ma andiamo con ordine e facciamo un piccolo passo indietro: il blog sul quale ho trovato suddetta catena è una mia vecchia conoscenza, chi mi segue da un po' ed è riuscito a decifrare qualche subdolo messaggio tra un post e l'altro non dovrebbe far fatica a capire di chi sto parlando. Un ragazzino, ma non è questo il punto. Il fatto che all'epoca dello scambio di opinioni tra me e questo mi fece annebbiare il cervello di ira (e, come per la superbia, capirete tra un po': tutto torna) fu che il ragazzino mi copiava. Lo stile – e qui mi sono proprio incazzato per niente, sapeste quante volte l'ho fatto io per somigliare a quello o a quella che, mannaggia, darei un braccio per scrivere come loro e invece sono ancora qui che faccio anacoluti – ma anche il banner dell'homepage: stessa divisione a tre con il titolo in mezzo, ai lati un paio di immagini che identificano qualche oggetto con una qualche attinenza, o anche no, al blog. Non glielo feci presente in modo diretto, perché irosi e superbi sì, ma l'essere cafoni non è contemplato nei sette vizi capitali e dunque sarebbe stata un'inutile perdita di tempo. Tuttavia sul blog un paio di frasette tra le righe le inserii, con la ovvia speranza che il clonatore le leggesse. Presto però smisi rendendomi conto che stavo per avvicinarmi troppo velocemente al suo livello, e va bene che la sciatteria non è anch'essa contemplata nei sette peccati capitali (che tornano, tra un po' capirete) ma non ci vogliono mica i moniti religiosi – o pseudo tali – per rendersi conto di scadere nel ridicolo.

She looked like a raver / but I could never please her / on wednesday mornings boy you can't go far

Dunque e finalmente, i sette peccati capitali. Nel blog del clonatore scovo una sorta di sondaggio che ultimamente tanto sembra avere successo nei blog italiani, e ancora una volta sono costretto ad aggiungere: non solamente in quelli i cui titolari appartengono alla fascia 13-17, sarebbe già un successo. E tale sondaggio – o catenadisantantonio, fate voi – chiede due cose. In primis che si stili una lista dei sette peccati capitali (ira, superbia, lussuria, avarizia, accidia, gola, invidia), con tanto di ordine personale di importanza e breve descrizione della cosa; in secondo luogo che si invitino altri sette blogger di propria conoscenza a fare altrettanto, ed è facile capire come per me, blogger anomalo, la cosa sia impossibile. Potevo però risparmiarmi dal fare tutto ciò? Ovviamente no, nonostante la giaculatoria iniziale sullo stato pietoso del blog italiano e sul quando cazzo li raggiungeremo (mai?) gli americani se continuiamo con questi giochetti e queste comunità e questo seguitare a riportare gli editoriali di Liberazione o di qualche newsletter che sta sullo sfigato-pseudo-marxista – vero caro il mio clonatore? - anziché scrivere qualcosa di proprio.

Well my trying ain't done no good / I said my trying ain't done no good / you don't make no effort no not like you should

Eccomi, li ho qui davanti a me, i sette peccati capitali sul quale non ho mai riflettuto fino a quando uno sfigato di blog me ne ha dato l'opportunità. Li ho tutti sul tavolino, sparpagliati come carte, ovviamente con il nome girato dall'altra parte perché di stilare un classifica personale non mi viene. Mi conviene quindi affidarmi al caso e pescare una carta dopo l'altra, magari in seguito ad ottima mescolatura, e iniziare a rapportarmi al vizietto capitale – o far finta di rapportarmi, che ho pur sempre un'aura snob da mantenere anche se vi confido che è dura farlo mentre in sottofondo un tale di nome Jon Lord, tastierista di uno gruppetto del quale la storia della musica avrebbe tranquillamente fatto a meno se non fosse che questi si sono intestarditi e per 38 anni hanno sfornato un disco dopo l'altro – e quando non erano loro erano i loro “gruppi costola” - fino a che anche qualche critico ha deciso di accreditargliele un paio di possibilità e qualche oncia di fama sulle riviste che contano. Con quel tizio in sottofondo che masturba un organo Hammond fino al culmine dell'orgasmo-distorsione, dicevo, è dura concentrarsi. Se non altro perché quando le valvole del Leslie girano a mille e sono infuocate, altrettanto lo sono le mie budella, non si capisce se per il piacere o se per la soglia del dolore raggiunta nel luogo dove scrivo, a causa del volume che sarebbe quasi da dire che ho bestemmiato, prima, quando ho parlato specificamente di 'sottofondo'. Ma siamo qui per provarci, o no? Certo, solamente una cosa, un piccolo dubbio da sciogliere che immagino al blogger-tipo italiano non sia venuto in mente. Sono 'vizi' o 'peccati'? Sempre sentiti nominare in entrambi i modi, e figuriamoci se si ha la benché minima voglia di scomodare Aristotele per sciogliere il dubbio. Fidiamoci dei più comodi – e veloci – vocabolari. Dunque, per lo Zingarelli il vizio è “abitudine inveterata e pratica costante di ciò che è, o viene considerato, male” e come esempio ne porta uno che cade a pennello: il – della lussuria. Dunque se lo Zingarelli parla di 'vizio' per la lussuria, potremmo anche accontentarci del risultato, sulla base poi del famoso sillogismo aristotelico – che a questo punto non si voleva scomodare e al quale si chiedono ovvie scuse – che reciterebbe più o meno così: se lo Zingarelli dice che la lussuria è vizio, e la lussuria è capitale, allora il vizio è capitale. Dunque “vizi capitali” e non “peccati capitali”. Facciamo la prova del nove. Sempre il noto vocabolario alla voce 'peccato' dice quanto segue: “comportamento umano che costituisce violazione della legge etica e divina” e come esempio porta il biblico: il – peccato originale. Dunque connotazione decisamente più religiosa per 'peccato', ma potrebbe comunque andare bene dal momento che i peccati, o vizi che dir si voglia, capitali sono stati introdotti nel Catechismo della Chiesa Cattolica da Tommaso d'Acquino nel XIII secolo. Non abbiamo risolto granché, in definitiva, ma nonostante tutto abbiamo acquisito più conoscenza, ed effettuato più ricerca, del blogger clonatore, quello dal quale ho tratto spunto. E poi ancora ci domandiamo perché in America i blog sono presi in considerazione mentre noi in Italia siamo snobbati: per spiegarlo ci ho messo circa due pagine in corpo 12 e con interlinea singola, mentre bastava il concetto che poi ho introdotto diecimila battute dopo, e sai quanta fatica avrei risparmiato. Proviamo a fare un salto su Wikipedia, pare che ultimamente abbia un'affidabilità mostruosa, e sebbene facesse inorridire il mio professore di Archivistica – uno di quei topi da biblioteca che maneggiava manoscritti musicali del 1600 e che avresti voluto sentir parlare per ore e ore se non fosse che lui s'interrompeva continuamente per prendere il caffè – che la considerava sì la morte sua ma non con quella accezione positiva tipica dei partenopei, tentar non nuoce. Allora, digitando la voce “vizi capitali” si viene rimandati alla pagina del “peccato” in connotazione religiosa, nella quale si viene comunque avvisati di dare un'occhiata anche alla pagina “male e peccato”, di connotazione decisamente più filosofica. Insomma, stando a Wikipedia si potrebbero considerare le due cose equivalenti, anche se qualcosa mi dice che non è proprio così - potrei sempre chiedere al mio clonatore, chissà mai che lui tra un'occhiata al manifesto e una all'Unità ne sappia di più; anche se dubito, avrebbe potuto fornirne spiegazione sul suo blog invece che ospitare certe sozzerie. Proviamo allora con la voce “peccati capitali”, ma sembra non andare meglio: rimanda ad una di quelle pagine cosiddette di “chiarimento delle ambiguità” dove, per intenderci, vengono ospitate le voci con lo stesso significante ma diverso significato. E infatti viene dato un elenco di opere culturali che con la spiegazione dei vizi o peccati capitali non c'azzeccano. Ritorniamo allora alla pagina del “peccato”, quella nella quale si veniva automaticamente indirizzati partendo da “vizi capitali”. Osserviamo più a fondo e leggiamo testualmente che “nel Catechismo della Chiesa Cattolica viene elencata una lista di sette vizi (o peccati) capitali che [...]”. Stop, fermi tutti. “sette vizi (o peccati) [...]” basta e avanza: ho le dita sporche dell'inchiostro del vocabolario, quaranta pagine di Wikipedia aperte contemporaneamente e tanto mi basta. Non sono arrivato ad una conclusione, o meglio: per lo Zingarelli le due cose sono diverse, per Wikipedia (ma sembra di capire anche per la Chiesa) le due cose si equivalgono, ci sarebbe ancora il De Mauro, ma è l'edizione on-line e magari è incompleta e poi no, non ho voglia. Ormai il registro è sufficientemente alto per erigersi sopra il tetto dei blogger clonatori italiani, no? Sceglieremo di chiamarli vizi, è molto più romantico e baudelaireano ma soprattutto, eccellendo io stesso in alcuni di essi, viene poco carino e modesto chiamarli “peccati” e immaginare le fiamme dell'inferno che bruciano sotto il sedere. Con questo caldo poi, che viene quasi in mente il povero De Andre', uno che all'inferno avrebbe preferito andarci d'inverno, a maggio no, fa troppo caldo Ninetta mia. E chissà che cosa penserebbe ora, a vedere quel suo figliolo che gli dà ai carabinieri in un hotel della Genova bene, una tristezza che te la raccomando.

We'd move to the Canaveral moonstop / and everynaut would dance and sway / we got music in our solar system / we're space truckin' round the stars

Vi dicevo che i miei vizi erano belli sparpagliati sul tavolino, col loro bravo nome nascosto, e che io mi accingevo a pescarli come le carte del mercante in fiera. Sono passate non so quante battute da quella mia affermazione – e chi vuole controllare me lo faccia sapere – ma non ho cambiato una virgola nel frattempo. Dunque procedo come detto e pesco: Accidia, Superbia, Avarizia, Gola, Ira, Lussuria, Invidia. Questo l'ordine, ma che brutta partenza, diamine. Cosa ne posso sapere io dell'Accidia? E' mica quella cosa che si può tradurre in modo comprensibile a chiunque come “voglia di lavorare saltami addosso”, alla quale poi si possono aggiungere noia e indifferenza alle dosi preferite? Se l'accidia è questa – e ci sono buone ragioni per pensarlo – è una brutta malattia, diffusissima. Un conto infatti è concedersi un etto di accidia settimanale, come quando è inverno e fuori piove e ti sembra uno di quei telefilm americani dove lei piange e lui pure ma poi ti rendi conto di vivere in periferia ma vuoi fingere lo stesso, e la cosa ti fa impazzire nonostante la tua autostima non ti porti ad osare più di una tazza fumante, la copertina tirata su al ginocchio e un Miles Davis di sottofondo – ecco, se questo tipo di accidia è un vizio (o peggio ancora un peccato), non ci sto. Il fatto è che l'accidia nociva è molto più diffusa, soprattutto per la quantità del fattore “noia + indifferenza” presente nel cocktail. L'accidia nociva è quella dell'impiegato postale, ad esempio, quello che non sa riconoscere una 'y' da una 'j' e le chiama entrambe in modo sbagliato, nonostante tu poi in separata e privata sede ti chiedi coma faccia a sapere tutte le combinazioni vincenti di frutti alle macchinette videopoker. Inutile dire che, per un peccato di superbia (tra poco...), il sottoscritto di accidia nociva non vizia – il termine 'pecca' inizia ad urtarmi per i motivi sopracitati – praticamente mai e quando lo fa, credetegli, è in buona fede.

Maybe I'll find on the way down the line / That I'm free, free to be me

Lisci come l'olio ci introduciamo al secondo vizio nell'ordine di pesca: la superbia. Non ci crederete, già lo so, ma la superbia è il sale della vita, altro che l'ottimismo. Essere superbi aiuta molto più di quanto danneggi, non c'è dubbio. Il fatto è che ad essere superbi bisogna essere bravi, non ci si può mica improvvisare e, per dire, un blogger clonatore per quanto cerchi di imitare la superbia di chi – il sottoscritto – si è sentito clonato, mai riuscirà ad essere credibile. Non pensate che il superbo sia quello che risponde male quando qualcuno gli taglia la strada in macchina e poi racconta agli amici che la poverina che guidava, spaventata, se l'è magnata perché “la gente bisogna mangiarsela altrimenti nella vita non sei nessuno”. No, quello non è superbo, semplicemente come direbbe una signorina Silvani qualunque, “direi che siamo sul cafone”, altro che superbia. La superbia è dolcemente mostrare – guai ad ostentare – una superiorità che innegabilmente deve essere manifesta, perché va bene la superbia ma mai passare per cazzari, nemmeno per sbaglio. Vi assicuro che è una cosa magnifica, una sensazione straordinaria e, miracolo, che non urta troppo la coscienza: in fondo dite delle verità, solamente spiazzando il vostro interlocutore il quale irrimediabilmente si sentirà inferiore. Superbia deriva dal latino super: oltre, sopra. E sopra è il contrario di 'sotto', sbaglio? Giudicate voi quanto l'autore di questo saggetto sia superbo.

Ready as this audience that is coming here to dream / loving every second, every moment, every scream / I've been waiting so long for this thing to come

Il terzo vizio del nostro lotto è l'avarizia. Bruttissimo vizio, da rifuggire come la peste. Prima di tutto diamo una definizione pragmatica di avaro, e dico pragmatica perché oramai con vocabolari ed enciclopedie non se ne esce più e tanto vale basarsi sull'esperienza. E questa dice che l'avaro non è colui che non paga mai i caffè. Quello semmai è un personaggio dalle “braccine corte” – se mi scusate l'espressione resa nazional-popolare da Aldo, Giovanni e Giacomo. L'avaro non è nemmeno quello che risparmia su qualcosa con l'obbiettivo di accrescere le finanze disponibili per l'acquisto di altra roba. L'avaro vero e proprio – patentato, si potrebbe osare – è quello che non ha alcun progetto se non quello di mettere via soldi, possibilmente in banca perché ad investirli non si sente più l'odore della cartamoneta; gente che nemmeno sul punto di morte si rende conto di avere un patrimonio, di esserselo sudato e di non averne goduto nemmeno un po'. Il che è quanto di più deprimente ci possa essere nella vita. E poi gli avari hanno anche un'aurea, talvolta sottile e talvolta più marcata, di egoismo. Volendosi tenere tutto per sé, non condividono le loro ricchezze con nessuno e sono tenuti a farlo anche con quelle fisico-spirituali oltre che con quelle materiali. E ditemi voi se non è errore madornale – che dico, di più – tenere tutto per sé. E va bene niente scambio di esperienze, e va bene che i soldi ti escono da ogni pertugio ma mai che ti compri qualcosa di cui godere, va bene non mi vuoi dare nulla per nulla; ma quel fantastico accendino Zippo in argento intarsiato, una tamarrata da urlo che nemmeno il Verdone d'antan, me lo non dico regali, ma almeno presti? Tanto più che non fumi nemmeno. Quanto a me, io ho le mani letteralmente bucate, per cui...

We go dancing nighty in the attic / while the moon is rising in the sky / if I'm too rough, tell me / I'm so scared your little head will come off in my hands

Poco sopra trovate dei versi di una canzone, non sono gli unici in tutto questo pezzo e ne riparleremo più tardi. Comunque mi ricordo l'artista in questione che proprio su quei versi, durante un concerto di una trentina di anni fa, infilzava un fantoccio in gola con una spada. Nulla di significativo, e nessuna apparente relazione con quanto sto scrivendo. Solamente che al momento di vedere di quale vizio mi sarei dovuto occupare ho letto 'gola', e subito è partita l'analogia. Dunque, gola. Un vizio da nulla, se non che poi ci rimetti tutto in pancetta e colesterolo. Bisognerebbe vedere se per gola si intende anche quella liquida, quella alcolica insomma, perché le cose cambierebbero e non poco. Mangiamo con moderazione, se non altro per la salute fisica. Solo che poi se ci fumiamo sopra un pacchetto di Marlboro non serve a nulla – e, soprattutto, se da queste ultime non ci sappiamo trattenere, non è per caso anch'esso un vizio di gola? Credo sia il vizio più sottovalutato di tutti, quello che dà meno l'idea di trasgressione di una regola fino a prova contraria tacita. Per dire, a uno che mena gli dicono che è iracondo (e quindi con il vizio dell'ira) mentre a uno che mangia gli dicono che è goloso (gola) eppure si nota qualcosa di diverso. Vizio difficile da descrivere, quello di gola. Forse perché profondamente metaforico, forse perché irresistibile oltre che nobile. Chissà.

I got no friends 'cause they read the papers / they can't be seen with me / and I'm getting shot down / and I'm feeling mean

L'Ira è quella cosa che hai sempre addosso e non solo quando ti incazzi. Per dire, non è ira quando ti rubano il posto parcheggio che hai cercato per tre quarti d'ora e che sembra essere l'unico disponibile nel raggio di 15 kilometri e la signora guidatrice provetta te lo porta via. L'Ira è quella cosa – brutta e volgare – che fa sì che a quella signora, disperata tanto quanto te alla ricerca di un parcheggio, tu gli possa dire le peggio parole, come direbbero a Roma – una città, forse ancora più di Milano anche se all'apparenza può sembrare il contrario, dove l'Ira è molto radicata. Essere iracondi è brutto e non è nemmeno fine. Si è portati al nervosismo, forse proprio di nervosismo per troppo tempo represso si tratta, e si rischia di fare delle grandi figure, come sfuriate in mezzo alla strada per cazzate colossali. E noi mica vorremmo abbassarci a tanto, vero? Unico momento in cui l'ira è pienamente giustificata è quando si vede Romano Prodi, uno con l'espressione talmente pacifica che solo per fargli un dispetto ti viene automatico assumere un atteggiamento diametralmente opposto, appunto irato.

Please clean the plates, dear / the Lord above can see ya

Dirò la verità: il gioco delle carte che ho fatto in precedenza, quello per scegliere l'ordine dei vizi capitali, non mi è piaciuto. Cioè, non c'entra il metodo, è proprio una questione di ordine. Avrei preferito parlare subito dei vizi che mi piacciono di più, di quelli che mi vedono maggiormente coinvolto. La lussuria, ça va sans dire, è uno di questi. Lussuria, piacere della carne. Debolezze vecchie (almeno) quanto l'uomo. E debolezze che l'uomo non riesce, e azzardo un “non riuscirà mai”, a dominare. Perché la carne, come si suol dire, è debole e l'uomo è fatto di carne (si vedano i motivi del sillogismo fatto molte righe sopra e si comprenda dunque che se l'uomo è fatto di carne e la carne è debole, non si può che dedurne che l'uomo è debole). La lussuria tra tutti i vizi capitali è quello che senza dubbio preferisco di più, e questo credo che si fosse abbondantemente capito. Perché la lussuria (ma chiamiamola pure 'sesso', perché questo è il significato immediato) è l'unica cosa che piace e non fa male, in qualsiasi modo è praticata (unico monito: il sesso è sporco solo se fatto male). Fateci caso: il fumo piace, il fumo uccide; l'alcol piace, l'alcol uccide. La bistecca piace e il formaggio anche, ma fanno venire il colesterolo, e alla lunga questo uccide. La nutella piace, ma fa venire il diabete e il diabete uccide. Il sesso no, piace a tutti e non ha particolari controindicazioni – e non ditemi che cazzate tipiche del nostro tempo come la sesso-dipendenza, pare molto di moda in quel di Hollywood, è una controindicazione del sesso; no, è un vizio delle star. Il sesso lo potete fare fino al limite della resistenza fisica, e spesso anche oltre, e siete comunque contenti. La vista e il pensiero del sesso non danno mai assuefazione, piacciono sempre. Non è come mangiare pasta in bianco per tre sere di seguito e alla quarta piuttosto di vedertela ancora davanti ti ammazzeresti. No, dopo tre sere di sesso come minimo ti auguri che ce ne sia ancora per le altrettante sere successive. Il sesso è anche una di quelle poche cose pienamente condivise da entrambe i sessi, scusate uno dei tanti bisticci. Uomini e donne si distinguono per svariate caratteristiche, ma sessualmente sono identici e si svelano nella loro piena natura di esseri umani: arrapati. Certo, gli ometti lo sembrano più delle signorine ma semplicemente perché queste hanno bisogno di molti più input per essere “sciolte”, dopo di che il gioco è fatto e si diventa animali da combattimento. Per favore, non moraleggiamo sul sesso e sulla lussuria. È naturale, è salutare – testato scientificamente – sia al fisico che allo spirito. Risolverebbe i problemi di mezza umanità, quella che conta semplicemente perché l'altra è costituita da preti, suore, votati alla castità e single per scelta e per verginità: tutta gente che il sesso non l'ha conosciuto, per niente o non abbastanza per goderne appieno. Ed ora scusatemi, devo sbrigarmi a finire questo pezzo perché ho “Uniform Sex – 25 racconti erotici in divisa” (Mondadori, piccola biblioteca Oscar, 265 pagg., 9,80€) da leggere, e vi giuro che alcuni di essi sono fantastici.

While friends and lovers mourn your silly grave / I have other uses for you, darling / We love the dead / We love the dead, yeah

Se nel sesso le fanciulle sono fondamentali seppur bisogna essere in grado di saperle svegliare, nell'invidia le donne eccellono e non hanno nemmeno bisogno di essere fomentate – a costo di essere tacciato, ingiustamente perché provo una forma di amore universale per tutto il sesso femminile, di maschilismo – Infatti l'invidia, che neppure è vizio poi così tanto deplorevole, è tipicamente femminile. E più queste dicono di non essere invidiose e più lo sono. Non è che gli uomini non lo siano, è che le proporzioni sono differenti, e di molto. Mentre l'uomo quando è invidioso spesso lo è per delle cose intelligenti – anche se su cosa sia o meno intelligente si potrebbe discutere per secoli – le donne sono invidiose delle cazzate. Sono invidiose, ad esempio, dei corpi delle modelle. Senza mai nemmeno provare a pensare che per un uomo, nel 99% dei casi, scoparsi una come Naomi Campbell o sei Briatore o sei un sadico: pungersi contro quelle ossa è da pazzi e vuoi mettere le curve giuste e il rotolino e tutti i crismi al loro posto? E poi sono invidiose dei vestiti; quelli delle altre sono sempre più belli, e spiegaglielo che è statisticamente impossibile perché se ti compri dieci magliette alla settimana sette di queste possono fare anche schifo, ma tre no (è calcolo delle probabilità, bellezza!) e fai due conti per vedere quante sono in un anno. Poi sono invidiose dei prezzi dei vestiti delle altre: quella il vestito l'ha pagato di meno, io la più cretina che ha speso di più. Tutte così le invidie delle donne. Mai che dicessero, chessò, di invidiare l'intelligenza di Tizio/a, o la libreria di Caio/a o l'emeroteca di Sempronio/a. Mai, loro invidiano cinture, borse e scarpe. Tutto il resto è noia. Per questo mi destreggio a scrivere due cose sensate sull'invidia e tutavia non ci riesco: sono un uomo e questa è una di quelle tipiche cose che noi uomini, state freschi, non capiremo mai.

So she takes a drag of a cigarette / with her head in her hands she keeps askin' why / all the bad luck comes as good love goes / she's cryin' up a river / but that river's about to run dry

Il client di posta elettronica è spietato: “hai una nuova e-mail. Leggiamo un po', va. È lui, non ci posso credere. È il blogger clonatore, quello che mi avrebbe copiato anche il modo di tirare le sigarette se solo gli avessi concesso il piacere e l'onore di un incontro privato nel mondo reale, dove avrebbe dimostrato tutta la sua mediocrità (ricordatevi che alla voce 'superbia' ho detto che si è superbi solo con il vero). Vediamo che dice. Apri – leggi – ah, ecco: “Ho visto il tuo indirizzo IP, stamane sei venuto a farmi visita sul blog, e hai cliccato il permalink del post riguardante i peccati capitali. Siccome ti conosco, stai facendo il bastardo e mi stai infiocchettando un post di insulti (mal) celati. Attendo con ansia la lettura”. A parte che il testo l'ho dovuto copiare-incollare perché io un permalink nemmeno so come si pronuncia, figuriamoci lo spelling; e a parte che sono ormai dieci, dodici mila battute che ho stabilito, dopo una snervante consultazione di vocabolari ed enciclopedie, che si chiamano 'vizi' e tu continui a chiamarmeli 'peccati', e a me viene quasi voglia di fare file – chiudi – desideri salvare? - no! - e vaffanculo, devo dire che hai stoffa, ragazzo. Solamente che un dubbio mi penetra: è la stessa cosa che avrei fatto io? Non credo, io mica avrei perso tempo a rintracciar(mi)e l'indirizzo e-mail per mandar(mi)e una lettera un po' bruciante ancor prima che pubblicassi una sola riga. Guarda, caro clonatore, che sei fuori strada e non mi copi più alla perfezione, come cercavi goffamente di fare una volta. Dì un po', vorremmo mica fargli scrivere a quelli del Sole 24 Ore che anche in Italia i blog sono diventati strumento serio ed influente?

POSTFAZIONE: come avete avuto modo di vedere, questo saggetto-qualsiasi-cosa-vi sembri è intervallato da versi. Canzoni, per la precisione. E volendo essere ancor più pignoli, quasi al limite del maniacale, si tratta della colonna sonora che ha accompagnato la stesura del testo. Ora, potrei dirvi di chi si tratta – tre diversi nomi – ma a voi a) potrebbe non dire nulla b) potrebbe non fregare alcunché c) potrebbe stuzzicare la curiosità e, ne sono sicuro, i più sgamati tra voi indovinerebbero. Fosse per me, accenderei la 'c'. Ci provate? È narcisismo, che volete, è come sentirsi dire che “è stato bello”.


sabato, luglio 22, 2006

Someone's (not) looking at you

Il concerto milanese di ieri sera di Sir Bob Geldof è stato annullato perché all'Arena i paganti erano solamente 45. E anche Roma è saltata.


c'era un quotidiano da salvare ed ora non c'è più.

Punto Com

Non è stata una battaglia, Perché questo blog solitamente si rifiuta di combattere in modo assiduo per alcunché. Epperò è un grande dispiacere. Succede sempre, ogni qual volta un giornale viene chiuso, che la tristezza si avvicina; perché tante testate equivalgono a tante voci e quindi a più pluralismo e tante altre belle cosucce che non sono certo io a dovervi dire per primo. Sta di fatto che però nessuno tra quelli che contano in modo più o meno influente, ha fatto sì che il quotidiano .Com, l'unico che in Italia si occupa solo ed esclusivamente di marketing e comunicazione, non andasse incontro ad un crudele destino scritto al momento del coinvolgimento in un procedimento giudiziario della presidentessa della cooperativa che lo edita, la Abrond House (la stessa che edita anche Il Giornale d'Italia). Già da una settimana il quotidiano usciva solamente nella sua veste on line – e gratuita, aggiungiamo noi – a causa del fatto che la Litosud non riusciva più a garantire una regolare stampa e quindi una distribuzione nelle edicole, mentre i giornalisti era da maggio che non percepivano regolare stipendio. Oggi l'ultimo numero, un solo foglio con un arrivederci del direttore Gianluca Marchi e un comunicato dei giornalisti della redazione, dà inizio allo stato di crisi chiesto dall'editore e alla sospensione delle pubblicazioni, cartacee e on line per non si sa bene quanto tempo. Presumibilmente per sempre, a meno che qualcuno decida di non far morire troppo presto – 33 mesi nella nuova gestione più qualcuno in quella precedente – un quotidiano davvero unico nell'affollato panorama editoriale italiano.


Il ricordo di Indro

Indro Montanelli
Furecchio, Firenze 22 aprile 1909 – Milano, 22 luglio 2001

Cinque anni fa, esatti, moriva il principe del giornalismo italiano. Qui lo si vuole ricordare in modo semplice, senza quella inutile retorica che lui avrebbe sicuramente non gradito. E con le sue parole, quelle del primo editoriale del suo Giornale.

Al lettore

Questo quotidiano nasce da una rivolta e da una sfida. La rivolta è contro uno stato di fatto che espone i giornalisti a ogni sorta di condizionamenti padronali e corporativi. La sfida è alla ineluttabilità di questa situazione. Noi siamo convinti che un gruppo di uomini professionalmente selezionati e fermamente decisi a servire soltanto il lettore possono ottenere da lui quanto basta a sostenere la loro impresa senza bisogno di mettersi all’ombra – e alla greppia - di un «protettore». I più benevoli ci definiscono sognatori. I più malevoli, pazzi. Noi ci consideriamo soltanto sensati.

Naturalmente, per avviare questa iniziativa, abbiamo avuto bisogno di capitali; anche Albertini per lanciare il Corriere, anche Beuve-Méry per fondare Le Monde, dovettero ricorrervi. Come per loro, così per noi, della fonte di finanziamento si sono propalate fantasiose versioni. Quella nostra è documentata negli atti depositati presso il Tribunale, a disposizione di chiunque desideri consultarli. Per chi voglia risparmiarsene il disturbo,eccola in sintesi.

Una grande società pubblicitaria, la Spi, ci garantisce presso le banche per tre anni, lasciando ci in toto proprietari della testata, di cui ci siamo divisi tra noi le quote azionarie. La nostra è dunque una società editrice di redattori che col finanziatore hanno un solo impegno: lasciargli a titolo permanente, la esclusiva della pubblicità e riservargli il cinquanta per cento degli eventuali utili fino a completa rifusione dei passivi iniziali. Se al termine dei tre anni avremo vinto la sfida raggiungendo il pareggio, vorrà dire che la parte del finanziatore sarà stata assunta dal lettore, l'unico che può esercitarla senza coartare la libertà di un giornale, anzi garantendola.

L'urgenza di questo traguardo c'impone notevoli sacrifici. Il corpo redazionale è ridotto all' osso, per un quotidiano a diffusione nazionale: cinquanta uomini, sia pure affiancati da un folto nucleo di collaboratori esterni. Non avendo una tipografia, dobbiamo stampare in casa altrui, stivati in poco e disagiato spazio. Lo schiacciante costo della carta c'impone di uscire a diciotto pagine, che talvolta potranno calare anche a sedici. E infine dobbiamo rinunciare al numero del lunedì per sottrarci ai costi del lavoro «in straordinario» domenicale che contribuiscono a mandare in dissesto le altre aziende editoriali.

Questi sacrifici, se dietro di noi ci fossero veramente i miliardi che ci vengono attributi, non li compiremmo. Ma li accettiamo con animo lieto. Siamo pochi ma ci siamo tutti scelti tra noi. I nostri mezzi sono limitati, ma noi ne siamo i padroni. Dobbiamo rassegnarci a un prodotto quantitativamente scarso, ma siamo sicuri di poterne compensare il lettore con la qualità. Chi sarà questo lettore noi non sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito, e nemmeno di classi o di ceti. In compenso, sappiamo benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la «sensazione»: l'assassinio della mondana all'idroscalo sarà debitamente registrato, ma non avrà l'onore delle sette colonne in prima pagina e la precedenza sul viaggio di Nixon a Mosca. Non lo sarà chi crede che un gol di Riva sia più importante di una crisi di governo.

E infine non lo sarà chi concepisce il giornale come una fonte inesauribile di scandali fine a se stessi. Di scandali purtroppo la vita del nostro Paese è gremita, e noi non mancheremo di denunciarli con quella franchezza di cui crediamo che i nostri nomi bastino a fornire garanzia. Ma non lo faremo per metterci al rimorchio di quella insensata e cupa frenesia di dissoluzione in cui si sfoga un certo qualunquismo, non importa se di destra o di sinistra. Del sistema in cui viviamo conosciamo tutte le piaghe, e non ci stancheremo di metterle a vivo. Ma per contribuire a cicatrizzarle, non a propagarne la cancrena. Perché a questo sistema non ci sono che due alternative: la caserma, o il campo di concentramento. E ad entrambe noi preferiamo il nostro, anche con le piaghe.

Qualcuno ci avverte che, con tutte queste esclusioni, di lettori ce ne resteranno pochi. Ma secondo i calcoli degli esperti, a un giornale condotto coi nostri economici criteri, ne bastano per sopravvivere centocinquantamila. E noi ci rifiutiamo di credere che in Italia non ci siano centocinquantamila persone disposte a secondare lo sforzo di un gruppo di giornalisti che per servire soltanto la pubblica opinione hanno rinunziato a poltrone più comode e sicure. È questa la sola clientela che c'interessa, confidiamo che sarà tutta con noi, ma per moltiplicarla non scenderemo a nessun compromesso. Non ci contentiamo di dar vita a un giornale: ce ne sono fin troppi. Vogliamo creare, o ricreare, un certo costume giornalistico di serietà e di rigore. E soprattutto aspiriamo al grande onore di venire riconosciuti come il volto e la voce di quell'Italia laboriosa e produttiva che non è soltanto Milano e la Lombardia, ma che in Milano e nella Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida.

Fra i tanti malvezzi a cui vogliamo porre fine, c'è anche quello delle vanità mortuarie, che abbiamo sempre considerato disdicevole al rango di questa città. Chi vuole inserire un necrologio si presenti al nostro sportello. Gli sarà praticata la solita tariffa proporzionale al millimetraggio. Ma a intascarla non saremo noi: l'importo sarà messo dentro una busta, su cui lo stesso inserzionista iscriverà !'indirizzo dell' opera assistenziale o caritativa cui egli vuol devolverlo in onore del defunto e impostato sotto i suoi occhi secondo le modalità che indichiamo a pie' della seconda pagina, in modo che il necrologio e la partecipazione non siano più un mercato alle spalle del morto, ma un contributo alla solidarietà reso in omaggio alla sua memoria.

Quanto al nostro modo d'intendere e di praticare l'obiettività dell'informazione e la sua netta distinzione dal commento, vera garanzia d'imparzialità giornalistica, non vogliamo dilungarci perché da oggi in poi esso sarà sotto gli occhi del lettore, unico giudice competente a pronunziarsi.

A questo lettore non abbiamo «messaggi» da lanciare. Una cosa sola vogliamo dirgli: questo giornale non ha padroni perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l'offriamo.

Indro Montanelli, Il Giornale Nuovo, 25 giugno 1974

Il ricordo del Corriere della Sera, Il ricordo del Giornale

venerdì, luglio 21, 2006

allargamenti

Romano Prodi sul Corriere dice di no alle maggioranze allargate. E non perché consideri una maggioranza esigua molto più sexy. Semplicemente perché sarebbe fastidioso, oltre alle chiappe, avere anche le maggioranze allargate.


Ditelo ai suoi fans

Zapatero è stato fotografato con la kefiah al collo


giovedì, luglio 20, 2006

Alleanza Nazionale, sei in ascolto?

Sono più di due anni che Giordano Bruno Guerri prova a tracciare le coordinate di quella che dovrebbe essere una destra italiana nuova, moderna e che taglia i ponti con il passato. Finora è rimasto pressoché inascoltato – e tutti noi ci teniamo stretta la collezione del suo Indipendente – chissà se finalmente verrà preso sul serio con il fantastico articolo da lui firmato stamane sul Giornale. Alleanza Nazionale qui Ordine Generale, avete stabilito un contatto con il pianeta Guerri?

mercoledì, luglio 19, 2006

e lo slogan è: Come for a cause!

Altro che Telethon o 30 ore per la vita. Questi qui fanno sul serio. Ladies and Gentlemen, please welcome Masturbate-a-Thon.


Avete notato che quest'anno non è ancora arrivato il caso-sparizione-omicidio che trastulla l'italiano sotto l'ombrellone?


Antifascismo o imbecillismo?

Come se fossimo ancora nel dopoguerra. O peggio a ridosso della caduta del Duce, nel goffo tentativo finale di splendere d'onore con una Repubblica Sociale, c'è ancora un avvocato difensore di certi imbecilli che tira fuori la scusa dell'antifascismo. 4 anni di carcere – che già si sono trasformati in 4 anni di arresti domiciliari, e Dio solo sa cosa diventeranno tra un paio di mesi – per dei disordini gravi, gravissimi, in pieno centro a Milano e senza un vero e proprio motivo – perché nel 2006 considerare l'antifascismo come motivo serio e non come fiacco alibi è cosa che rifugge – sono troppi? Dico, stiamo scherzando? Questi hanno fatto una vera e propria guerriglia di sabato, a mezzogiorno, in pieno corso Buenos Aires. Sono passati circa 4 mesi e sulle edicole ci sono ancora le vetrate sciolte dalle molotov e dalle bombe carta e questi si permettono anche di fare le vittime, con il benestare di parentame vario che “erano dei bravi ragazzi e mio figlio mai...” - mi viene in mente anche il padre di Carlo Giuliani che questa notte, colpevole un televisore lasciato acceso su un telegiornale nonostante la palpebra calante, mi ha rubato il sonno con le sue tesi allucinanti. Antifascismo questo? Imbecillismo puro.


martedì, luglio 18, 2006

Come in una lettera al Foglio che qualcuno ha scritto all'incirca una settimana fa: D'Alema è sproporzionato.


Nonostante il repulisti generale, mi associo a chi consiglia di salvare la Juventus dalla sua dirigenza, attuale o passata che sia. Perché quanto è riuscito a combinare un avvocato è da comica.


Forse è già mattino e non lo so

Un'interessante retrospettiva sul numero di luglio/agosto di Blow Up, ad opera di Christian Zingales (pagg. 136-137) mi ha messo alla ricerca, come un cane da tartufo, di Diana Est. Qualche ricordo è onestamente riaffiorato, molto altro mi era sconosciuto. Sta di fatto che il mio amico pirata-della-rete-scaricatore-abusivo – perché tutti hanno almeno un amico p.d.r.s.a. - è sulle sue tracce. Almeno da reperirmi quei tre singoletti più b-sides che la nostra sputò fuori dal 1982 al 1984 quando, novella eroina che dello showbiz capì tutto prima ancora di immergersi definitivamente, sparì dalle scene. Senza mai più tornarci, tantomeno a Meteore.


lunedì, luglio 17, 2006

Con il cuore, almeno, presente.

domenica, luglio 16, 2006

C'è un quotidiano da salvare, sbrigatevi! / 2

Ve ne avevo già parlato, e col tempo la situazione è andata peggiorando. .Com sta chiudendo, la settimana appena trascorsa è stata disastrosa: giornalisti in stato di agitazione tanto che giovedì il giornale non è uscito, venerdì e sabato è stato pubblicato solamente on-line per gli ovvi problemi con gli stampatori. E il direttore dice che le alternative sono due: o lo stato di crisi (e la cassa integrazione, ma nessuno si fa sentire?) o, vero colpo di fortuna, un nuovo acquirente. Questi mica sono come il manifesto, moribondo dalla nascita eppure sempre salvato per il rotto della cuffia. Questi no, questi vengono fatti morire così, senza pietà.

Nota di colore: proprio mentre scrivevo questo post, la funzione random di iTunes ha deciso di averne abbastanza di Jesse Malin ed è passata, per uno strano scherzo del destino, a The Cure – The Funeral Pary, Faith, 1981


venerdì, luglio 14, 2006

Ogni pagina vuota è una poesia nascosta – ma anche una lettera, un testo, un articolo, un saggio. Un pensiero, una frase, un aforisma. Un sillogismo, una frase deplorevole, un insulto, una lode. L'incipit di un libro, i ringraziamenti di un'opera. Fate voi.


Che una sorella sia meglio di una maglia mi pare fuori da ogni dubbio. O no?


martedì, luglio 11, 2006

Noi italiani saremo quel che siamo, e che non è certamente granchè. Però ad una diatriba sulla insussistenza dell'adulterio quando si consuma per bocca invece che per altri pertugi, non ci staremmo mai.

Indro Montanelli, Le mezze allergie dei puritani

feticismi

Le dita non possono sudare, non ora. La carta è già ingiallita di suo, roba da prenderlo per il collo il precedente possessore, ma d'altronde è merce talmente rara da possedere che ad un certo punto ci si può pure accontentare. Eccome, se mi accontento. Perché mica tutti i giorni capita di conoscere l'emozione che si prova nello sfogliare – piano, piano che non si deve sgualcire nemmeno un po' – le pagine dell'Indipendente di 15 anni fa. E mica un numero qualunque, no. Recita così, sotto la testata: Giovedì 14 novembre 1991, Anno I numero I.


lunedì, luglio 10, 2006

Campioni del Mondo - finalmente!

Siamo tutti italiani. Non è dato a sapersi quanto ancora durerà la festa, presumibilmente molto, e quanto questo spirito patriottico ci avvolgerà. Lo spettacolo di ieri sera subito dopo la partita – che non si vuole discutere – è stato emozionante. I caroselli, i clacson, le bandiere tricolori ai balconi che soppiantavano quello schifo sbiadito di bandiere arcobaleno, il popolo italiano che raramente si sente italiano era tutto per il nostro Bel Paese ancor più che per le nostra nazionale. Nazionale che nessuno – nemmeno quelli di Mediaworld – dava per favorita, anzi, abbiamo preso insulti un po' da tutti, passando però attraverso i capisaldi Beckenbauer (“L'Italia pagherà lo scandalo attualmente in corso”, dimenticandosi di quello tedesco) e persino Michel Platini (“L'Italia batterà la Francia solo nel 2030” ha dichiarato, e sarebbe quasi da fargli presente come è volato il tempo). Ma sì, grondiamo di retorica, in questi casi è dovuto: Forza Italia, Forza Azzurri. Non avete fatto un mondiale ad alto tasso tecnico, questo è fuori da ogni dubbio, ma il cuore – e talvolta anche il culo, ma serve pure quello per vincere – l'avete tirato fuori e messo a centrocampo. E fa nulla se abbiamo – avete – giocato tutto il Mondiale in dieci, con lo spettro di Totti capace solo di giocare di prima e di aggirarsi moribondo per il campo, l'importante è vincere e tirarci su il morale. Fa nulla anche se la Fifa ha decretato Pallone d'Oro di questo Germania 2006 quel Zidane che ieri ha dato prova di come bisogna essere dei gran campioni anche per scrivere le pagine più brutte, e non solo quelle più belle, del calcio. Ieri sera ho sentito un mio amico dire di essere contento per “aver rasato la cresta ai galletti”. Niente di più vero: aver battuto gli spocchiosi e arroganti francesi è vanto di gioia almeno quanto avere la consapevolezza di essere campioni del mondo.

Ora ci attende un'altra sorte, non meno importante, per il nostro calcio. L'inchiesta prosegue, le punizioni sono in arrivo e l'amnistia ventilata da Mastella in caso di vittoria del Mondiale si fa sempre più lontana, nonostante i buoni propositi iniziali. Solo una parola ai nostri cari giustizialisti che quando poi indossano anche i panni dei tifosi gli si annebbia il cervello peggio che dopo una notte di sbronza: guardate un po' la formazione della nazionale campione del mondo 2006 e riflettete. Buffon, Cannavaro, Zambrotta, Del Piero, Camoranesi giocavano nella Juventus; Pirlo, Gattuso, Gilardino, Inzaghi nel Milan; Toni nella Fiorentina – tutta gente che quando ci ha messo lo zampino è stata decisiva, alcuni tra i migliori dei mondiali e con ogni probabilità nessuno di loro l'anno prossimo giocherà in Serie A, forse non rimarranno neppure in Italia. Dico, ancora convinti che la palla non sia rotonda? Che le partite basta comprarle e quello che succede in campo, i tiri le azioni i gol, non sia importante? Lippi, un altro coinvolto nel sistema Gea, ha portato al trionfo questa nazionale dopo 24 anni, quando anche gente come Trapattoni e Sacchi nel frattempo ha fallito – più o meno miseramente – l'obbiettivo. E Moggi, badate bene, mica poteva mettercelo lo zampino nei Mondiali.