Keith Haring, Head with snakes (the seven capital vices), smalto su tela, 110,2 x 149,6, 1986, Galleria Michelangelo, Bergamo
A Lei, che sebbene non me lo chieda continua a pensare
a cosa combino quando le
dico che ho da fare le mie cose.
PROLOGO: Era notte e sognavo un elefantino, mica troppo piccolo per la verità, che andava da una formica piccola ed innocua a chiederle un pezzo, di quelli belli lunghi, dicendole che ne sarebbe stata capace. Al mattino, sveglio, il sogno mi tornò in mente e decisi di mettermi nei panni di una formica – anche se lo scarrafone, all'occorrenza, sarebbe andato più che bene.
Ma che bello avere un blog. Che fico, insomma. Pure Il Sole 24 ore (giovedì 20 luglio, inserto Nòva) ha scritto che i blog iniziano ad avere importanza, tanto che in America – la terribile America, la sempre-avanti-di-dieci-anni-America – hanno pure fatto degli incontri per decretare il grado di influenza dei diari on-line. Cosa che per altro in Italia sarebbe impossibile da fare, visto che la maggioranza di questi blog hanno nomi come occhidacerbiatt e fighettacalda e fratvb4ever e mi fermo qui perché provate solamente ad immaginare il resto. Capite dunque come in questo modo sia facile avere poca influenza nel mondo. Sicuramente anche i sopracitati rappresentano scritti – ma lasciamo perdere – e teoricamente potrebbero essere considerati anche come 'informazione', più raramente opinione. Certo è che però bisogna pure distinguere tra l'informazione utile o inutile; mica voglio fare il moralista, io, o il superbo (io, e ci torneremo tra qualche riga, vedrete che tutto ciò ha un senso) e dire che bisogna sempre essere seriosi e cupi e tristi e mai una nota di colore. Lungi da me. Così come lungi da me le nota troppo colorite, o le note di troppo colore, o le troppe note di colore – scommetto che sintatticamente tutto ciò ha un nome, ma capite che i fannulloni come me mica hanno voglia di prendere in mano i libri di linguistica e andare a cercare il nome preciso di certi costrutti sintattici.
We ended up at the Grand Hotel / It was empty, cold and bare / but wit the the Rolling truck Stones thing just outside / Making our music there
Dicevamo dei blog italiani, terribilmente meno influenti e meno importanti a livello opinionistico di quelli americani – o inglesi o tedeschi, immagino, pur senza sapere mezza parola mezza di quei bevitori di cappuccino subito dopo aver ingerito una quattro stagioni cruda dentro e bruciata fuori in un posticiattolo della periferia di Berlino Est. E ci credo che sono meno influenti, si perdono troppo in cazzate. Rappresentano una versione più estesa – leggi: raggiungibile da più persone e in modo casuale – dell'sms. Per certi versi la comunità dei blogger italiani – della maggioranza dei blogger italiani, e non parlo solo di quelli compresi tra i 13 e i 17 anni, sarebbe già un bel risultato – è sorella minore della generazione degli sms: scrivono cazzate, cinema e pizze, e lui quanto è bono; e lo fanno con le 'k' al posto delle 'c' dure, diamine, e un minimo di buon senso e se non si vuole esagerare con l'amor proprio, almeno si tenga in considerazione l'amor di chi legge ed è costretto a rabbrividire se non, nella peggiore delle ipotesi, a chiamare il nipotino o il cuginetto per farsi tradurre tutte quelle nuove abbreviazioni come 'qst' in luogo di 'questo' e l'ora più chiaro 'kll' al posto di 'quello'. Troppo poveri, cerebralmente e a livello di contenuti, questi blog. Poi succede che una mattina ci si ritrovi alle 11 di fronte al pc, una di quelle mattine che a svegliarsi sembra ci si stia mettendo troppo (e comunque di più della mattina precedente); un disco sta di sottofondo e si naviga utilizzando il criterio del quinto – o del terzo, o del quarto, il cardinale decidetelo voi – collegamento.
Used to sing and say my prayers / live my life without a care / now I have become a fool / because I listened to the mule
Esatto, mai sentito parlare del criterio del quinto collegamento? Dunque, trattasi di cosa molto semplice: si entra nel proprio blog, o in uno di quelli che leggete con maggiore assiduità ammesso che ce ne siano (e non sapete quanto sia stato difficile per il sottoscritto trovarne uno), e si clicca sul quinto link presente. Si entra quindi nel blog collegato e si ripete la stessa cosa: si clicca sul quinto collegamento e così via, fino a quando ne avete voglia e/o trovate qualcosa di interessante. E sembra proprio che in questa mattina dove svegliarsi pare un'impresa e bla bla bla, qualcosa di interessante l'ho trovata. E qui si spiega tutto quel popò di introduzione sui blog italiani, troppo facili nel fare cazzate o – appunto – nel girare catenedisantantonio manco fossimo al cellulare. Il fatto è che una di queste catenedisantantonio mi sembrava anche interessante. Ma andiamo con ordine e facciamo un piccolo passo indietro: il blog sul quale ho trovato suddetta catena è una mia vecchia conoscenza, chi mi segue da un po' ed è riuscito a decifrare qualche subdolo messaggio tra un post e l'altro non dovrebbe far fatica a capire di chi sto parlando. Un ragazzino, ma non è questo il punto. Il fatto che all'epoca dello scambio di opinioni tra me e questo mi fece annebbiare il cervello di ira (e, come per la superbia, capirete tra un po': tutto torna) fu che il ragazzino mi copiava. Lo stile – e qui mi sono proprio incazzato per niente, sapeste quante volte l'ho fatto io per somigliare a quello o a quella che, mannaggia, darei un braccio per scrivere come loro e invece sono ancora qui che faccio anacoluti – ma anche il banner dell'homepage: stessa divisione a tre con il titolo in mezzo, ai lati un paio di immagini che identificano qualche oggetto con una qualche attinenza, o anche no, al blog. Non glielo feci presente in modo diretto, perché irosi e superbi sì, ma l'essere cafoni non è contemplato nei sette vizi capitali e dunque sarebbe stata un'inutile perdita di tempo. Tuttavia sul blog un paio di frasette tra le righe le inserii, con la ovvia speranza che il clonatore le leggesse. Presto però smisi rendendomi conto che stavo per avvicinarmi troppo velocemente al suo livello, e va bene che la sciatteria non è anch'essa contemplata nei sette peccati capitali (che tornano, tra un po' capirete) ma non ci vogliono mica i moniti religiosi – o pseudo tali – per rendersi conto di scadere nel ridicolo.
She looked like a raver / but I could never please her / on wednesday mornings boy you can't go far
Dunque e finalmente, i sette peccati capitali. Nel blog del clonatore scovo una sorta di sondaggio che ultimamente tanto sembra avere successo nei blog italiani, e ancora una volta sono costretto ad aggiungere: non solamente in quelli i cui titolari appartengono alla fascia 13-17, sarebbe già un successo. E tale sondaggio – o catenadisantantonio, fate voi – chiede due cose. In primis che si stili una lista dei sette peccati capitali (ira, superbia, lussuria, avarizia, accidia, gola, invidia), con tanto di ordine personale di importanza e breve descrizione della cosa; in secondo luogo che si invitino altri sette blogger di propria conoscenza a fare altrettanto, ed è facile capire come per me, blogger anomalo, la cosa sia impossibile. Potevo però risparmiarmi dal fare tutto ciò? Ovviamente no, nonostante la giaculatoria iniziale sullo stato pietoso del blog italiano e sul quando cazzo li raggiungeremo (mai?) gli americani se continuiamo con questi giochetti e queste comunità e questo seguitare a riportare gli editoriali di Liberazione o di qualche newsletter che sta sullo sfigato-pseudo-marxista – vero caro il mio clonatore? - anziché scrivere qualcosa di proprio.
Well my trying ain't done no good / I said my trying ain't done no good / you don't make no effort no not like you should
Eccomi, li ho qui davanti a me, i sette peccati capitali sul quale non ho mai riflettuto fino a quando uno sfigato di blog me ne ha dato l'opportunità. Li ho tutti sul tavolino, sparpagliati come carte, ovviamente con il nome girato dall'altra parte perché di stilare un classifica personale non mi viene. Mi conviene quindi affidarmi al caso e pescare una carta dopo l'altra, magari in seguito ad ottima mescolatura, e iniziare a rapportarmi al vizietto capitale – o far finta di rapportarmi, che ho pur sempre un'aura snob da mantenere anche se vi confido che è dura farlo mentre in sottofondo un tale di nome Jon Lord, tastierista di uno gruppetto del quale la storia della musica avrebbe tranquillamente fatto a meno se non fosse che questi si sono intestarditi e per 38 anni hanno sfornato un disco dopo l'altro – e quando non erano loro erano i loro “gruppi costola” - fino a che anche qualche critico ha deciso di accreditargliele un paio di possibilità e qualche oncia di fama sulle riviste che contano. Con quel tizio in sottofondo che masturba un organo Hammond fino al culmine dell'orgasmo-distorsione, dicevo, è dura concentrarsi. Se non altro perché quando le valvole del Leslie girano a mille e sono infuocate, altrettanto lo sono le mie budella, non si capisce se per il piacere o se per la soglia del dolore raggiunta nel luogo dove scrivo, a causa del volume che sarebbe quasi da dire che ho bestemmiato, prima, quando ho parlato specificamente di 'sottofondo'. Ma siamo qui per provarci, o no? Certo, solamente una cosa, un piccolo dubbio da sciogliere che immagino al blogger-tipo italiano non sia venuto in mente. Sono 'vizi' o 'peccati'? Sempre sentiti nominare in entrambi i modi, e figuriamoci se si ha la benché minima voglia di scomodare Aristotele per sciogliere il dubbio. Fidiamoci dei più comodi – e veloci – vocabolari. Dunque, per lo Zingarelli il vizio è “abitudine inveterata e pratica costante di ciò che è, o viene considerato, male” e come esempio ne porta uno che cade a pennello: il – della lussuria. Dunque se lo Zingarelli parla di 'vizio' per la lussuria, potremmo anche accontentarci del risultato, sulla base poi del famoso sillogismo aristotelico – che a questo punto non si voleva scomodare e al quale si chiedono ovvie scuse – che reciterebbe più o meno così: se lo Zingarelli dice che la lussuria è vizio, e la lussuria è capitale, allora il vizio è capitale. Dunque “vizi capitali” e non “peccati capitali”. Facciamo la prova del nove. Sempre il noto vocabolario alla voce 'peccato' dice quanto segue: “comportamento umano che costituisce violazione della legge etica e divina” e come esempio porta il biblico: il – peccato originale. Dunque connotazione decisamente più religiosa per 'peccato', ma potrebbe comunque andare bene dal momento che i peccati, o vizi che dir si voglia, capitali sono stati introdotti nel Catechismo della Chiesa Cattolica da Tommaso d'Acquino nel XIII secolo. Non abbiamo risolto granché, in definitiva, ma nonostante tutto abbiamo acquisito più conoscenza, ed effettuato più ricerca, del blogger clonatore, quello dal quale ho tratto spunto. E poi ancora ci domandiamo perché in America i blog sono presi in considerazione mentre noi in Italia siamo snobbati: per spiegarlo ci ho messo circa due pagine in corpo 12 e con interlinea singola, mentre bastava il concetto che poi ho introdotto diecimila battute dopo, e sai quanta fatica avrei risparmiato. Proviamo a fare un salto su Wikipedia, pare che ultimamente abbia un'affidabilità mostruosa, e sebbene facesse inorridire il mio professore di Archivistica – uno di quei topi da biblioteca che maneggiava manoscritti musicali del 1600 e che avresti voluto sentir parlare per ore e ore se non fosse che lui s'interrompeva continuamente per prendere il caffè – che la considerava sì la morte sua ma non con quella accezione positiva tipica dei partenopei, tentar non nuoce. Allora, digitando la voce “vizi capitali” si viene rimandati alla pagina del “peccato” in connotazione religiosa, nella quale si viene comunque avvisati di dare un'occhiata anche alla pagina “male e peccato”, di connotazione decisamente più filosofica. Insomma, stando a Wikipedia si potrebbero considerare le due cose equivalenti, anche se qualcosa mi dice che non è proprio così - potrei sempre chiedere al mio clonatore, chissà mai che lui tra un'occhiata al manifesto e una all'Unità ne sappia di più; anche se dubito, avrebbe potuto fornirne spiegazione sul suo blog invece che ospitare certe sozzerie. Proviamo allora con la voce “peccati capitali”, ma sembra non andare meglio: rimanda ad una di quelle pagine cosiddette di “chiarimento delle ambiguità” dove, per intenderci, vengono ospitate le voci con lo stesso significante ma diverso significato. E infatti viene dato un elenco di opere culturali che con la spiegazione dei vizi o peccati capitali non c'azzeccano. Ritorniamo allora alla pagina del “peccato”, quella nella quale si veniva automaticamente indirizzati partendo da “vizi capitali”. Osserviamo più a fondo e leggiamo testualmente che “nel Catechismo della Chiesa Cattolica viene elencata una lista di sette vizi (o peccati) capitali che [...]”. Stop, fermi tutti. “sette vizi (o peccati) [...]” basta e avanza: ho le dita sporche dell'inchiostro del vocabolario, quaranta pagine di Wikipedia aperte contemporaneamente e tanto mi basta. Non sono arrivato ad una conclusione, o meglio: per lo Zingarelli le due cose sono diverse, per Wikipedia (ma sembra di capire anche per la Chiesa) le due cose si equivalgono, ci sarebbe ancora il De Mauro, ma è l'edizione on-line e magari è incompleta e poi no, non ho voglia. Ormai il registro è sufficientemente alto per erigersi sopra il tetto dei blogger clonatori italiani, no? Sceglieremo di chiamarli vizi, è molto più romantico e baudelaireano ma soprattutto, eccellendo io stesso in alcuni di essi, viene poco carino e modesto chiamarli “peccati” e immaginare le fiamme dell'inferno che bruciano sotto il sedere. Con questo caldo poi, che viene quasi in mente il povero De Andre', uno che all'inferno avrebbe preferito andarci d'inverno, a maggio no, fa troppo caldo Ninetta mia. E chissà che cosa penserebbe ora, a vedere quel suo figliolo che gli dà ai carabinieri in un hotel della Genova bene, una tristezza che te la raccomando.
We'd move to the Canaveral moonstop / and everynaut would dance and sway / we got music in our solar system / we're space truckin' round the stars
Vi dicevo che i miei vizi erano belli sparpagliati sul tavolino, col loro bravo nome nascosto, e che io mi accingevo a pescarli come le carte del mercante in fiera. Sono passate non so quante battute da quella mia affermazione – e chi vuole controllare me lo faccia sapere – ma non ho cambiato una virgola nel frattempo. Dunque procedo come detto e pesco: Accidia, Superbia, Avarizia, Gola, Ira, Lussuria, Invidia. Questo l'ordine, ma che brutta partenza, diamine. Cosa ne posso sapere io dell'Accidia? E' mica quella cosa che si può tradurre in modo comprensibile a chiunque come “voglia di lavorare saltami addosso”, alla quale poi si possono aggiungere noia e indifferenza alle dosi preferite? Se l'accidia è questa – e ci sono buone ragioni per pensarlo – è una brutta malattia, diffusissima. Un conto infatti è concedersi un etto di accidia settimanale, come quando è inverno e fuori piove e ti sembra uno di quei telefilm americani dove lei piange e lui pure ma poi ti rendi conto di vivere in periferia ma vuoi fingere lo stesso, e la cosa ti fa impazzire nonostante la tua autostima non ti porti ad osare più di una tazza fumante, la copertina tirata su al ginocchio e un Miles Davis di sottofondo – ecco, se questo tipo di accidia è un vizio (o peggio ancora un peccato), non ci sto. Il fatto è che l'accidia nociva è molto più diffusa, soprattutto per la quantità del fattore “noia + indifferenza” presente nel cocktail. L'accidia nociva è quella dell'impiegato postale, ad esempio, quello che non sa riconoscere una 'y' da una 'j' e le chiama entrambe in modo sbagliato, nonostante tu poi in separata e privata sede ti chiedi coma faccia a sapere tutte le combinazioni vincenti di frutti alle macchinette videopoker. Inutile dire che, per un peccato di superbia (tra poco...), il sottoscritto di accidia nociva non vizia – il termine 'pecca' inizia ad urtarmi per i motivi sopracitati – praticamente mai e quando lo fa, credetegli, è in buona fede.
Maybe I'll find on the way down the line / That I'm free, free to be me
Lisci come l'olio ci introduciamo al secondo vizio nell'ordine di pesca: la superbia. Non ci crederete, già lo so, ma la superbia è il sale della vita, altro che l'ottimismo. Essere superbi aiuta molto più di quanto danneggi, non c'è dubbio. Il fatto è che ad essere superbi bisogna essere bravi, non ci si può mica improvvisare e, per dire, un blogger clonatore per quanto cerchi di imitare la superbia di chi – il sottoscritto – si è sentito clonato, mai riuscirà ad essere credibile. Non pensate che il superbo sia quello che risponde male quando qualcuno gli taglia la strada in macchina e poi racconta agli amici che la poverina che guidava, spaventata, se l'è magnata perché “la gente bisogna mangiarsela altrimenti nella vita non sei nessuno”. No, quello non è superbo, semplicemente come direbbe una signorina Silvani qualunque, “direi che siamo sul cafone”, altro che superbia. La superbia è dolcemente mostrare – guai ad ostentare – una superiorità che innegabilmente deve essere manifesta, perché va bene la superbia ma mai passare per cazzari, nemmeno per sbaglio. Vi assicuro che è una cosa magnifica, una sensazione straordinaria e, miracolo, che non urta troppo la coscienza: in fondo dite delle verità, solamente spiazzando il vostro interlocutore il quale irrimediabilmente si sentirà inferiore. Superbia deriva dal latino super: oltre, sopra. E sopra è il contrario di 'sotto', sbaglio? Giudicate voi quanto l'autore di questo saggetto sia superbo.
Ready as this audience that is coming here to dream / loving every second, every moment, every scream / I've been waiting so long for this thing to come
Il terzo vizio del nostro lotto è l'avarizia. Bruttissimo vizio, da rifuggire come la peste. Prima di tutto diamo una definizione pragmatica di avaro, e dico pragmatica perché oramai con vocabolari ed enciclopedie non se ne esce più e tanto vale basarsi sull'esperienza. E questa dice che l'avaro non è colui che non paga mai i caffè. Quello semmai è un personaggio dalle “braccine corte” – se mi scusate l'espressione resa nazional-popolare da Aldo, Giovanni e Giacomo. L'avaro non è nemmeno quello che risparmia su qualcosa con l'obbiettivo di accrescere le finanze disponibili per l'acquisto di altra roba. L'avaro vero e proprio – patentato, si potrebbe osare – è quello che non ha alcun progetto se non quello di mettere via soldi, possibilmente in banca perché ad investirli non si sente più l'odore della cartamoneta; gente che nemmeno sul punto di morte si rende conto di avere un patrimonio, di esserselo sudato e di non averne goduto nemmeno un po'. Il che è quanto di più deprimente ci possa essere nella vita. E poi gli avari hanno anche un'aurea, talvolta sottile e talvolta più marcata, di egoismo. Volendosi tenere tutto per sé, non condividono le loro ricchezze con nessuno e sono tenuti a farlo anche con quelle fisico-spirituali oltre che con quelle materiali. E ditemi voi se non è errore madornale – che dico, di più – tenere tutto per sé. E va bene niente scambio di esperienze, e va bene che i soldi ti escono da ogni pertugio ma mai che ti compri qualcosa di cui godere, va bene non mi vuoi dare nulla per nulla; ma quel fantastico accendino Zippo in argento intarsiato, una tamarrata da urlo che nemmeno il Verdone d'antan, me lo non dico regali, ma almeno presti? Tanto più che non fumi nemmeno. Quanto a me, io ho le mani letteralmente bucate, per cui...
We go dancing nighty in the attic / while the moon is rising in the sky / if I'm too rough, tell me / I'm so scared your little head will come off in my hands
Poco sopra trovate dei versi di una canzone, non sono gli unici in tutto questo pezzo e ne riparleremo più tardi. Comunque mi ricordo l'artista in questione che proprio su quei versi, durante un concerto di una trentina di anni fa, infilzava un fantoccio in gola con una spada. Nulla di significativo, e nessuna apparente relazione con quanto sto scrivendo. Solamente che al momento di vedere di quale vizio mi sarei dovuto occupare ho letto 'gola', e subito è partita l'analogia. Dunque, gola. Un vizio da nulla, se non che poi ci rimetti tutto in pancetta e colesterolo. Bisognerebbe vedere se per gola si intende anche quella liquida, quella alcolica insomma, perché le cose cambierebbero e non poco. Mangiamo con moderazione, se non altro per la salute fisica. Solo che poi se ci fumiamo sopra un pacchetto di Marlboro non serve a nulla – e, soprattutto, se da queste ultime non ci sappiamo trattenere, non è per caso anch'esso un vizio di gola? Credo sia il vizio più sottovalutato di tutti, quello che dà meno l'idea di trasgressione di una regola fino a prova contraria tacita. Per dire, a uno che mena gli dicono che è iracondo (e quindi con il vizio dell'ira) mentre a uno che mangia gli dicono che è goloso (gola) eppure si nota qualcosa di diverso. Vizio difficile da descrivere, quello di gola. Forse perché profondamente metaforico, forse perché irresistibile oltre che nobile. Chissà.
I got no friends 'cause they read the papers / they can't be seen with me / and I'm getting shot down / and I'm feeling mean
L'Ira è quella cosa che hai sempre addosso e non solo quando ti incazzi. Per dire, non è ira quando ti rubano il posto parcheggio che hai cercato per tre quarti d'ora e che sembra essere l'unico disponibile nel raggio di 15 kilometri e la signora guidatrice provetta te lo porta via. L'Ira è quella cosa – brutta e volgare – che fa sì che a quella signora, disperata tanto quanto te alla ricerca di un parcheggio, tu gli possa dire le peggio parole, come direbbero a Roma – una città, forse ancora più di Milano anche se all'apparenza può sembrare il contrario, dove l'Ira è molto radicata. Essere iracondi è brutto e non è nemmeno fine. Si è portati al nervosismo, forse proprio di nervosismo per troppo tempo represso si tratta, e si rischia di fare delle grandi figure, come sfuriate in mezzo alla strada per cazzate colossali. E noi mica vorremmo abbassarci a tanto, vero? Unico momento in cui l'ira è pienamente giustificata è quando si vede Romano Prodi, uno con l'espressione talmente pacifica che solo per fargli un dispetto ti viene automatico assumere un atteggiamento diametralmente opposto, appunto irato.
Please clean the plates, dear / the Lord above can see ya
Dirò la verità: il gioco delle carte che ho fatto in precedenza, quello per scegliere l'ordine dei vizi capitali, non mi è piaciuto. Cioè, non c'entra il metodo, è proprio una questione di ordine. Avrei preferito parlare subito dei vizi che mi piacciono di più, di quelli che mi vedono maggiormente coinvolto. La lussuria, ça va sans dire, è uno di questi. Lussuria, piacere della carne. Debolezze vecchie (almeno) quanto l'uomo. E debolezze che l'uomo non riesce, e azzardo un “non riuscirà mai”, a dominare. Perché la carne, come si suol dire, è debole e l'uomo è fatto di carne (si vedano i motivi del sillogismo fatto molte righe sopra e si comprenda dunque che se l'uomo è fatto di carne e la carne è debole, non si può che dedurne che l'uomo è debole). La lussuria tra tutti i vizi capitali è quello che senza dubbio preferisco di più, e questo credo che si fosse abbondantemente capito. Perché la lussuria (ma chiamiamola pure 'sesso', perché questo è il significato immediato) è l'unica cosa che piace e non fa male, in qualsiasi modo è praticata (unico monito: il sesso è sporco solo se fatto male). Fateci caso: il fumo piace, il fumo uccide; l'alcol piace, l'alcol uccide. La bistecca piace e il formaggio anche, ma fanno venire il colesterolo, e alla lunga questo uccide. La nutella piace, ma fa venire il diabete e il diabete uccide. Il sesso no, piace a tutti e non ha particolari controindicazioni – e non ditemi che cazzate tipiche del nostro tempo come la sesso-dipendenza, pare molto di moda in quel di Hollywood, è una controindicazione del sesso; no, è un vizio delle star. Il sesso lo potete fare fino al limite della resistenza fisica, e spesso anche oltre, e siete comunque contenti. La vista e il pensiero del sesso non danno mai assuefazione, piacciono sempre. Non è come mangiare pasta in bianco per tre sere di seguito e alla quarta piuttosto di vedertela ancora davanti ti ammazzeresti. No, dopo tre sere di sesso come minimo ti auguri che ce ne sia ancora per le altrettante sere successive. Il sesso è anche una di quelle poche cose pienamente condivise da entrambe i sessi, scusate uno dei tanti bisticci. Uomini e donne si distinguono per svariate caratteristiche, ma sessualmente sono identici e si svelano nella loro piena natura di esseri umani: arrapati. Certo, gli ometti lo sembrano più delle signorine ma semplicemente perché queste hanno bisogno di molti più input per essere “sciolte”, dopo di che il gioco è fatto e si diventa animali da combattimento. Per favore, non moraleggiamo sul sesso e sulla lussuria. È naturale, è salutare – testato scientificamente – sia al fisico che allo spirito. Risolverebbe i problemi di mezza umanità, quella che conta semplicemente perché l'altra è costituita da preti, suore, votati alla castità e single per scelta e per verginità: tutta gente che il sesso non l'ha conosciuto, per niente o non abbastanza per goderne appieno. Ed ora scusatemi, devo sbrigarmi a finire questo pezzo perché ho “Uniform Sex – 25 racconti erotici in divisa” (Mondadori, piccola biblioteca Oscar, 265 pagg., 9,80€) da leggere, e vi giuro che alcuni di essi sono fantastici.
While friends and lovers mourn your silly grave / I have other uses for you, darling / We love the dead / We love the dead, yeah
Se nel sesso le fanciulle sono fondamentali seppur bisogna essere in grado di saperle svegliare, nell'invidia le donne eccellono e non hanno nemmeno bisogno di essere fomentate – a costo di essere tacciato, ingiustamente perché provo una forma di amore universale per tutto il sesso femminile, di maschilismo – Infatti l'invidia, che neppure è vizio poi così tanto deplorevole, è tipicamente femminile. E più queste dicono di non essere invidiose e più lo sono. Non è che gli uomini non lo siano, è che le proporzioni sono differenti, e di molto. Mentre l'uomo quando è invidioso spesso lo è per delle cose intelligenti – anche se su cosa sia o meno intelligente si potrebbe discutere per secoli – le donne sono invidiose delle cazzate. Sono invidiose, ad esempio, dei corpi delle modelle. Senza mai nemmeno provare a pensare che per un uomo, nel 99% dei casi, scoparsi una come Naomi Campbell o sei Briatore o sei un sadico: pungersi contro quelle ossa è da pazzi e vuoi mettere le curve giuste e il rotolino e tutti i crismi al loro posto? E poi sono invidiose dei vestiti; quelli delle altre sono sempre più belli, e spiegaglielo che è statisticamente impossibile perché se ti compri dieci magliette alla settimana sette di queste possono fare anche schifo, ma tre no (è calcolo delle probabilità, bellezza!) e fai due conti per vedere quante sono in un anno. Poi sono invidiose dei prezzi dei vestiti delle altre: quella il vestito l'ha pagato di meno, io la più cretina che ha speso di più. Tutte così le invidie delle donne. Mai che dicessero, chessò, di invidiare l'intelligenza di Tizio/a, o la libreria di Caio/a o l'emeroteca di Sempronio/a. Mai, loro invidiano cinture, borse e scarpe. Tutto il resto è noia. Per questo mi destreggio a scrivere due cose sensate sull'invidia e tutavia non ci riesco: sono un uomo e questa è una di quelle tipiche cose che noi uomini, state freschi, non capiremo mai.
So she takes a drag of a cigarette / with her head in her hands she keeps askin' why / all the bad luck comes as good love goes / she's cryin' up a river / but that river's about to run dry
Il client di posta elettronica è spietato: “hai una nuova e-mail”. Leggiamo un po', va. È lui, non ci posso credere. È il blogger clonatore, quello che mi avrebbe copiato anche il modo di tirare le sigarette se solo gli avessi concesso il piacere e l'onore di un incontro privato nel mondo reale, dove avrebbe dimostrato tutta la sua mediocrità (ricordatevi che alla voce 'superbia' ho detto che si è superbi solo con il vero). Vediamo che dice. Apri – leggi – ah, ecco: “Ho visto il tuo indirizzo IP, stamane sei venuto a farmi visita sul blog, e hai cliccato il permalink del post riguardante i peccati capitali. Siccome ti conosco, stai facendo il bastardo e mi stai infiocchettando un post di insulti (mal) celati. Attendo con ansia la lettura”. A parte che il testo l'ho dovuto copiare-incollare perché io un permalink nemmeno so come si pronuncia, figuriamoci lo spelling; e a parte che sono ormai dieci, dodici mila battute che ho stabilito, dopo una snervante consultazione di vocabolari ed enciclopedie, che si chiamano 'vizi' e tu continui a chiamarmeli 'peccati', e a me viene quasi voglia di fare file – chiudi – desideri salvare? - no! - e vaffanculo, devo dire che hai stoffa, ragazzo. Solamente che un dubbio mi penetra: è la stessa cosa che avrei fatto io? Non credo, io mica avrei perso tempo a rintracciar(mi)e l'indirizzo e-mail per mandar(mi)e una lettera un po' bruciante ancor prima che pubblicassi una sola riga. Guarda, caro clonatore, che sei fuori strada e non mi copi più alla perfezione, come cercavi goffamente di fare una volta. Dì un po', vorremmo mica fargli scrivere a quelli del Sole 24 Ore che anche in Italia i blog sono diventati strumento serio ed influente?
POSTFAZIONE: come avete avuto modo di vedere, questo saggetto-qualsiasi-cosa-vi sembri è intervallato da versi. Canzoni, per la precisione. E volendo essere ancor più pignoli, quasi al limite del maniacale, si tratta della colonna sonora che ha accompagnato la stesura del testo. Ora, potrei dirvi di chi si tratta – tre diversi nomi – ma a voi a) potrebbe non dire nulla b) potrebbe non fregare alcunché c) potrebbe stuzzicare la curiosità e, ne sono sicuro, i più sgamati tra voi indovinerebbero. Fosse per me, accenderei la 'c'. Ci provate? È narcisismo, che volete, è come sentirsi dire che “è stato bello”.