giovedì, maggio 31, 2007

le notizie delle 19:02

A caso, apro il sito di Corriere.it anziché quello di Repubblica.it, ma sono sicuro che sarebbe cambiato davvero poco. E vi troviamo, nell'ordine a) “piena fiducia del governo a Visco” secondo Vannino Chiti b) Santoro che questa sera passerà il famigerato video-denuncia sui preti pedofili c) il ministro della salute Livia Turco con l'ennesima minaccia: “vietiamo la vendita di sigarette ai minori di 18 anni”. Così, en passant:

a) Non poteva che essere altrimenti, se il Governo non dimostrava fiducia - “piena fiducia” - al viceministro dell'Economia Visco, succedeva il pandemonio – se esiste un grado di pandemonio maggiore rispetto a quello che già c'è. In sostanza, l'ennesima truffaldina dichiarazione di ministri e politici della maggioranza, molti dei quali – e non solo tra il partito di Di Pietro – vorrebbero vederci un pelo più chiaro su questa oscura faccenda e non la ritengono una stronzata solo perché scoperchiata da Il Giornale della famiglia Berlusconi.

b) Qualcuno tra di voi credeva forse che Santoro e i suoi degni compari Vauro e Marchino Travaglio non mandassero in onda, ad Annozero, l'ormai celebre filmato? Suvvia, non siamo ipocriti. E' il solito circo di Micheluzzo: mandare in onda qualcosa giustificandola con “domanda di informazione” e darla in pasto a quelle persone che hanno vissuto su Marte nelle ultime due settimane, ergo non sono a conoscenza delle fandonie pronunciate da quel video della Bbc – e pure da altri scodellati sempre dalla trasmissione inglese Panorama – ed ora si berranno l'intero contenuto come oro colato. Certo, in trasmissione ci sarà Mons Rino Fisichella – che come tutti i Mons. sta sul cazzo a molta gente. Nessuno dirà loro che uno studioso serio come Massimo Introvigne non sarà più tra gli invitati, dopo esserlo stato fino a qualche giorno fa, per oscure cause di “casting”. E ancora una volta chi ha gli strumenti giusti per sbugiardare sia il filmato sia chi lo mette in onda è lasciato alla porta. Arrivederci e grazie, a Michele il contraddittorio sta sui coglioni.

c) Fenomenale Livia Turco. Ogni volta che c'è da inzupparci il biscotto, lei è sempre tra i primi. Che si tratti di alcool o di droga o di tabagismo, non ha importanza. Quando capita qualcosa, lei ha la dichiarazione assurda bella pronta per essere scodellata. Dopo voler mandare i Nas nelle scuole – ma, scusate, chi ha innalzato il quantitativo minimo di droga che ciascuno può possedere? - ora è giunto il momento di vietare la vendita di sigarette ai minori di anni 18. Sigarette che fanno male, per carità. Sigarette che però già hanno vendita vietata ai minori di anni 16, e quindi le considerazioni possibili sono due: o chi ha più di 18 anni è più stronzo di chi ne ha 16 e quindi gli è permesso uccidersi, oppure è una proposta che non si regge da sola, perché a 16 anni – volendo – si può fumare senza che il fisico ne risenta più che a 18 anni. Tertium non datur. O forse sì, basterebbe consultare il dizionario alla voce “liberticida”, leggere la definizione e poi applicarla a “Livia Turco” e, in seconda istanza, a “Governo”. Anche qualora c'entrasse una direttiva dell'Oms

Ci sarebbe poi una quarta notizia: secondo uno studio del Cnr nell'aria di Roma ci sono tracce di cocaina e cannabis. Ma poco s'intona con la notizia di cui al punto c).

meglio che non si sono impiccati. Però...

Marco Travaglio, nella sua para-rubrichetta dal titolo “Uliwood Party” [l'Unità 30.05.200], che tanto provoca fastidi al direttore Antonio Padellaro e tanti ne ha procurati al precedente Furio Colombo, racconta la storia del ministro dell'agricoltura giapponese Toshikatsu Matsuoka il quale, coinvolto in uno scandalo finanziaro, si è tolto la vita (“in pieno parlamento”, fa notare maliziosamente il nostro) perché con ogni evidenza non riusciva a sopportare la gogna mediatica che il suo caso gli ha scatenato contro e che sempre con ogni evidenza gli ha impedito di scontare la sua pena di personaggio colpevole. Nel raccontarlo, il Travaglio, fornisce una serie di fatti simili successi in Italia, per lo più ai tempi di Tangentopoli, e che continuano a vedere i personaggi allora coinvolti parte del gioco politico italiano. Molte sono le cose che non si capiscono dell'articolo. E non mi riferisco alla ormai consueta attitudine giustizialista-forcaiola – più la seconda che la prima – del giornalista che si dichiara uomo di destra liberale ma che scrive sul giornale che fu del Partito Comunista Italiano e che ora non si capisce bene a cosa faccia riferimento. Non si comprende, ad esempio, perché la rubrica, che in opposizione alla ora defunta e (contro)berlusconiana Bananas, dovrebbe occuparsi dei problemi interni allo schieramento cui ora Travaglio – uomo di destra, “liberal-conservatore fino a quando i conservatori in Italia erano rappresentati da Indro Montanelli – fa riferimento, séguita a parlare invece di uomini in forza al centrodestra. Uomini come l'ex socialista Paolo Scaroni, ex manager di Techint, coinvolto in Tangentopoli per il pagamento di una tangente all'Enel e poi eletto nelle file di Forza Italia; o del neo-confermato sindaco forzista di Asti, Giorgio Galvagno, il quale nel 1994 fu arrestato per uno scandalo riguardante lo smaltimento di rifiuti tossici in alcune discariche. Dice Travaglio che lui, certo, una fine come quella del giapponese non la augura a nessuno e, anzi, lui si accontenterebbe che i Matsuoka nostrani “vivessero cent'anni, ma a casa loro, lontano dal denaro pubblico”. Ovviamente il caro Travaglio non fa riferimento a pene scontate – solo a schifati “patteggiamenti”, che vogliono comunque dire ammissione di colpa – o ad eventuali innocenze. No, lui per quanto condanni il gesto del suicidio – pur ricordando in tono semi-trionfale che 15 anni fa è “capitato che qualche personaggio coinvolto in Tangentopoli si togliesse la vita” - fa pur sempre un paragone tra l'esempio giapponese e quello italiano. Il sottinteso è che forse era meglio si ammazzassero, se le conseguenze sono che i personaggi allora coinvolti ora facciano ancora parte della politica italiana. In Forza Italia, per di più.

Quattro salti qua e là nella blogosfera, e mi imbatto nel blog del direttore di Vanity Fair. Cioè, non un blog vero e proprio ma più un'appendìce della rubrica delle lettere del suo giornale, solo con domande – e risposte – molto più personali. Autoreferenziale da far schifo, più per colpa delle domande dei lettori curiosi che per altro. Ma perciò anche incredibilmente irresistibile.

mercoledì, maggio 30, 2007

Io e te, figli delle musicassette, che anche se non so cosa vuol dire, mi piace.

Non si dovrebbe mai rendere pubblico il contenuto delle lettere private, anche quando in queste non si dice nulla che stia al di fuori di un semplice scambio di battute, di quelli che potrebbero essere allargati a tutto l'universo mondo. Quindi mi perdonerà un mio caro amico, e in subordine mi perdonerete voi, cari lettori, se mi permetto di riportare qui la chiusura di una e-mail che mi ha mandato ieri sera: “D'altra parte io e te siamo due nostalgici, basti vedere che compriamo ancora i dischi originali, figli delle musicassette quali siamo”.

Dunque, carissimo, io e te compriamo i dischi originali, e ci mancherebbe altro. D'altronde le vicende burrascose che stanno intasando la tua – e poi la mia – casella di posta elettronica di questi giorni stanno proprio lì a dimostrarlo: mica per niente compriamo i dischi originali, noi; facciamo anche di più: non consideriamo il bene 'musica' come un qualcosa di gratuito, come un servizio che un'entità – lo Stato? - ci rende in cambio del pagamento delle tasse. Noi alla musica portiamo rispetto, e dunque anche a chi la musica la produce, e qualora ci venisse – più a te che a me – in mente di metterci ad organizzare un concerto così, partendo dal nulla, non chiameremmo mai – sempre in nome del rispetto per la musica di cui sopra – a suonare nel nostro cortile i nostri amici. Né tantomeno arriveremmo a pagarli, perché se siamo fessi noi a chiamarli e loro ad accettare, c'è sempre il fattore “amicizia” sullo sfondo, comprendente quindi anche uno scambio – si spera reciproco – di stima che vada oltre un mero compenso economico. E se decidessimo di chiamare qualche nome di quelli forti – oddio... - non staremmo lì a trattare sul prezzo: o ce li possiamo permettere, perché magari abbiamo alle spalle qualche sponsor, oppure molliamo il colpo e ci rivolgiamo altrove o ci teniamo quel che c'è, compreso il niente. Metterci lì a fare le trattative come con i cinesi che in corso Buenos Aires ti fermano per venderti calzini di scadente qualità - “puro filo di Scozia”, dicono pure – è quanto meno deplorevole e umiliante. Per noi e per loro: noi che quel rispetto per la musica dimostreremmo di non averlo, loro che di mestiere fanno quello e devono campare, e fare i musicisti richiede impegno e serietà e mai ci sogneremmo di pensare che suonare è un lavoro meno lavoro di – chessò – fare il ciabattino. Tu quando porti le suole a risuolare il ciabattino lo paghi, non pretendi il servizio gratis; e se pensi che questo voglia troppi soldi le cose sono sempre due: o ti rivolgi altrove, o ti tieni i buchi sotto i piedi – vedi che tutto torna, ad utilizzare le metafore?

D'altronde noi non abbiamo mai, e dico mai e spero mai, rubato nulla a nessuno. Spendiamo i nostri bravi soldini e poi ce ne stiamo zitti e impariamo cosa vuol dire rispettare una persona – ché anche l'artista lo è, pienamente -, senza sognarci nemmeno lontanamente di rubare il frutto del suo duro lavoro. Noi, però, “figli delle musicassette”, non altri, che figli delle musicassette non lo sono mai stati e sono passati dal 33 giri direttamente all'mp3, anche di scarsa qualità, l'importante è “che non sia rovinato, perché cazzo non è possibile scaricare roba che salta e vaffanculo devo star lì tutta la notte e pure l'hard disk insomma ne ho già fritto uno”.

Ecco perché ti scrivo questo, caro amico mio. E poi perché quell'essere “figli delle musicassette” non so sinceramente da dove l'hai tirato fuori, ma almeno per farmi perdonare di questa specie di filippica delle mie ti metto questo link – che magari serve anche a tutta la comunità, motivo per cui queste righe le pubblico qui e non te le mando in privato, sapendoti comunque mio appassionato – e paziente – lettore. È un articolo tratto dall'Independent – ultimamente per leggere qualcosa di sinistra senza che mi venga la nausea mi sono dato alla stampa estera – ed è proprio bello, semplicemente. Tra l'altro quando è uscito, nel giro di due giorni l'hanno ripreso anche un paio di quotidiani nostrani, cercando di far credere che l'idea fosse venuta a loro – ma, al solito, il risultato è stato una cazzimma tale da non crederci.

martedì, maggio 29, 2007

Facciamo in questo modo: io vi metto il link, voi ve lo comprate e poi mi scrivete due righe per farmi sapere cosa ne pensate. Spassionatamente – come il mio consiglio e la vostra risposta.

Revisionismi Independenti

Quando la mattina del 18 marzo scorso i lettori dell’Independent si accingevano ad acquistare la loro consueta copia dell’edizione domenicale, non sapevano dello shock che li attendeva all’edicola. Quel giorno infatti il quotidiano inglese titolava a tutta pagina: “Cannabis, an apology”. Cannabis, ora vi dobbiamo delle scuse. Se infatti 10 anni prima il quotidiano più liberal (e libertario) di tutto il Regno Unito aveva portato avanti un’imponente campagna per la liberalizzazione o almeno la depenalizzazione delle droghe leggere, ora crede che sia giunto il momento di offrire ai propri lettori delle scuse. Il motivo di tutto ciò è semplice: le canne che i giovani fumano al giorno d’oggi non sono le stesse che si fumavano 20 o 30 anni fa. Mentre prima si trattava di innocua erba, un po’ di sballo tutto sommato sano, oggi viene inalato nei polmoni di ragazzi sempre più giovani il terribile skunk, pianticella ricavata da semi geneticamente modificati, selezionati per genere (solo la pianta femmina contiene il principio attivo) e poi incrociati tra di loro. Se non addirittura coltivati in serre a raggi ultravioletti o innaffiati con liquidi nei quali vengono preventivamente sciolti acidi. Il risultato sarebbe un potenziamento di oltre 25 volte del delta-9-tetraidrocannabinolo (thc), il principio attivo della cannabis. Le scuse sono ben motivate da Jonathan Owen, il giornalista che firma il reportage di copertina del quotidiano: “nel 1997, mentre questo giornale chiedeva la depenalizzazione, milleseicento persone erano in cura per dipendenza da cannabis. Lo scorso anno sono diventate ventiduemila”, di cui più della metà ragazzini sotto i 18 anni. Nel settembre del 1997 l’allora direttrice dell’edizione domenicale, Rosie Boycott, firmava un editoriale dagli intenti fin troppo evidenti, intitolato “the time is right to depenalize cannabis”, mentre esattamente un anno dopo, settembre del 1998, radunava a Hyde Park uno stuolo di persone per supportare l’uso terapeutico delle droghe leggere; in suo soccorso la solita parata di vip: da Paul McCartney a Peter Grabriel allo scrittore Nick Hornby (anche se Rob Fleming in “Alta Fedeltà” ogni giorno acquista la sua brava copia del Guardian, diretto concorrente dell’Independent). Ora invece a dare man forte all’inchiesta dell’Independent “redento” c’è anche il London Institute of Psychiatry il quale, in un suo recente studio, afferma che continuare a paragonare il nuovo skunk con il vecchio hashish è quanto di più sbagliato e diseducativo ci possa essere, dal momento che l’uno sta all’altro “come il whisky alla birra”. Le conseguenze fisiche per i giovani sarebbero mancanza di entusiasmo, aumento del sonno direttamente proporzionale alla perdita di voglia di vivere, oltre ai sempre più frequenti e preoccupanti casi di schizofrenia giovanile.

Ma la strana voglia di revisioni dell’Independent non si ferma di certo alla cannabis. Ultimamente sul quotidiano inglese ci è capitato di leggere di tutto, e sempre su toni molto sconvolgente per il suo classico pubblico progressista. In un editoriale del 4 maggio a firma del columnist Dominic Lawson troviamo scritto che in Inghilterra esistono ancora moltissimi medici che si rifiutano di praticare aborti e la cosa, se fino a qualche anno fa avrebbe portato a sicuri sberleffi, ora è giustificata in nome di “ottime ragioni morali”. Già, morali, un termine invero un po’ bacchettone che nessuno si aspetterebbe di leggere su quelle autorevoli colonne libertarie. E l’articolo prosegue affermando che abortire “non è certamente una cosa glamorous o sexy; non è come togliere calli. Nessuno si vergognerebbe di dire ai propri amici che toglie calli per vivere, e c’è una ragione per questo: non è come fermare un cuore che batte”. Per avere una prova di quanto clamore possano aver suscitato tali affermazioni nei lettori inglesi del quotidiano più classicamente indipendente da qualsivoglia legame politico, pensate se in Italia le stesse cose le avesse scritte il manifesto e poi immaginatevi la reazione dei suoi lettori. E per il povero acquirente sopravvissuto a tutto questo revisionismo dilagante, a tutto questo ritrattare posizioni difese con la spada fino a qualche anno fa, si passa ad attaccare il kit recentemente acquistabile nelle farmacie del Regno Unito e che promette di svelare il sesso del nascituro dopo soli 6 settimane dal concepimento, in tempo perfetto per un ripensamento. E infatti la sentenza del quotidiano è chiara: “favorisce il ricorso all’aborto”. Selettivo, s’intende, perché non c’è nessuno che ritenga terapeutico voler appendere sulla porta di casa un fiocco rosa anziché azzurro, giusto?

Certo, capita ancora di leggere su l’Independent qualche sana battaglia liberal, come è successo l’8 maggio scorso a favore dell’eutanasia. Una siringa enorme campeggiava in copertina, piena di un veleno color violaceo, e il titolone a nove colonne dichiarava il “the right to chose death” – il diritto di scegliere la morte. L’editoriale di introduzione cominciava così: “il numero dei malati terminali che dalla Gran Bretagna vanno a concludere la loro vita nelle cliniche svizzere lo scorso anno è raddoppiato”, per poi proseguire all’interno del giornale con l’inchiesta vera e propria, nella quale si spiegava come “la legge trasformi persone disperate in criminali”, essendo l’eutanasia considerata dalle corti britanniche al parti dell’omicidio, e dunque punibile con l’ergastolo.

Noi, che consideriamo la testata come una delle più interessanti del Regno Unito, nel frattempo ci riserviamo di dare un nostro giudizio ben compiuto tra una decina d’anni, quando probabilmente l’Independent avrà ritrattato anche questa sua posizione, perdendo i vecchi lettori ma guadagnandone di nuovi. Ci attendiamo, ovviamente, anche George W. Bush in copertina, rivalutato dai posteri con il seguente titolo: “ti demmo dello stupido, ma ora hai vinto la guerra”, perché al meglio non c’è limite.

L’impressione è che questi continui voli pindarici, come nel caso di cannabis e aborti, uniti alle battaglie condotte in nome di una “morte dignitosa” e di un’invidia per le cliniche svizzere, sia il segnale tangibile di come non basti superare legalmente certe questioni – pensiamo all’aborto, legale nel Regno Unito da quarant’anni – poiché continueranno a tenere banco nei dibattiti etici, dimostrandosi argomenti che poco hanno a che fare con la legislazione e molto con la morale. Proprio come dice l’Independent.

[una cosa per un’altra cosa. Ma perché – mi son detto – non testarla?]

lunedì, maggio 28, 2007

Non c'è crisi della politica, c'è crisi a sinistra.

Nessuna crisi della politica. Fantasmi del 1992, caste varie e assortite, paure espresse dai principali leader politici del paese: tutte cose facilmente rubricabili sotto la voce “cazzate”. La crisi della politica, se proprio vogliamo trovarla, non sta nell'insieme bensì solo a sinistra. Una crisi che attanaglia il governo insipido, insignificante ed inutile dell'Unione, e che si ripercuote nel rapporto con i cittadini. Inutile cercare di tirare fuori fantasmi buoni per ogni occasione, e nascondere i propri difetti. Ormai le elezioni amministrative stanno giungendo al termine, e i verdetti iniziano ad essere noti e a pesare come macigni. Il nord Italia si è ribellato a quello che il Cav. giustamente chiama “governo delle tasse”, e tutti i suoi principali protagonisti da Prodi a D'Alema passando per Bertinotti dovrebbero iniziare a prenderne atto, anziché trincerarsi dietro dichiarazioni circa un presunto buono stato di salute – o non buono, come nel caso di Bertinotti, il quale però ha dato la colpa, ancora, a questa presunta crisi della politica.

La crisi della sinistra sta al suo interno, tutti la vedono ma nessuno vuole fare qualcosa per risolverla, molto meglio far finta che non esiste. Molto meglio ignorare che la sinistra radicale, vergogna del paese e unica al governo nelle democrazie occidentali, tiene in scacco chi vorrebbe fare le riforme; molto meglio ignorare che Prodi è un Presidente del Consiglio che conta nulla o poco più, e lui è il primo ad essere consapevole di ciò ma anche il primo a tenere questo viale del tramonto lungo, lunghissimo, rimanendo ancorato alla sua sedia per chissà quanto ancora. Molto meglio ignorare che il loro futuro, il Partito Democratico del Compromesso Storico, è un progetto nato male, peggio abortito. Un progetto senza arte né parte, un progetto di rinnovamento che come unica novità ha finora previsto il rientro dalla finestra di un personaggio come Angelo Rovati e la disattesa di tutte quelle che erano le premesse, ovvero un partito giovane, con un leader nuovo e una storia nuova. Niente di tutto ciò, perché fino ad oggi si è dimostrato la somma perfetta di tutto il peggio che sta nella sinistra post-comunista e post-democristiana, ensamble di persone trite e bollite e per rendersi conto di tutto ciò bastino due cose: il non voler trovare una persona da mettere a capo e lasciare questo compito ad una non meglio precisata assemblea costituente della quale basta scorrere i nomi dei partecipanti – più di 40, zero giovani con buona pace di Luca Sofri e dei suoi appelli – per sentire odore di stantìo.

Ecco perché se di crisi vogliamo parlare, dobbiamo tenerla circoscritta al centrosinistra e ai suoi problemi. Di oggi, e che sono gli stessi di ieri, quando fior di persone si sono messe a spiegare alla gente che è inutile, anche a votarli questi faranno solo casini. Eccovi accontentati, ora vi dicono che c'è disaffezione tra la gente e la politica.

Me is making me sick

Lo scrivo solo per dire quanto mi fa schifo. E quanto, in subordine, mi faccio schifo io. Per cosa?, vi chiederete. Per una questione semplice semplice. Avrete tutti presente quel fatto di cronaca nera successo un paio di giorni fa in provincia di Perugia, nel quale una donna e il figlio che portava in grembo sono stati barbaramente assassinati durante una rapina. O, meglio, forse prima della rapina. E forse nemmeno sono stati uccisi, bensì alla signora è capitato uno “stress cardiocircolatorio”, quasi che pronunciare la parola “infarto” sia diventato un tabù. O forse ancora no, è stata soffocata. Bene, perché mi fa schifo la cosa e in subordine mi faccio schifo io? Perché ora le indagini si sono concentrate sul marito, pare che all'interno della sua Opel Corsa e nel garage dell'abitazione siano state trovate macchie di sangue; e i vicini di casa dicono che le liti erano frequenti “e non volavano solo parole”; e poi l'ora del decesso risulterebbe anteriore all'uscita di casa di lui per andare a lavorare nella sua lavanderia. Ecco perché mi fa schifo. Perché ora giustamente il marito dice che è “scandaloso” concentrare le indagini su di lui; giustamente perché in fin dei conti un po' assurdo potrebbe sembrare e poi perché in questo caso – complici i media – si apre la ditta italiana della “gogna mediatica & co.” specializzata nell'accusare persone prima che queste vengano giudicate dalla giustizia e semmai punite. Ma poi, in subordine, mi faccio schifo anche io perché fin dal primo lancio di agenzia su internet una voce interna mi ha detto che a) il marito sarebbe stato presto oggetto di indagini b) forse poteva non raccontarla giusta. Per dire, la stessa voce che mi diceva che le maestre di Rignano erano solamente delle vittime, che le indagini là condotte puzzavano di farsa e di costrizione nei confronti dei piccoli bambini per ammettere forzatamente cose che possono non essere successe.

domenica, maggio 27, 2007

stra-cult

Da qualche giorno è in rilancio nella mia zona questo quotidiano, via di mezzo tra il mai troppo rimpianto Cronaca Vera e un tabloid ultra-popolare, comprato dalle parrucchiere che solo a leggerne i titoloni strillati se ne vanno in brodo di giuggiole. E come dare loro torto, vista la copertina dell'edizione di questo weekend. Il costo va di pari passo con le notizie: 20 cent.

ipnosi da battimento

Ho un computer esattamente alla mia destra, e l'altro esattamente alla mia sinistra. Le ventole del sistema di raffreddamento di entrambe le macchine sono accese. Ed entrambe le macchine hanno la stessa ventola, essendo esattamente identiche nelle loro configurazioni. Dunque il tessuto frequenziale del rumore prodotto dalla ventola è pressoché lo stesso in entrambe le macchine . Pressoché, non esattamente identico, per ovvi motivi di fabbricazione: si producono due ventole che hanno lo stesso fine – quello di mantenere il computer fresco – ma non con le stesse precise caratteristiche fisiche; e sono collegate ad un motorino che le deve far girare in modo tale da poter perseguire l'obbiettivo di raffreddare i circuiti interni del computer, non di produrre un particolare rumore. Perciò i due tessuti frequenziali sono simili. Incredibilmente simili, ma non identici: ci sarà la differenza di qualche Hz tra le due fondamentali e le successive armoniche, e tenendo conto che è un rumore assimilabile al rumore bianco, il discorso si fa sempre più complicato e imprevedibile. Ma il tutto produce dei battimenti i quali, nel silenzio tombale dello studio, sono tremendamente ipnotici.

se fossi di Caracas potrei essere arrestato.

Se in Venezuela una televisione si dimostra di opposizione, forse prende qualche soldo dagli americani, e passa cartoni animati e film quando parla Chavez viene chiusa. Per legge. [e la sostituisce con un'altra, gestita dai suoi sgherri]

tra Tizio e Caio mettici in mezzo Mila

Avendo buon gioco nel considerare il fenomeno del “Glam Metal”, qualunque cosa esso voglia dire, come un fenomeno di ideologia sociale, pur nella consapevolezza di azzardare l’espressione, si vuole facilmente dimostrare come certe considerazioni realizzate per la musica colta o comunque non “popular”, possano essere tranquillamente applicate anche a fenomeni di sottoculture giovanili recenti.

Partiamo dalla distinzione che il musicologo Massimo Mila compie tra quella che lui definisce “volontà espressiva” e l’“inconsapevole espressione artistica”: quest’ultima fondamentale per poter definire un’opera come “d’arte”, a differenza della prima del tutto facoltativa, non fondamentale, legata alla inconsapevole espressività di ciascun artista dallo stesso rapporto che intercorre tra essenziale ed accessorio. Fatta questa premessa, applichiamola al campo delle ideologia sociali: sempre secondo l’analisi di Mila, a chiunque può essere commissionata un’opera, o chiunque la può eseguire di sua iniziativa, applicando solamente una volontà espressiva per altro rivolta a precisi e determinati scopi, onde ottenere una sorta di artificio musicale con il quale identificarsi forzatamente in un’ideologia o scimmiottare la stessa per futili motivi di propaganda (tradotti nell’economia musicale in una facile presa presso un pubblico o in una facile scalata di classifiche proprio quando è quell’ideologia sociale – identificabile in uno stile, in un genere, in una corrente, in una sotto cultura – a dominare il mercato). Questa l’operazione facile, ma l’opera creata non avrà valore artistico alcuno, dal momento che manca del tutto la condizione essenziale – l’inconsapevole espressione artistica – mentre è presente solo quella accessoria – la volontà espressiva. E sia detto una volta per tutte che creare un’opera d’arte ispirata ad un’ideologia non vuol dire servirsi della “scorciatoia” – nelle parole di Mila – dell’utilizzo artificioso e consapevole e truffaldino della volontà d’espressione bensì è molto più corretto percorrere la “via lunga” – sempre secondo il musicologo. Per ottenere l’opera d’arte ispirata alla ideologia occorre proprio che l’artista a questa ideologia non si ispiri bensì ne sia letteralmente impregnato, ne sia pieno fino al midollo, ne abbia fatto non solo uno stile ma anche una ragione di vita. In questo modo, e inconsapevolmente come l’essenziale espressione artistica, l’opera che si verrà a creare – sia essa una musica, una composizione poetica, un quadro – sarà naturaliter impregnata dell’ideologia sociale. Nel nostro caso, impregnato di uno stile musicale, di una corrente popolare che ha dominato buona parte degli anni ottanta.

Per creare una musicologia che finalmente si occupi di “popular music”, liberata dal tabù di non potersi occupare di musica considerata erroneamente “bassa”, bisognerà pur cominciare da qualche parte, e tuttavia chiediamo scusa a Mila se prendiamo una sua analisi e la adattiamo alle nostre intenzioni, sforzando ancora il discorso per l’ultima volta.

Dopo quanto sopra, viene naturale considerare non solo come semplice constatazione ma come perfetta analisi della situazione la dichiarazione di Doc McGhee, secondo il quale “C’è differenza tra la merda e la merda d’autore; per esempio, i Poison facevano casino perché pensavano fosse un preciso dovere delle rockstar, ma i Mötley Crüe facevano cazzate perché erano i Mötley Crüe”. L’opera dei Poison è caratterizzata dalla sola volontà d’espressione, dal solo elemento accessorio, e mancando di quello fondamentale – presente invece in buona parte dell’opera dei Mötley Crüe - non è da considerarsi come opera d’arte. Ispirata sì dall’ideologia, intendiamoci, ma nel senso di “scorciatoia”, nel senso di conquistare un pubblico non suo, di accattivarselo con ciò che voleva sentire – a mo’ di propaganda - al fine di ottenere un’oncia di successo. I Poison subivano la linea, fingendo alla gente di dettarla. Non pensiate a questa analisi come impietosa. Forzata partendo dagli studi di Massimo Mila, forse sì. Ma d’altronde anche la storia, da qualunque punto di vista la si guardi, anche da quello del fan dei Poison, mi dà ragione in tutto e per tutto.

[pubblicato qui, ma già sottoposto privatamente ad alcune persone. Se vi interessa, sotto ci stanno i commenti. Altrimenti, buona domenica.]

passato il tempo, emerge la verità

Fabrizio D'Esposito, del Riformista, dice che a Montecatini il Cav. se la vide davvero brutta, più di quanto ci hanno detto finora.

sabato, maggio 26, 2007

cambiare la home page per resuscitare un cadavere

Volete la prova definitiva del fatto che il Partito Democratico nasca morto? Eccola.

saper fare un Martini

La cosa importante è questa: non fidatevi di un bar che non ha la coppa Martini. Prima ancora di storcere il naso davanti a quei bar che si chiamano inutilmente pub, o american bar o qualche altra cazzata di questo tipo, o per attirare quanta più gente possibile a sbevazzare orribili cuba libre o nauseanti vodka-Redbull, non fidatevi di chi non ha la coppa sopra citata. Quello è il primo segno. Un bar che non sappia fare un Martini è un bar che non vale un cazzo – e da ciò si deducono quanto meno due cose: che chi non ha la coppa Martini è automaticamente incapace di fare un Martini, e che i bar che non valgono un cazzo su questa terra sono la maggioranza.

Preparare un Martini è una cosa da somari, una cazzata, anche un bambino ce la farebbe. E se a riuscirci sarebbe un bambino, non si capisce perché gente lautamente pagata, alla quale è stato insegnato il modo di preparazione di certi beveroni pieni zeppi di frutta, di roba colorata che fortunatamente ci tiene lontani da loro – si diceva, non si capisce perché baristi così esperti – si fanno chiamare barman con la stessa accuratezza con cui gli 'spazzini' ora sono 'operatori ecologici', cazzo – non riescano a mettere nel miscelatore tre parti di gin e una di Martini Dry e ghiaccio, rovesciare tutto in una benedetta coppa Martini e chiedere al cliente se come guarnizione vuole la scorzetta di limone o l'oliva. Niente, probabilmente si tratta di una cospirazione contro chi vuole bere roba semplice oppure ai baristi italiani sta sul cazzo Hemingway, perché in pochi riescono nell'impresa: la maggior parte o sbaglia le dosi – quasi sempre il Martini è troppo – o peggio ancora sbaglia il bicchiere e ti serve il liquido in coppe da vino, in bicchieri da Negroni, in bicchieri da Martini on the rocks, insomma ovunque tranne che nella coppa giusta. Di quelli che usano il Bianco al posto del Dry non vogliamo nemmeno parlare, pur essendo una buona maggioranza: imbecilli patentati, loro e i loro datori di lavoro che anziché prenderli a calci in culo in modo robusto spesso e volentieri si mostrano partner nel crimine non comprando il Martini Dry perché “tanto ce lo chiedono in pochi” - giuro, mi è capitata anche questa. E fortunatamente non ieri sera, quando alla variante del classico Martini – ma attenzione, mai in Italia chiedere semplicemente “Martini” al cameriere perché quest'ultimo inesorabilmente vi chiederà: “bianco o rosso?”; aggiungere sempre “cocktail”, aìnoi – ho preferito un vodka-Martini. Stranamente lo trovo sulla carta, ancora più stranamente gli ingredienti erano giusti, certo il nome riportato faceva ribrezzo tanto che qui non lo si vuole ripetere, ed ho deciso di concedere un po' di fiducia al locale. Bene, dopo un quarto d'ora mi arriva un bicchiere da Negroni lavato troppe volte in una lavastoviglie piena di calcare e quindi il vetro risultava essere tutto opaco; colmo di ghiaccio e con dentro vodka la più scadente che c'era al Lidl e Martini Bianco di pessima imitazione. Li avrei presi a calci nel culo, ma è il prezzo da pagare per essersi fidati di un posto dove la musica era troppo alta, i camerieri arroganti e la coppa Martini assente.

venerdì, maggio 25, 2007

[telegramma] a volte ritornano

Ho sentito la nuova Bon Jovi. Stop. Country un cazzo, vogliono solo vendere. Stop. Comunque fa schifo. Stop.

giovedì, maggio 17, 2007

trentacinque anni fa...

sabato, maggio 12, 2007

un paio di cose sul paio di piazze

Per quel poco che ho visto, non posso dire granché. Piazza San Giovanni era stracolma, al contrario di Piazza Navona che era sì piena, ma che soccombeva sotto i numeri del Family Day – 1 milione e mezzo di persone e anche se lo dice Pezzotta che è pur sempre un sindacalista e forse la questura dirà un po' di meno, comunque è una cifra impressionante. E per quel poco che posso dire, ecco, per quelle due considerazioni che potrei fare, leggete quanto segue. Al Family Day se la sono cantata e se la sono suonata, così come a Piazza Navona, e fin qui dunque nessuna differenza, ciascuno tira l'acqua al proprio mulino, e le manifestazioni sono quegli avvenimenti che per forza di cose se la cantano e se la suonano. Non potrebbe essere altrimenti. Ma Piazza San Giovanni se l'è cantata e suonata senza le bandiere di partito. Certo, presenti molti leader politici che potrebbero portare qualcuno ad indicare in un mero interesse di Palazzo l'intero scopo della manifestazione. Ma a Piazza Navona si vedevano solo bandiere politiche, o di associazioni legate ai partiti politici molto più di quanto lo possano essere – ad esempio – le Acli.

Poi, a Piazza San Giovanni c'erano sorrisi, c'era clima di festa – o almeno questo è quello che è trapelato dalla televisione, con Sky che faceva la spola tra le due piazze. Alla manifestazione di “Coraggio Laico” il clima di festa era un po' nascosto, e sinceramente sembrava prevalere un certo qual rancore, una voglia di farsi sentire non del tutto positiva, sicuramente dettata dalla contemporaneità delle due manifestazioni e quindi anche un po' voluta, dal momento che vanno bene gli anniversari, i trentennali e i discorsi di Pannella previsti per le dieci di sera proprio come quella volta là. Ma l'impressione è stata quella di un raduno tra politicanti, di un corteo tirato in piedi alla bene e meglio con l'unico scopo dichiarato di rompere le palle a Piazza San Giovanni – e qui mi chiedo: se fosse successo il contrario? Impressionante inoltre la solita parata di personaggi più o meno famosi e più o meno popular – che Pezzotta e la Roccella mica lo saranno, suvvia - in Piazza Navona, tipico di quelle idee che trovano facilmente gli sponsor ma non gli acquirenti.

Ma la vera differenza tra le due manifestazioni, ciò che ha distinto il Family Day dal “Coraggio Laico”, per quanto mi riguarda, è stata una cosa sola. Orrenda. Brutta e tuttavia facilmente prevedibile. Anzi due: Cecchi Paone, il presentatore della manifestazione laica, che dopo aver passato una vita con il centrodestra leccava di brutto la sinistra e – cosa ancora peggiore – quell'aizzare la folla a colpi di “qui ci si diverte, nell'altra piazza ci sono solo fascisti e clericali”. Quale squallore per manifestare tutto il proprio essere stizziti dai numeri – e dal seguito - che parlano da soli?

venerdì, maggio 11, 2007

telephone is ringing

Pronto”
“Hey, come stai?”
“Tutto bene, tu?”
...
“l'hai letta l'intervista a Prodi su La Stampa di oggi?”
“No, non ho avuto tempo. Cioè, pensavo di leggerla, poi ci ho provato e alla fine ho deciso che ne farò a meno.”
“Ciao.”
“Ciao.”

giovedì, maggio 10, 2007

Il sesso orale secondo il Corriere della Sera

Su qualunque manuale di giornalismo c'è scritto che solo una percentuale bassissima tra coloro che leggono abitualmente i quotidiani arriva alla fine degli articoli. Molti si fermano prima della metà, e questo è il motivo per cui un buon pezzo deve aver elencato tutte le informazioni principali circa l'argomento nelle primissime righe, in modo tale che il voltar pagina non rappresenti una sorta di compromissione della notizia. Se il lettore poi vorrà, approfondirà leggendo tutto l'articolo e – al limite – facendo ricerche personali sulla cosa.

Per come la mette il Corriere, e tenuto conto di quanto scritto sopra, praticare fellatio e cunnilingus sarebbe il principale viatico per prendersi un tumore alla gola, in quanto la possibilità di trasmissione del virus Hpv, fattore di rischio per i tumori appena citati, è molto alta. Di più, leggendo le prime righe dell'articolo che presenta una ricerca condotta al Johns Hopkins Kimmel Cancer Center di Baltimora, si apprende come chi ha avuto nella sua vita più di 6 partner di sesso orale avrebbe “una probabilità di andare incontro a un tumore da Hpv 8,6 volte maggiore rispetto agli altri”. Numeri impressionanti, se si pensa che un fumatore ha un rischio solamente triplicato rispetto a chi non fuma, e chi beve in modo pesante doppio rispetto agli astemi o ai consumatori occasionali di alcool.

Uno potrebbe fermarsi qui, disgustato per la cosa, e iniziare a fare il conto di quanti sono stati i suoi di partner di sesso orale nel corso della vita, numerandoli con le dita incrociate pur nella consapevolezza che difficilmente sono stati meno di sei. Basterebbe però continuare a leggere l'articolo in questione per capire una cosa semplice – o forse due: che l'autrice del pezzo non ha studiato su un buon manuale di giornalismo e/o che la notizia non sarebbe stata letta o cliccata senza quel titolo catastrofista: “Sesso orale a rischio tumore”. Dalla seconda metà del pezzo in poi, infatti, si legge che il virus Hpv lo si può contrarre “anche con un bacio”, seppur questo caso non sia stato preso in considerazione dai ricercatori di Baltimora. O ancora, con “il contatto della pelle” e che esso risiede in tutti “i liquidi del corpo”. E più sotto si afferma che “Il virus è ubiquitario: si ritiene che una buona fetta della popolazione mondiale, uomini e donne indifferentemente, si infettino nel corso della vita, ma nella maggior parte dei casi l’infezione si risolve con pochi sintomi. Soltanto alcune persone che si contagiano con certi ceppi di virus cosiddetti ad alto rischio, come per esempio l’Hpv 16, possono ammalarsi seriamente”.

Se tanto vi dà tanto, val la pena continuare a darci dentro.

lunedì, maggio 07, 2007

quando la matita bicolore funziona che è una meraviglia

[il primo maggio in piazza San Giovanni a Roma, proprio quando una miriade di persone si accingeva ad assistere a quella cosa indefinibile e con sempre meno successo di pubblico e critica chiamata “concertone” e regalatagli dalle tre sigle sindacali, Mario Segni mentre raccoglieva le firme per il referendum sulla legge elettorale è stato aggredito da un gruppuscolo di stronzi. La cosa da queste parti è stata subito considerata talmente una coglionata, una vigliaccata, un'insensatezza per un paese come l'Italia, che non si è voluto commentare il fatto: qualsiasi cosa avrei scritto, sarebbe stata inutile, banale e scontata. Poi succede che con un paio di ore di tempo mi vado a ripescare alcuni articoli dei quotidiani dei giorni scorsi, quelli con il titolo contrassegnato da un bel cerchio rosso fatto con la matita bicolore – piccolo vezzo che mi concedo quando voglio rimandare ad una lettura maggiormente approfondita, o semplicemente sul momento non ho tempo. Bene, ieri l'occhio mi è caduto su un gran pezzo a firma di Francesco Merlo, “quell'assalto al disarmato professor referendum” [la Repubblica, 04.05.2007, pag.1], il quale fa una sintesi perfetta di quanto è successo e un'analisi quasi interamente condivisibile – e il “quasi” è per via di una qualche sottigliezza che non mi sento di sottoscrivere. Scopro poi stamane, tra l'altro, che Il Foglio lo ripubblica sul suo numero del lunedì, a pagina 1, al posto del consueto editoriale dell'elefantino, con il titolo molto più eloquente di “Bertinotti, vergognati”. La lettura è talmente consigliata a tutti voi che vi risparmio di andare a cercare nell'archivio di Repubblica.it, o in quello della rassegna stampa della Camera dei Deputati, o nel cestino dei rifiuti del vostro studio. Eccolo, qui sotto in tutto il suo splendore – poi non ditemi che non vi voglio bene.]


Seppelliti dagli strepiti per una violenza, pretesa e virtuale, contro il Papa, abbiamo tutti colpevolmente messo la sordina alla violenza, reale e fattuale, del Primo Maggio: quella contro il disarmato e disarmante Mario Segni. Eppure, l'aggressione fisica, in piazza san Giovanni a Roma, al più mite degli italiani; il raid dei giovani di Rifondazione contro “l'uomo delle firme”. L'assalto al mansueto Professor Referendum è una campana che dovrebbe suonare per tutto il Paese, perché è una di quelle violenze contro l'inerme e l'innocente che hanno segnato la parte più odiosa della storia d'Italia. Ancor più strano è questa aggressione, carica di simboli e significati, sia invece, nel migliore dei casi, finita tra le notizie brevi, raccontata come una bizzarria del festoso primo maggio e non come una violenza politica ispirata da una politica della violenza.

È vero infatti che la violenza è sempre riprovevole, ma diventa orribile quando si accanisce contro un vecchio filosofo (Gentile) o quando bestialmente si rovescia su un intellettuale armato solo di critica (Gobetti). Certo, qui siamo, grazie al cielo, ben lontani dall'esito letale, dall'omicidio; qui alla fine nessuno si è fatto veramente male. Ma l'aria di famiglia è la stessa. C'è infatti la stessa intolleranza: “Ehi, Segni, questa piazza è nostra, tu non puoi starci”; c'è la viltà dei tanti contro i pochi: “Cosa ci fai tu, democristiano, tra le nostre bandiere?”; e, ancora, c'è la ferocia dei giovani contro il vecchio, e poi gli spintoni, le mani che si alzano per colpire, i bastoni, i tavoli rovesciati, le carte stracciate e le firme sottratte, una folla di altri giovani ostili che si gode lo spettacolo, l'odio per chi ha un pensiero diverso dal tuo: “Cacciamo via questo qualunquista”. Ecco: del fascismo quel che non ci piace non è il sistema delle corporazioni, ma questo, è la viltà.

Gli aggressori sono estremisti di sinistra, “sicuramente erano militanti di Rifondazione” conferma Mario Segni. Insomma erano giovani comunisti che ovviamente sono scappati e che davvero sembrano usciti da una drammatica parodia delle squadre fasciste, aizzati come fossero dei cani contro un uomo che da venti anni coltiva il sogno di cambiare la sostanza degli italiani cambiando la loro forma elettorale. E che adesso, dopo essere diventato nonno, invece di fare il referendario in pensione, e magari anche il padre della patria, è di nuovo per strada a raccogliere firme, a fare cioè la cosa più ingenua che si possa fare in politica, che è rapporto di forze, è potenza.

Picchiare un uomo così, un professore che lavora sullo spirito, sull'immaginario, sull'idea ossessiva che la cultura diventi il pane della politica, che il codice della cultura possa essere applicato alla politica; picchiare, insomma, Mario Segni è la prova definitiva che non ci sono più tra di noi, come negli anni di piombo, ragazzi che si trasformano in criminali della politica perché ubriachi di politica, ma solo ragazzi ubriachi che fanno politica.

Perciò la sera del primo maggio ce li immaginiamo, questi giovani aggressori di Mario Segni, mentre festeggiano all'osteria, come facevano i “bravi” manzoniani e come facevano appunto gli squadristi che picchiavano i professori, i sognatori, i deboli e poi, via, al bordello, a brindare per ogni testa che avevano spaccato. Quelli, che erano gli arditi di Mussolini, almeno avevano l'abitudine di tenere il mento in su, mentre questi che dicono di essere i comunisti di Bertinotti quando occorre usano il passamontagna.

È vero che Bertinotti ha scelto la non violenza e che “fa l'indiano”. E però, prima dell'aggressione, ha detto ai suoi militanti che “il referendum mina le basi della democrazia” e, solo dopo l'aggressione, ha spiegato loro che “la raccolta delle firme deve comunque essere garantita”. Prima ha detto una cosa sconsiderata, ben più sconsiderata e violenta delle battute sul Papa pronunziate dal presentatore Rivera sul palco del primo maggio, e solo dopo Bertinotti ha parlato come il filosofo scalzo, quello consegnato al recente ispiratissimo libro La città degli uomini. Prima ha armato ideologicamente gli anfibi dei suoi ragazzi e poi ha fatto il saggio gandhiano.

Ma si può ancora accettare questo gioco con la verità, con le due verità, con l'ossimoro, con il nicodemismo? Ed è possibile che gran parte della cultura e del giornalismo italiani debbano ritenere insignificanti tutto questo e indignarsi invece perché un sedicente comico, senza fare ridere, ha stanato l'arroganza dell'Osservatore Romano? Chi è stato più comico: il presentatore Rivera o l'Osservatore Romano?

Qualcuno dice che anche questo altro referendum di Mario Segni sia, politicamente parlando, molto importante. E, certo, Rifondazione ha tutto il diritto di pensare che un sistema maggioritario vada evitato e che bisogna invece continuare a vivere in regime di democrazia assembleare. A noi, che non crediamo più alla forma che cambia la sostanza di un Paese, ci interessa solo che è stato picchiato Mario Segni, l'uomo che incarnò per un momento l'alta illusione collettiva di trasformare tutti i politici italiani, compreso se stesso, in agili e leggeri trasvolatori, in tanti Icaro a cui attaccare le ali di cera della modernità, del mito anglosassone, della civiltà del maggioritario, dell'alternanza e della stabilità.

Gli estremisti sanno che Segni non dispone di una massa critica, che non esiste in Italia il mariosegnismo e perciò credono che si possa fare davvero a Segni quel che a Bagnasco si minaccia sui muri, perché Segni non ha clero, non ha uomini nelle commissioni, negli enti locali, in Parlamento e neppure fa paura ai giornali. Si sa: Segni è quello che ha perduto l'occasione, che è politicamente un ingenuo, che è fuori ed è oltre. Se fosse un colore sarebbe il celeste che i bertinottiani di San Giovanni considerano stinto, un blu indebolito, ma che per molti altri italiani potrebbe essere altezza, o cielo; e se invece fosse un sapore, Segni sarebbe la vaniglia, che gli squadristi di piazza San Giovanni considererebbero dolciastra indecisione e altri sobrietà e festa di nuances. Così in politica l'altra faccia dell'ingenuità e della superfluità è l'innocenza, è la pulizia.

E va bene che siamo in tempi di politica semplificatoria che, a testa bassa, non sopporta le mediazioni e le articolazioni complesse, ma i fantasmi di combattimento, gli scarti di piazza San Giovanni ci parlano di un'Italia e di un'ennesima forma di violenza che in fondo non ci aspettavamo, ma che esiste e con la quale dobbiamo imparare a convivere, come ci accade con gli incidenti stradali. La politica della violenza, che era levatrice di storia, è ormai violenza senza politica, affronto che galleggia sulla storia. Chi, come Mario Segni, l'ha subita, ci dice che “non è successo niente”, esattamente il contrario di chi, come l'Osservatore Romano, non l'ha subita.

Ma forse Segni parla così solo perché non capisce una violenza che non ha più neppure il conforto di un ragionamento politico che la renderebbe meno bruta e ingiustificata. Comunque, adesso lo sappiamo: nella nostra politica ci sono anche gli scarti di piazza San Giovanni. È come l'immondizia che non riusciamo a smaltire.

Francesco Merlo,
la Repubblica 04.05.2007, pag.1

domenica, maggio 06, 2007

Parigi, il vuoto piange e il solido ride.

[*]

Ma che dibattito è mai questo in cui Ulisse Leopoldo Pietro Ivana ecc. pongono problemi reali che riguardano tutti noi alla mercè [sic!] dei media e dei soliti onnipotenti che fanno e disfano con le loro parole in libertà, che cosa ci dobbiamo aspettere [sic!] ancora se neanche Ordine Generale ci dà un minimo di risposte non fosse altro per cortesia?Ho 24anni e sono solo.

Alberto, un lettore di ordine generale
che segue il dibattito sviluppatosi
prevalentemente
qui e qui.


Sì, su questo blog è in corso un dibattito. Segnalato da tempo e a più riprese, non accenna a fermarsi. Il che fa indiscutibilmente piacere ma, sinceramente, spesso mi domando dove porterà. Capiamoci, i dibattiti sono sempre una bella cosa. Che poi l'inizio l'abbia dato io, con un semplice post, è un valore aggiunto di straordinaria bellezza. Questo dibattito, tra l'altro, era anche alimentato da osservazioni per la maggior parte pertinenti e forse anche ben argomentate – insomma, i coglioncelli che trasformano i blog in portinerie internet a questo giro sono rimasti alla larga o, quelle rarissime volte che si sono fatti vedere, hanno subito avuto modo di notare che i loro ruttini e le loro flatulenze non erano accette come speravano.

Tuttavia, ripeto: dove porterà? Non lo so, e per questo ho smesso di farne parte da tempo, se non solo “per cortesia”, come afferma il gentil lettore. Cortesia, caro Alberto, che nemmeno sottovaluterei: perché è una cortesia nobile, da gran signore, di chi ci ha messo lo spazio, di chi ci ha messo l'idea iniziale e di chi – poi – si legge ancora ogni vostro intervento. Ma per favore, smettetela di tirarmi in ballo: c'è ancora chi mi manda le e-mail e mi chiede di far arrivare il suo messaggio ad uno dei protagonisti – una volta lui, l'altra lei – del dibattito in corso. Come ve lo devo scrivere che io al dibattito ho solo dato il via, senza nemmeno la speranza che qualcuno si prendesse la briga di rispondermi, e di tutta la storia non solo non ne faccio parte, non solo non ne voglio far parte, ma ne sono coinvolto come solo un'altra volta mi è capitato in passato quando, al mio vicino di stanza allo Sheraton, gli si era incarnita l'unghia dell'alluce del piede sinistro – o forse era il destro?

Certo, all'inizio c'è stato il rammarico per la vicenda in questione, c'è stata una qualche blanda forma di dispiacere, difficilmente arriverei a parlare addirittura di “delusione”. Ma al di là di tutto questo – parliamone, e basta – mi sono stancato di dare “anche solo un minimo di risposte” perché tutto ciò che dovevo dire l'ho già detto a suo tempo, e pure io ho i miei anni ma non “sono solo”. Perché alle seghe ho da tempo sostituito la vita – e se volete trovarci particolari riferimenti personali fatelo, ma perdete il vostro tempo perché non ce ne sono ed ogni cosa sarebbe frutto della vostra fin troppo florida immaginazione.

Inoltre, visto che sto prendendo una piega di sincerità disarmante, alle dinamiche da chat che i commenti a quei post stanno prendendo preferisco decisamente uno scambio epistolare: l'indirizzo sta lì in alto a destra e chiunque mi abbia scritto – tranne nei casi citati qualche riga sopra – ha sempre ricevuto una risposta e non solo “per cortesia”.

E poi, scusate se ho troppa considerazione di me stesso, ma io non mi sento “alla mercé” di nessuno. Né dei media, che posso adorare, che mi possono far incazzare (e succede spesso) che possono permettersi di fottermi anche un paio di ore al giorno per le loro questioni; né tantomeno dei “soliti onnipotenti” i quali almeno mi garantirebbero un lauto assegno mensile – qualora dovesse succedere – di essere alla mercé di questi, intendo – cari lettori sarete i primi a cui lo dirò. Scusate se vi deludo.

Il dibattito ora può continuare.

voglio arrivare fino all'ultima puntata, poi [forse] ne parlerò.

Del Noce dice che non chiude. E sono felice che mi dia torto.

Quel genio di Funari, con il suo Apocalypse Show, ieri sera ha fatto ascolti bassissimi per Raiuno: 12,61%. Lo segheranno, questo è sicuro. Perché in Italia non capisce un cazzo nessuno, non solo i telespettatori.

sabato, maggio 05, 2007

sensi di colpa.

Un po' stronzo lo sono. Venendo subito al dunque, senza bisogno di girarci troppo introno e cercando di togliere quel sottile imbarazzo che ho nel rivolgermi a voi, carissimi lettori, ammetto subito la mia colpa. Il perché, quello è fin troppo semplice. È una settimana – lo so, è di più, ma il contare i giorni esatti mi fa sentire ancor più in colpa – dicevo, è una settimana che non scrivo una riga sul blog – e, credetemi, a dire “sul blog” mi si velano le braccia e la schiena di una leggera patina di fastidio – non-sono-mica-una-tredicenne-io. E mi sento ancor più in colpa a farlo adesso, mentre attendo di riversare sull'hard disk un capolavoraccio di Duke Ellington che mi è costato talmente poco da farmi sentire ancor di più – come? - come uno stronzo.

Sentirsi in colpa, sì. Perché non scrivere nulla – ma proprio nulla* – per una settimana o poco più e vedere che una cinquantina di voi nonostante tutto ogni giorno hanno impiegato qualche secondo della loro vita per controllare se alle già cazzate passate avessi aggiunto una cazzata più recente – ché gli aggiornamenti qui si chiamano così – beh, è spiazzante e ti mette a disagio.

Ecco, il campanello di iTunes ha emesso la sua sentenza: il disco è stato importato correttamente, mi rimane giusto il tempo di promettervi un po' di costanza.

* da intendersi solo ed esclusivamente per queste pagine. Per il resto, tutto ok. Il saggio sta vendendo che è una meraviglia.