In risposta a questo commento:
Dunque, i formalismi li possiamo lasciare sì ai libri di scuola, che andrebbero comunque letti, dando per scontato che non si nota una gran voglia di formalità «da destra e sinistra», anche se ignoro perché la formalità debba essere una prerogativa esclusivamente politica. Però è evidente anche che i formalismi esistono, li si possono ignorare ma ci sono contesti dentro i quali vanno adottati. Chiunque scrive al Corriere, dal semplice cittadino al Presidente della Repubblica passando per tutto ciò che è nel mezzo, si deve attenere a certi formalismi: dal «caro direttore» (o formula analoga) al corretto uso della lingua italiana, all’uso di parole consone, alla punteggiatura. Capita di leggere sui quotidiani lettere scritte da professori, politici, ministri e chi più ne ha più ne metta: nessuno di questi si è mai permesso di non essere formale, di usare una terminologia scorretta o scomoda, o di dare «del tu» a qualcun altro cui magari nella vita privata e informale dà realmente «del tu». Leggere quella lettera, scritta in quel modo, mi ha sinceramente imbarazzato, perché non vedo nella sua «familiarità con le persone italiane, che gli permette di essere quello della porta accanto» un motivo sufficientemente valido per concedersi una licenza poetica, se così vogliamo chiamarla.
Può essere, poi, che la mia analisi risulti «riduttiva» e «superficiale nei contenuti». Mi si perdoni però l’arroganza – visto che tanto è concessa, no? – di sottolineare che la riduzione e la superficialità emergono nel momento in cui l’analisi non è compresa, visto che le argomentazioni alla mia tesi mi paiono sufficientemente esplicate sia nel post in questione che nel successivo scambio di commenti. Riguardo l’uso delle parolacce e delle espressioni colorite: mi si fa notare che, usandole io stesso, cadrei in contraddizione qualora accusassi qualcun altro di usarle a sproposito. Peccato che questa accusa non l’ho mai formulata, nemmeno contestando l’uso di sproloquio in una lettera indirizzata al Corriere: «per tacere delle parolacce brutte non perché tali ma perché male usate», mi pare di aver scritto. Ergo, il linguaggio colorito sta tanto in ambito informale quanto in ambito formale, con l’eccezione di capire quando nel secondo caso è opportuno o meno adottarlo.
Quanto all’uso del «tu» che anche io farei sul blog: non nego la cosa, perché ne ho scritte talmente tante da potermi anche sbagliare di grosso, ma faccio notare che Ordine Generale non è il Corriere della Sera, e che la dimensione linguistica del blog – e più in generale quella dei «nuovi» mezzi di comunicazione - permette queste concessioni, insieme (fortunatamente) a strafalcioni vari e assortiti che per vari motivi spesso vengono lasciati anche dopo che ci si accorge della loro presenza. D’altronde, anche chi commenta usa darmi «del tu», e fa complessivamente bene, perché non è stato mai fissato un protocollo formale, in questa sede, al quale attenersi.