Dalla comodità del divano di casa mia, ieri sera il Festival di Sanremo mi è parso ancor più terribile di quanto avevo realizzato nei giorni scorsi. Dispiace, perché ad un certo punto mi sono persino accorto di essere stato troppo ingeneroso nei confronti delle canzoni: alcune di quelle dei giovani, ad esempio, potrebbero durare anche un paio di settimane di passaggi nei grandi network nazionali il che, se da una parte è comunque desolante, dall'altra è inaspettato, visto il livello musicale dell'edizione di quest'anno. Ma la cosa che mi ha fatto cadere ancor più in basso il Festival sta, aimé, ancora nella questione Bertè. Un lettore del blog mi ha scritto una mail, che non pubblico dietro sua richiesta, chiedendomi il motivo di tanto accanimento nei confronti della cantante calabrese. Il fatto è che, da parte mia, non c'è alcun accanimento nei confronti di Loredana Berté, nulla di personale. Il mio fastidio deriva da come tutta l'organizzazione ha gestito il suo caso. Insomma, lei si presenta, fa i capricci e tutti a proteggerla e ad assecondarla: “non vuoi suonare per ultima? ti spostiamo a metà serata” - questo quello che è successo martedì sera. Il che mi sembra una disparità di trattamento bella e buona rispetto a tutti gli altri cantanti in gara – perché, ricordiamolo, Sanremo è anche un concorso musicale. Poi succede quello che tutti ormai sappiamo: “Musica e Parole” è stata incisa vent'anni fa da Ornella Ventura con un altro titolo (“Ultimo respiro”), ma gli autori (Alberto Radius e Oscar Avogadro) sono gli stessi, così come la stessa è la casa discografica che nell'88 licenziò il disco e ora ha portato la Berté a Sanremo (la Nar). Le uniche cose che cambiano sono le parole e il produttore del brano all'epoca: le prime sono della Berté, il secondo è quel galantuomo di Tullio De Piscopo. Non si è trattato di un plagio, perché le due canzoni non hanno somiglianze; sono esattamente la stessa canzone con parole diverse. Quindi, da regolamento, essendo “Musica e Parole” un brano già edito, andava squalificato. In questo modo però si penalizzava la Berté la quale invece, protetta da tutti, si è vista sì l'esclusione della canzone dalla gara, ma avuto comunque la possibilità di cantarla altre due volte, in duetto con Ivana Spagna, come artista “extra-concorso”. Ricevendo, tra le altre cose, il premio alla critica intitolato a Mia Martini, premio che era già stato “mediaticamente” promesso alla Bertè e che dunque si doveva assegnare. Ma in che modo, essendo “Musica e Parole” fuori concorso? Dando a Loredana Bertè il premio che sua sorella, la Martini appunto, non aveva mai potuto ritirare. Una premio che suona un po' come un farsa e sembra costruito ad arte: era deciso che alla Bertè doveva andare un premio, se ne è trovato uno “di scorta” da darle, perché altrimenti il suo carattere è quello che è, la personalità pure e avrebbe potuto, con i suoi capricci, imbarazzare il Festival più di quanto già non sia stato imbarazzato dalle critiche e dai responsi dell'Auditel. Ma lo sdegno, nel mio caso, è quantomeno raddoppiato: passi il caso di brano non inedito, passi pure il tenere la cantante al Festival seppur fuori concorso, passi anche il premietto-farsa. La cosa che più mi ha lasciato sconcerto è che ora la canzone “Musica e parole”, forte dell'impatto mediatico del caso, sta avendo un successo insperato: le radio la programmano e su internet tra tutti i brani sanremesi risulta essere già la più scaricata e/o comprata. Ma alla povera Ornella Ventura – e al suo produttore Tullio De Piscopo – nessuno ha pensato? Sacrificati per coccolare la Berté, si sono visti eseguire il loro brano per ben tre serate e con la consapevolezza di tutti, produzione del Festival e Rai compresi, che il brano non era della Berté, non era inedito e che il tutto puzzava di farsa. E ora sta avendo anche successo. Certo, i due autori sono gli stessi e, magari insieme ad un'azione legale, si vedranno maturare anche qualche diritto. Ma alla cantante e al produttore originali, cornuti prima e mazziati poi, nessuno vuole dar niente? Chessò, sarebbe un bel gesto nel panorama musicale italiano che qualcuno ammettesse davanti a loro le sue colpe anziché trincerarsi dietro degli incredibili "non ricordo di quella canzone", che non vengono creduti nemmeno dal più ingenuo degli idioti.
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