venerdì, luglio 29, 2005

Kit d'emergenza: mai più senza!

Parliamo di una cosa frivola? Suvvia, facciamolo. Il frivolo è il sale della vita, è utile, è necessario. Ci distoglie la mente dai problemi, ci concede di staccare la spina anche solo per qualche minuto. Insomma, è vitale – e soprattutto serve per giustificare, a me e alle persone che mi conoscono, l’acquisto settimanale di Vanity Fair. Frivolezze, dicevo. Kit d’emergenza, quale argomento sarebbe più adatto in questi giorni? Sotto la minaccia terroristica continua, con la televisione che ancora trasmette le immagini di carrozze della metropolitana distrutte, autobus divelti e alberghi in insospettabili zone turistiche totalmente distrutti dall’azione del terrore. Insomma, chi non si sentirebbe più sicuro in metropolitana con il suo bel kit di pronta emergenza in saccoccia? Perché rischiare di rimanere senza torcia nell’eventualità di dover percorrere a piedi, in preda allo spavento, i tunnel delle metropolitane, quando per ogni pericolosa evenienza una società inglese, la Survival Box (www.survivalbox.co.uk) ti mette a disposizione anche una mascherina per il viso, un fischietto e addirittura dell’acqua, sigillata in una busta di tetrapak floscio, simile a quella di certi succhi di frutta che c’erano quando ero piccolo io. Insomma, un giro sul sito è d’obbligo: ne trovate per tutti i gusti e per tutte le occasioni – neanche fosse un abito da sera o una borsa Burberry. C’è il kit personale, quello sopraccitato con la mascherina e l’acqua, e poi c’è quello famigliare, per salvare consorte e figli. C’è quello “in società”, utilissimo per i campeggi dei boy scout. Poi c’è quello per uffici, che avrebbe sicuramente salvato la vita a quelle povere persone che, in preda al panico e senza alternative davanti, si sono gettate dall’n-esimo piano delle Torri Gemelle quel triste e famigerato 11 settembre 2001. Insomma, io ne ho già ordinati un paio, perché non si sa mai e uno potrebbe sempre essere difettoso e non funzionare più al momento giusto. Nemmeno cari, tra le altre cose: si va da un minimo di 19 £ per quello “individuale da attentato in metropolitana” fino a 54£ per quelli da ufficio – copertura: una dozzina di persone, essere umano più essere umano meno. Carte di credito accetate: tutte, ché quando si tratta di fare affari non ci si può chiudere davanti all’e-commerce. Allora, rinuncerete al gadget più esclusivo dell’estate?

PS: forse questo disclaimer sarebbe più giusto collocarlo all’inizio del post, in modo tale da poter essere adocchiato prima della lettura della parte importante. Tuttavia: si capisce che è un’enorme presa per il culo? Sì? Sempre meglio comunque sottolinearlo. Probabilmente è stata dettata da una sorta di “esorcizziamo la paura”, conscio comunque del fatto che su certe cose non si scherza. E, mi rivolgo sempre ai due lettori abituali (grazie!): leggendo le restanti parti del blog si evince perfettamente che la mia linea di pensiero non è quella del post di cui sopra. Ma, si sa, la blogosfera è spesso abitata da personaggi permalosetti che, presi dalla loro serietà, si dimenticano di leggere tra le righe. Io la sottolineatura l’ho fatta.

i dardi: contribuenti rai

Sandro Curzi, presidente Rai in carica provvisoria, in un’intervista a Vanity Fair del 4 agosto, pag. 92: “Ma si rende conto? Al tg1 c’è lo stesso bancone di regia di quando me ne andai. A Sky fanno tutto in digitale”. Lo so, lo so, anche a voi è venuta in mente quella domanda: ma che cazzo ci fanno con i soldi dei contribuenti, oltre ovviamente agli show di Celentano?

E se..

E se lo stagista fosse un professionista?

I quotidiani in Italia non li legge nessuno - Dati vendita per il mese di giugno

Le rilevazioni di vendita dei quotidiani nel mese di giugno non sono confortanti. Tutti i maggiori quotidiani sono in calo, resiste solo la mirabolante cavalcata di Libero. Il quotidiano diretto da Vittorio Feltri infatti non perde un colpo, e anche nella media giornaliera di giugno guadagna un + 23,9% che fa invidia a tutti.

Corriere della Sera 665.195 637.292 -4,2

La Repubblica 611.353 591.048 -3,3

Il Sole 24 ore 338.301 339.951 0,5

La Stampa 334.662 320.775 -4,1

Il Messaggero 242.050 240.100 -0,8

Il Giornale 218.127 214.250 -1,8

Il Gazzettino 117.900 117.917 0

Il Secolo XIX 115.900 115.340 -0,5

Avvenire 94.886 102.759 8,3

Il Mattino 82.300 85.550 3,9

Il Tirreno 87.210 82.770 -5,1

Libero 60.779 75.299 23,9

Giornale di Sicilia 66.008 63.136 -4,4

L’Unione Sarda 67.772 64.618 -4,7

(Fonte: dagospia)

giovedì, luglio 28, 2005

Il programma per Rifondazione? Scrivilo tu!

Che per l’Unione trovare un accordo sul programma fosse difficile non è un mistero per nessuno – tant’è che ancora il programma non è stato scritto. Il che risulta già essere un problema per una forza di coalizione che intende guidare l’Italia a partire dalle prossime elezioni politiche. Che la pagliacciata delle primarie fosse, appunto, una pagliacciata ancora non è mistero: sono state fatte esclusivamente per decretare Romano Prodi come unico vincitore, dal momento che la sua leadership è stata più volta messa in discussione all’interno dell’Unione stessa, causando qualche scricchiolio che si dovette aggiungere alle già fortissime scosse di assestamento che servono per far convivere Bertinotti e Mastella o ancora il boia Di Pietro e le vittime dell’SDI (alle quali presto si aggiungeranno i transfughi di De Michelis e del suo Nuovo PSI). Quindi cosa hanno pensato di fare quelli di Rifondazione Comunista per risolvere il problema, sia delle primarie che del programma? Un blog. Ce ne sono stanti, dove sta la notizia? La notizia sta nel fatto che suddetto blog è pubblicizzato sul sito di Liberazione, l’organo ufficiale del Prc, ed è aperto a tutti. Serve sia come veicolo promozionale per Fausto Bertinotti candidato alle primarie – l’unico in grado di mettere in difficoltà il centrosinistra: non prenderà più voti di Prodi, questo è sicuro, ma se le previsioni sono giuste e ne prenderà qualcuno in più di quanti se ne aspetta, allora si scatenerà una bella tempesta. Ma non solo alle primarie pensano a Rifondazione. Sul blog infatti si accettano consigli sul programma. Insomma, contribuisci anche tu, invia la tua idea di programma, le tue proposte, e loro faranno di tutto per metterle in pratica. Una versione più veloce ed immediata della ormai celebre Fabbrica del Programma di Romano Prodi. Certo, affidarsi agli elettori per costituire un programma politico – e correre il rischio di “infiltrati” – non è esattamente una mossa da volponi, ed è indice di una povertà di idee e di una difficoltà di convivenza imbarazzante. Non è che facendo scrivere parte del programma alla gente comune sia un modo per lavarsene le mani domani quando, inevitabilmente per noi ma anche per loro in quanto tutte le magagne interne verranno fuori, saranno chiamati a governare l’Italia? Scriveteglielo sul blog.

i dardi: beviamoci sopra

Ci sarebbe un disegno di legge (probabile entrata in vigore: 01/01/2006) riguardante l’etichettatura degli alcolici. Proprio come per le sigarette, le bottiglie di vino potrebbero recare la scritta “il vino uccide” piuttosto che “l’alcol ostruisce e provoca infarti e ictus”. Ideatori di questa proposta sono (segue elenco): Pizzicato, Bonfietti, De Zulueta, Dettori, Farmi, Manzella e Scalena, tutti di casa Unione. In vino veritas? In Unione stupiditas. A quando “le caramelle fanno venire la carie”? Beviamoci sopra.

La telenovela politica continua - ancora su Bechis-Alleanza Nazionale

Tanto per continuare a seguire gli sviluppi del gossip riguardante Alleanza Nazionale . la chiacchierata da bar, insomma. Dopo la smentita di stamane ad opera di Bechis, nella quale il direttore affermava che quelli di Vanity si erano inventati un po’ di cosette (vedi mio post precedente), arriva la contro-smentita, ad opera del giornalista del magazine Francesco Briglia:

Spiace dover annoiare i frequentatori di Dagospia con una noiosa precisazione. Leggiamo che Franco Bechis, direttore del Tempo, sconfesserebbe l’intervista a Vanity Fair (titolo: “Sì, il nome della Prestigiacomo c’era”) in cui ricostruisce la vicenda della chiacchierata al bar tra gli ormai ex colonnelli di An. Va da sé, come nello stile di Vanity, che non ci siamo inventati niente: quell’intervista la confermiamo riga per riga, parola per parola, virgola per virgola. Il punto è che fatichiamo a capire il senso della sua smentita. Che cosa precisa, Bechis, nella sua lettera a Dagospia? Che i suoi giornalisti non hanno sentito battute sulle Prestigiacomo e, anche se le avessero fatte, non sarebbe una novità? E’ quello che c’è scritto su Vanity, dove lui, semplicemente, ammette che quel nome è stato fatto. Dice che «qualcuno ha pure spacciato per buoni virgolettati sull’argomento inventati di sana pianta»? Se si riferisce a noi, ci dica quali; se invece, come ha ammesso lui stesso durante l’intervista, parla di un articolo del Riformista del 20 luglio (“Col cronista undercover Bechis importa il tabloidismo”), perché non specificarlo? Insomma, caro Bechis, se deve smentire qualcosa, la prossima volta sia un po’ più preciso. Anche perché i registratori, sa, non li usano soltanto i suoi stagisti.
Francesco Briglia
(fonte: Dagospia)
Insomma, parole di fuoco, che fanno intendere come la telenovela politica più calda d’estate ancora non sia finita. Intanto tra un’intervista ed una conseguente smentita Andrea Monti, direttore di News Settimanale, illustra un’altra tesi: la chiacchierata sarebbe sì stata ascoltata dallo stagista e dal suo caporedattore, ma non registrata. Secondo Monti è infatti quasi impossibile riuscire a captare con un normale registratore le discussioni in un bar tra un tavolo e l’altro. Ciò, sempre secondo il direttore di News settimanale, vorrebbe dire una cosa semplicissima: Bechis ha pubblicato quanto gli è stato riferito dai suoi giornalisti, ma si sarebbe inventato di sana pianta la storia della registrazione per far spaventare i tre “colonnelli” ed essere quindi l’uomo – in modo volontario o involontario, non ci è dato a sapere - dietro la scena nel ribaltone all’interno di Alleanza Nazionale.

PS: qui, sia ben chiaro, non si sta criticando – né tanto meno accusando – nessuno. Né Bechis giornalista (per il quale tra le altre cose nutro massimo rispetto) né i vertici di Alleanza Nazionale – il partito che ho sempre votato da quando ne ho la facoltà. Si stanno solo seguendo gli sviluppi di una telenovela che, oltre alla parte gossip, offre anche dei probabili cambiamenti all’interno di uno dei maggiori partiti politici italiani.

Il triangolo no! Bechis, Gianfranco e Stefania

Andrà avanti ancora molto la storia? Perché sinceramente questo ci sembra il perfetto gossip estivo. Ne sentivamo la mancanza, quest’anno sembrava essere un anno di transizione. Nulla su calciatori e veline, niente di niente su ex calciatori abbastanza falliti e con precedenti per partite truccate che vengono mollati – o mollano, a seconda della versione – da ex star televisive, di quelle che dopo aver condotto tutti i programmi televisivi di maggior successo si ritrovano tra le mani come risultato unico quello di aver spaccato le palle al popolo della televisione, se mai ce ne fosse uno che, ora come ora, si identifica in questa definizione. Dicevo: mi sono chiesto se sarebbe dovuta andare avanti ancora molto la storia. Quale storia? Quella tra Bechis, direttore de Il Tempo, e i vertici di AN. Riassumo, per quelli che hanno passato l’ultimo mese su Marte, o anche semplicemente per quelli che si sono tenuti fuori “dal giro” (tanto non si sono persi nulla): allora, è successo che uno stagista della redazione romana del quotidiano di Bechis e il suo caporedattore politico hanno deciso di andare a prendersi un aperitivo alla Caffetteria di piazza di Pietra a Roma. E chi incontrano in quel bar? Nientepopodimento che Gasparri, La Russa e Matteoli. Tre tra i più (ex) fidati del Grande Capo di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini. Bene, i tre in questione si sono divertiti un mondo a sparlare di AN in generale e di Fini in particolare: “gli tremano le mani”, “bisogna svegliarlo, anche a suon di sberle”, “il partito con Gianfranco in quella condizione non può andare avanti ancora molto”, e così via, di carineria in carineria. I due giornalisti – di cui ricordo: uno è un neo laureato, in redazione come stagista – non si sono fatti sorprendere impreparati e, registratore alla mano come il loro direttore insegna, hanno raccolto tutto. Una mezz’oretta di registrazione scottante, a quanto pare. Il giorno dopo il pezzo compare sul giornale, e AN salta all’aria. Sul versante politico Fini, decisamente indispettito (anche se sembrerebbe che l’articolo in questione abbia avuto semplicemente il classico ruolo della “goccia che fa traboccare…”), ha azzerato i vertici. Via tutti, e nulla importa se un La Russa o un Gasparri hanno dei nomi storici fin da quando erano all’MSI. Via, si riparte da zero – e Destra Sociale, la corrente capitanata da Alemanno e Storace un minimo, ma proprio un minimo, esulta. Sul versante gossipparo è però ancora tutto da scrivere. Nessuno infatti ha creduto a quanto scritto nell’articolo redatto dallo stagista ora più famoso d’Italia – e vogliamo vedere se Il Tempo non lo assume a settembre? Non tanto la gente – soprattutto quella che gira intorno al Palazzo – ha fato fatica a credere ai contenuti; più che altro è scettica sul fatto che in mezzora di registrazione sia stato affermato solo quanto poi effettivamente riportato. Ed è per questo che io, all’inizio di questo pezzo che sicuramente non creerà uno scandalo politico ma avrà il molto più umile compito di raccogliere uno sfogo, mi sono chiesto quanto ancora la storia dovrà andare avanti. Per almeno due settimane in seguito alla pubblicazione dell’articolo incriminato, hanno fatto capolino su giornali e siti web vari virgolettati, attribuiti per lo più a Bechis, nei quali si affermava che altro avrebbe potuto effettivamente esserci ma che, probabilmente per decenza, non è stato pubblicato. E funzionava pressappoco in questo modo: dichiarazione “c’è dell’altro nella famosa chiacchierata dei tre al bar” e poi subito dopo, smentita, “è stato riportato tutto il succo del discorso. Nessun elemento è stato omesso”. Tra gli elementi più gettonati ne spicca uno – che è poi un “riciclo” di qualcosa già avvenuto due o tre mesi fa – Stefania Prestigiacomo. Al ministro di Forza Italia – Miss Governo come qualcuno l’ha soprannominata per la sua, indubbia, bellezza – viene infatti attribuita una love story con Gianfranco Fini, storia della quale sembrerebbe abbiano parlato, e non proprio in termini lusinghieri, anche i “tre amici al bar”. Ora siamo arrivati all’ultima puntata della telenovela. Vanity Fair, il settimanale più patinato d’Italia, femminile al maschile e rivista da spiaggia di lusso – insomma: incantevole – ha pubblicato a pagina 28 un’intervista a Bechis (ad opera di Francesco Briglia) nel quale, ancora una volta, si fa capire che alcune parti del nastro contenente “l’aperitivo incriminato” (mi scusino le due persone che mi leggono, ma a furia di definire l’evento del bar non so più che espressioni e sinonimi inventarmi, nonché a quali santi votarmi) siano state volutamente saltate. Copio da Vanity Fair due o tre domande riguardanti proprio la questione “Fini-Prestigiacomo e il leader di AN perde la testa”:

domanda: Di colorito, nel pezzo, c’era solo la cosa delle mani tremanti e della malattia.
Bechis: le sembra poco?
domanda: che cos’era: una metafora politica?
Bechis: più che altro sentimentale.
domanda: Allora il nome della Prestigiacomo è uscito?
Bechis: Sì, ma non credo che Fini si sia offeso per questo. Anche perché le battute sulla Prestigiacomo le fanno da mesi […].
domanda: Magari in quel bar si è andati un po’ oltre.
Bechis: Questo non lo so dire. Anche Alemanno continua a chiamare il giornale per chiedere se parlavano di lui e di Storace.
Insomma, qui il direttore del Tempo ha ammesso, per l’ennesima volta, che il nome Stefania Prestigiacomo è saltato fuori, e inoltre ha anche alluso alla possibilità della presenza nella conversazione dei nomi dei due leader di Destra Sociale, la corrente di AN che all’apparenza non è stata toccata dallo scandalo. Ma oggi, precisa come un orologio svizzero, è arrivata via Dagospia la smentita di Bechis:
Caro Roberto,
come avviene purtroppo da qualche giorno leggo su dagospia l'anticipazione di una intervista al sottoscritto fatta da Vanity Fair, che getterebbe ancora dubbi su un tema che ha scatenato grande curiosità: la presenza o meno di battute su StefaniaPrestigiacomo nel famoso colloquio alla Caffettiera fra Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa e Altero Matteoli. Come ho avuto più modo di scrivere sul giornale che dirigo, Il Tempo, di questo argomento nulla abbiamo scritto perché nulla i miei giornalisti hanno sentito. Questo era anche il senso delle cose dette a Vanity Fair: se anche, non sentiti, i tre avessero mai parlato della Prestigiacomo
(e non ho modo di saperlo), non avrei capito quale fosse lo scandalo e la novità: da mesi in An non si spettagolava che di quello, e tutti i giornali ne avevano ampiamente scritto. Sarà per incomprensioni varie, ma questo argomento non posso riaprirlo semplicemente perché non esiste. Ho sentito ricami incredibili sulle cose non scritte e inesistenti. Qualcuno ha pure spacciato per buoni virgolettati sull'argomento inventati di sana pianta. Mi spiace, perché di carne al fuoco ce ne era già abbastanza. Saluti,
Franco Bechis (fonte: dagospia)

Allora, quanto continuerà ancora la telenovela? A quando la pubblicazione dell’intervista completa e la smentita di tutta questa il giorno dopo dal direttore che ne ha deciso la pubblicazione? Oggi alcuni dubbi dovrebbero essere sciolti, in quanto si sta svolgendo la Direzione Nazionale di Alleanza Nazionale. Insomma, l’estate non poteva che avere miglior tormentone: politica e amore mischiati insieme hanno sempre avuto l’effetto di un detonatore, ora spunteranno foto di presunte effusioni della coppia – insieme a cartelle cliniche ovviamente false, nelle quali verranno illustrate da presunti medici in cerca di fama le cause del tremolio nelle mani di Fini. E se fosse davvero amore? Non è romantica la figura di un uomo che dà fuori di testa, al punto di azzerare un partito, perché non può dichiarare apertamente il suo amore e la cosa gli crea degli scombussolamenti? Che poi, dopo tutto questo pistolotto, saranno anche gran cazzacci suoi (o loro, o di Gasparri Matteoli e La Russa)? Certo, se la cosa può servire ad AN, ben venga.

PS: tengo a precisare, in un perfetto corpo 10, che la questione non mi ha preso. Può sembrare strano, certo, perché per parlarne si è arrivati alla bellezza di 7892 battute

mercoledì, luglio 27, 2005

i dardi: monumento all'estintore

I comunisti italiani spiegano che il ceppo in ricordo a Carlo Giuliani diventerà un simbolo perché “non vogliamo che il ricordo si perda, anzi vorremmo capire cosa successe e chi decise dall’alto di violare le più elementari regole di democrazia”. Infatti, aggiungo io, chi dall’alto ha deciso che le più elementari regole di democrazia andassero violate con una pistola invece che con un bell’estintore rosso?

martedì, luglio 26, 2005

Il picconatore si dimette


Oggi su Libero è stata pubblicata una lunga lettera di Francesco Cossiga, ex presidente della Repubblica dall’85 al 92, nel quale il “picconatore” dice di volersi ritirare dall’analisi politica. Proprio così, dopo anni e anni sulla scena, ha dichiarato quanto segue:
“è giunto ormai il tempo di concludere la mia vita politica, anche essendo al tramonto la mia vita personale! […] Non intendo però ridurmi ad andare ai giardini pubblici con il bastone ed il cagnolino […] mi darò alle letture, all’ascolto della musica, ai viaggi, riprenderò lo studio della teologia”
Insomma, parole tristi di una persona che, nel bene e nel male, ha fatto la storia d’Italia. Poi si cerca di analizzare il perché, e qui si diventa cattivi. Cossiga mi sta particolarmente simpatico, sia chiaro, nulla a che vedere con Ciampi o , peggio ancora, con Scalfaro Oscar Luigi. Però c’è un però. Ieri La Stampa, nelle pagine riguardanti la tragedia di Sharm el Sheikh, ha pubblicato un box che si riferiva ad una interpellanza-provocazione (si spera di più provocazione) di Cossiga stesso. Il box riporta esattamente quanto segue:
concludere un “onesto accordo” con Al Qaeda: è la provocatoria proposta di Francesco Cossiga al governo. Nell’interpellanza, il senatore a vita parte dalla “non volontà di combattere” il terrorismo islamico da parte di “larga parte del popolo italiano” e propone di “raggiungere un accordo che difenda l’Italia dal pericolo di attacchi, come già a suo tempo il nostro Paese fece con la guerriglia arabo-palestinese”. Al Qaeda e le altre organizzazioni dovrebbero impegnarsi “a risparmiare obiettivi, italiani ed esteri, nel nostro Paese, escluse le organizzazioni di intelligence loro nemiche”. In cambio, l’Italia dovrebbe annunciare “una data di scadenza per l’uscita dall’Iraq, con un exit plane secondo la linea Prodi-Pecoraro Scanio-Bertinotti”
Insomma, forse resosi conto della minchiata ha pensato bene di scrivere a Feltri le sue dimissioni.

lunedì, luglio 25, 2005

Informazione sì, ma a modo nostro!

Una televisione per Cuba e il Venezuela? Eccola servita, Telesur, ora potranno dare le notizie che vogliono loro, nella maniera che decidono loro. Ovviamente tagliando tutto ciò che a loro non va. Ecco, l’esempio di grande democrazia che i nostri connazionali rossi cercano di spacciarci.

sabato, luglio 23, 2005

i dardi: foglie di fico

“via le foglie di fico e poi si vedrà”. Questo ha blaterato il barbetta – la cui colpa non è quella di essere cristiano, si capisce, ma di averla sparata grossa – ieri sulle colonne del Foglio. Che sia o meno un fico, è fuori di dubbio. Quindi rimane solo la foglia: è secca, quindi via. Poi si vedrà davvero.

Ancora una volta: bastardi.


Se qualche stronzo – perchè bisogna esserlo per insistere tutti i giorni con disegnigi irrispettosi e disgustosi - avesse fatto una vignetta di questo tipo, sostituendo però il testo con “c’è una bomba in redazione al manifesto” sapete cosa avrebbero detto? Fascisti di merda. Terroristi neri. Devo continuare? La lista potrebbe essere lunga. Ovviamente nessuno, a parte l’autore di tale disegno, chi lo paga e chi lo pubblica, si sognerebbe di comportarsi così’. Ma tant’è. Ancora una volta: bastardi.

Tourism as usual

L’attentato di questa notte a Sharm el Sheik ci ha inevitabilmente riportato alla memoria lo tsunami dello scorso inverno, avvenuto in Asia. Ovviamente non c’è alcun legame tra le due cose: se a dicembre infatti la “causa” – se così la possiamo definire – era dovuta a madre natura, questa volta invece abbiamo a che fare con il terrorismo islamico. Bombe, esplosioni e, in un centro turistico tra i più rinomati come quella zona d’Egitto, è stato fin troppo facile fare vittime (a quanto pare il numero è già superiore alle vittime del 7/7 di Londra, tanto per dire). La tragedia, dicevo, ci riporta in mente lo tsnumani per un altro motivo. C’è infatti una questione turistica da non sottovalutare, gente che ha già pagato la tanta sospirata vacanza. Gente che non è disposta affatto a rinunciare alla sua bella settimana di tintarella e di immersioni per ammirare le meraviglie della barriera corallina, evidentemente riuscendo ad ignorare lo scempio della distruzione. Gente disposta a far festa a tutti i costi, tanto “i morti non sono miei e chemmenefrega!”. Come chi si ostinò a partire per le coste devastate dal maremoto – e non furono pochissimi – così c’è gente che non vuole rinunciare ad andare a Sharm, perché è pur sempre Sharm è c’è da far schiattare d’invidia le colleghe al ritorno a casa. In pochi, pochissimi per fortuna, sono coloro che hanno deciso per la partenza, in barba ai consigli dei vari tour operators – disposti a rimborsare fino al 100% oppure al cambio di destinazione – o della Farnesina stessa. Gli aerei in partenza quest’oggi dai principali aeroporti italiani (Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli) erano pressoché vuoti e per lo più adibiti al ritorno a casa dei turisti già in loco ed ora preoccupati per l’evolversi della situazione. Ma “quasi vuoti” non significa “vuoti”. Vuol dire invece che qualche pazzo, incosciente, con un gran bel pelo sullo stomaco e totalmente irrispettoso per la distruzione e per il dolore di chi da là fugge o peggio ancora per quello dei famigliari delle vittime, italiane o straniere che siano, rinunciare alla vacanza è un concetto che non esiste. La pietà evidentemente non è stata distribuita in parti eguali, e vuoi mettere “il sole, i cocktails e le fighe?”. Ora si spera almeno in una cosa: che questi personaggi si rendano conto, una volta raggiunti a destinazione, che non è il luogo né il momento adatto per la festa, che la popolazione locale, il turismo, i vari enti non hanno voglia di fare baldoria, di ballare, bere, fumare, scopare. Non è il contesto giusto. Ecco, una volta che queste piccole e cocciute persone si sono rese conto di questo, che si rimbocchino almeno le mani e si diano da fare. Dimostreranno di non aver fatto un viaggio inutile.

venerdì, luglio 22, 2005

Per quelli come lui, senza dubbio.

Ma l’avete letto oggi Socci sul Foglio? Dio – è proprio il caso di dirlo – come si lamentava. Un bambino: presumibilmente non ha mai votato AN e ora si permette anche di augurarle di ritornare al 4-5% di quando si chiamava MSI. Il perché? Semplicemente il ‘riordine’ di Fini – che per chi vive su Marte, Socci compreso, è pur sempre il presidente di AN – non gli è andato a genio, il partito non riconoscerebbe più il cristianesimo (che balla questa, poi…) e nel centrodestra non ci sarebbe più spazio per i cristiani. Per quelli come lui, senza dubbio. Tutti gli altri stiano tranquilli.

Bastardi...

Senza il minimo di rispetto per le paure e le vittime altrui...

giovedì, luglio 21, 2005

Peccati e funerali

Ha stupito la notizia che il prete di Marcellinara, piccolo comune alle porte di Catanzaro, non abbia voluto celebrare la messa funebre ad una signora rea secondo lui di vivere nel peccato. Perché? Queste le parole del simpatico prete:

“ho rispettato le norme ecclesiastiche: chi è convivente è un peccatore pubblico e quindi non ho celebrato la messa perché la signora non viveva da cristiana l’unione matrimoniale”
Convincente? Nemmeno un po’. Per la religione cattolica l’uomo innanzi a Dio non è uguale? Dalle parole del prete sembrerebbe il contrario: se rispetti il sacramento del matrimonio hai diritto alla messa, altrimenti ti arrangi. Il mondo cattolico è ovviamente rimasto sconvolto, tra chi abbraccia e condivide l’azione del prete calabrese e chi invece, come il direttore di Famiglia Cristiana don Antonio Sciortino dichiara che
“a me pare che il parroco abbia peccato per eccesso di zelo”
Qui a Ordine Generale non si vuole entrare nel merito della vicenda in modo più approfondito di questo: ci sembrerebbe un’enorme perdita di tempo raccontare l’ennesimo episodio spiacevole che capita dalle parti dei preti. Tuttavia non ci permettiamo di criticare l’azione della Chiesa in generale, perché non ne abbiamo le competenze. Ci permettiamo però di suggerire un finale di vicenda “popolare”. Il prete di Marcellinara ha detto che chi è convivente è un peccatore pubblico e quindi non ha diritto alla messa. Ok, segnatevelo. Il direttore di Famiglia Cristiana ha dichiarato che don Mazzotta ha peccato di zelo, quindi è da considerare anch’egli peccatore. Avete segnato anche questo? Bene, prendete le due annotazioni: non notate nulla di strano. Ok, il prete calabrese non è sposato, e lo zelo non è un sacramento. Però un altro prete ha detto che la sua mancanza è peccato. Quindi nessuna messa funebre quando toccherà a don Giuseppe Mazzotta.

Londra ripiomba nel terrore. Ma non dobbiamo arrenderci

A due settimane esatte da quel famigerato 7/7, Londra è di nuovo sotto assedio. Quattro bombe, tre in metropolitana ed una in un bus. Questa volta però non sembrano essere state usate per uccidere, la potenza era nettamente inferiore rispetto agli ordigni di due settimane fa, e infatti pare che non ci siano vittime questa volta. Certo, si potrebbe sempre pensare ad una fatalità: magari le bombe erano sì costruite per uccidere, ma da terroristi evidentemente non abituati a maneggiare esplosivi a tal punto da non essere nemmeno capaci di creare un ordigno. Ma noi non vogliamo credere a questa versione – possibilissima, per carità – e preferiamo pensare ad un atto intimidatorio. Quattro bombe, alle 12.30 locali, quando i mezzi pubblici non sono nel pieno delle loro capacità non costituiscono comunque una scusante per poter definire l’episodio come “minore”. Le quattro bombe hanno creato ansia e paura nei londinesi – in tutto il mondo – che ancora convivevano con lo spettro di quanto successo il 7 luglio. Ancora non si erano ripresi – perché in due settimane è difficile riprendersi da ciò che è successo – che sono subito stati gettati nel più grande sconforto. Quattro bombe messe lì apposta per far paura, questa sembrerebbe la più probabile delle ipotesi – confermata tra le altre cose anche dal Primo Ministro Tony Blair. Per prendersi beffa dell’Occidente proprio quando questo applica le sue – presunte – maggiori azioni di controllo. Come a dire “vi fottiamo quando e come vogliamo, con o senza le misure di sicurezza”. A questo sono serviti i quattro ordigni di oggi a Londra, è certo. Come è certo che a nulla servono gli arresti effettuati subito dopo gli attentati dagli efficienti uomini di Scotland Yard. Non è prendendo due pesci tra i più piccoli che si riesce a distruggere il cancro. Purtroppo è così, e noi dobbiamo semplicemente constatarne la realtà. Ma questo non vuol dire assolutamente che dobbiamo arrenderci. Di lavoro contro il terrorismo ce n’è ancora molto, ed una resa in questo momento sarebbe la cosa più stupida da fare. Lo so, mi sto ripetendo e sto inutilmente cadendo nella più bieca delle retoriche. Ma è così, fino a quando qualcuno continuerà a parlare di falso terrorismo, di complotti, di guerra in Iraq – che non c’entra nulla col terrorismo islamico ma che spesso è usata come pretesto – bisognerà ripetere le stesse cose. Fino a quando anche i più stolti si accorgeranno dei pericoli.

mercoledì, luglio 20, 2005

I dardi: full color

Il Corrierone è diventato full color. Un bel cambiamento, e proprio ora che era riuscito ad entrare, al decimo posto, nella lista dei quotidiani più autorevoli del mondo. Insomma, ha le pagine a colori, il formato si è ristretto – meno due colonne – e le pagine aumentate – fino a 96. Un bel passo: da ‘supplemento di’ a ‘copia sbiadita di’. Cosa? Repubblica.

Nella mente delle persone il terrorismo ha colpito. E noi dobbiamo continuare a lottare

Stamattina mi è capitato di dover prendere la metropolitana di Milano. Solitamente durante l’anno la prendo tutti i giorni ma, essendo estate e quindi le lezioni finite, era da almeno un mesetto che non ci salivo. E comunque non avevo ancora messo piede in una carrozza dopo il 7/7 londinese. Certo, mi ricordo in seguito agli attentati alle Torri Gemelle di New York ed a Madrid: la tensione era palpabile e quasi si tirava un sospiro di sollievo appena si risaliva in superficie – nella zona di Milano dove la metropolitana è per una tratta all’aperto – consci (o semplicemente illusi) che il terrorismo all’aria aperta non avrebbe attecchito. Alle 8 mi trovo alla stazione di Cologno Nord e la tratta che devo percorrere per racemi in Università a dare un esame è la seguente: Cologno Nord – Centrale sulla linea verde e poi Centrale – Lodi T.I.B.B. su quella gialla. Zone critiche da attraversare – sempre che una zona può essere considerata più “critica” o comunque più pericolosa di un’altra – sono quindi tutte le stazioni comprese tra Piazzale Loreto e il mio punto d’arrivo: praticamente passo per tutto il centro storico, Duomo e Centrale compresi. Arrivo, faccio il biglietto, compro La Stampa e salgo sulla carrozza. Le facce della gente sembrano normali, però c’è da dire che a quell’ora i vagoni sono affollati ed è quindi più difficile riuscire a creare quelle “complicità” fatte di sguardi e tipiche di chi sta viaggiando e non vede l’ora di arrivare a destinazione. Ma subito dopo essere partiti, alla prima stazione succede il primo episodio che mi fa capire che non è più come un mese fa: alla stazione di Cologno Centro, tra la fermata e la partenza, si sentono delle urla, urla di donna. Con la velocità di un lampo tutta la gente di tutte le carrozze si riversa sulla banchina, niente panico s’intende, ma la preoccupazione è grande. Nulla sarebbe accaduto senza l’attentato di Londra, con le sue immagini di dolore straziante ancora impresse nelle nostre menti. È capitato tante volte di sentire urla – spesso di qualche senzatetto ubriaco o comunque di gente squilibrata – ma mai avevo visto una reazione così. La signora delle urla, per onor del vero, cercava di attirare su di sé l’attenzione: il piede le era rimasto incastrato tra la fine della banchina e il treno, in quella sorta di piccolo gap che si viene a creare, ed ha avuto quindi paura di dover perdere l’arto se il conducente fosse ripartito subito. Nella situazione di “finta emergenza” che si è venuta a creare – falso allarme no, perché comunque un allarme vero e proprio non c’è stato – cosa ho visto? Due, sottolineo due, carabinieri. Certo, Cologno Monzese è alla periferia di Milano, è una cittadina, assolutamente un improbabile bersaglio di azioni terroristiche. Ma oramai dovremmo abituarci a tutto, e i controlli in cosa consistono, in due carabinieri? Passiamo avanti. Il viaggio d’andata procede poi tranquillamente, nessun episodio strano, anche se oramai la paura ci aveva assalito e così mi scopro – e scopro anche coloro che siedono sul mio stesso vagone – in preda ad una sorta di scansione continua: si adocchiano borse, zaini, valige. Ogni qualvolta sale una persona nuova è un’occhiata unica. Insomma, non proprio i sintomi di chi non teme il terrore. Il viaggio di ritorno lo faccio più sereno: l’orario non è di punta, i vagoni sono pressoché vuoti. Certo, quando a Stazione Centrale – luogo perfetto per una strage, occorre essere cinici ma realisti – devo cambiare linea un po’ di paura mi assale: “sono nel posto tra i più quotati da far saltare in aria” è il pensiero che mi assale. Cambio treno, mi siedo e mi tranquillizzo. Nessun personaggio “strano” – sempre che un venditore di fish and chips possa essere “strano” – mi immergo nella lettura del giornale. Sono a Lambrate e il treno si sta avviando verso la fermata di Udine quando si sente in lontananza partire un fischio, che nel giro di tre secondi diventa assordante. E succede quello che è successo all’andata: tutta la carrozza si alza in piedi, con la differenza che essendo in galleria non ci si può nemmeno riversare sulla banchina. Questa volta siamo in pochi, una signora seduta di fianco a me mi guarda e con gli occhi cerca un sorriso che le faccia dimenticare lo spavento. Una coppia seduta di fronte invece sobbalza e la ragazza per qualche secondo ripete “che spavento!”. Insomma non proprio la normalità. Ma tutto questo racconto a cosa serve? Ovviamente non ho scritto tutte queste righe per sfizio personale. Serve perché riflettendo sull’accaduto a mente fredda, ho subito pensato: come, si continua a dire che il terrore non sta vincendo e la paura non ci contagia, ed oggi ho assistito ad un paio di episodi che, sinceramente, mi sembravano il contrario. Al minimo rumore – come il fischio di una frenata un po’ spinta – si scatta tutti sull’attenti. Si aspetta da un momento all’altro di sentire l’esplosione. Quello che prima era solo un suono fastidioso – e se ne sentivano parecchi, soprattutto d’estate con i finestrini dei vagoni abbassati - ora diventa il campanello d’allarme. Prima non ci si faceva caso, anzi si imprecava per il fastidio alle orecchie, ora ci batte il cuore. È questo il terrorismo che non avrebbe affatto colpito la gente? Non mi sembra. Se le persone su una carrozza hanno paura di saltare in aria, evidentemente il terrore ha fatto il suo dovere. E a tutto questo cosa aggiungiamo? Misure protettive che consistono in due carabinieri. Non molto confortante mi sembra. Certo, se poi vogliamo sottolineare il fatto che i londinesi dopo l’esplosione sono rimasti calmi e non hanno avuto attacchi di panico, è un altro discorso. Nonostante tutto – e lungi da me creare inutili allarmismi, non ne sarei nemmeno capace – la gente ha paura. Questo è il risultato del terrore, non ci sono dubbi. Questo è quello che bisogna continuare a combattere, perché la gente non può aver paura di salire sui mezzi pubblici (e tante volte non può nemmeno evitare di prenderli, cercando di ovviare al problema). Le persone vanno protette, con tutti i mezzi possibili. E non dire che la paura non esiste e che il terrorismo non vincerà proprio per questo. La paura c’è, eccome. Basta prendere una metropolitana in una grande città per sentirla. È palpabile.

lunedì, luglio 18, 2005

You ain't see nothing yet

La revoca di tutti gli incarichi fiduciari è il primo passo verso il ritorno alla leadership di Gianfranco Fini, stanco di tutti questi problemi che più che danni al partito non creano. Fidatevi, per quanto possa contare la parola di un blogger che AN l’ha votata e che, visto l’andazzo, se ne stava pentendo. Spero di non dovermene ri-pentire.

sabato, luglio 16, 2005

I dardi: Aperitivi

Sono entrato in un bar, e c’erano tre che parlavano di me mentre sorseggiavano un Aperol e due the all’arancia. Guardandoli ho chiesto loro se non si vergognassero. Dell’Aperol e dei the all’arancia più che delle ciancicate.

Evitare l'imbarazzo

Discutevo ieri sera. Discutevo non è esattamente la parola più appropriata. Parlavo con un amico di politica, in modo peraltro frivolo. Una birra a testa – e non vi dico che birra – una sigaretta per me e le parole. Lui elettore di centro-sinistra. Nulla a che vedere con la sinistra radicale, non mi voleva dire comunque per chi andava il suo voto (e siccome non è né expost né tanto meno neo democristiano, per esclusione è rimasta la banda di Fassino). Bene, ad un certo punto gli ho chiesto, a bruciapelo: “Senti un po’, tu che sei un elettore di centrosinistra, mi spieghi come fai a votare uno come Prodi?”. La risposta me l’aspettavo scontata: “Perché è il meno peggio” sarebbe stata la più nobile, “Perché credo nel programma” la più paracula, “Perché mi sta in culo Berlusconi” la più ignorante – questo ultimo caso non si addice al personaggio che è il mio interlocutore di ieri sera. Lui invece che ti va a fare? Allarga le braccia, come ad essere sconsolato, ma allo stesso tempo fa un ghigno malefico, che tradotto in parole avrebbe potuto essere un “sa il fatto suo”. Mi ha spiazzato ma ha indovinato la risposta: tutti gli elettori del centrosinistra secondo me risponderebbero in questo modo a quella domanda. Gli ho offerto un’altra birra. Il motivo? È riuscito ad evitare l’imbarazzo di rispondermi a parole.

Alleanza Nazionale ripiomba nella crisi. Serve una rinascita

AN ripiomba pesantemente nella crisi. A due settimane di distanza dall’Assemblea Nazionale che sembrava avere ristabilito un equilibrio che invece manca ancora nelle fila del partito ex Msi. E la crisi è risuonata nelle televisioni e nei giornali in un modo decisamente vecchio per l’epoca nella quale viviamo, dove l’informazione non è più fatta di scoop. È successo invece che i tre colonnelli di AN, Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri e Altero Matteoli si sono ritrovati l’altro ieri in un bar proprio vicino a Montecitorio per bersi un aperitivo. Un sorso di prosecco qua, una manciata di noccioline là, hanno parlato del loro partito e del loro capo. Anche se il lemma ‘parlato’ andrebbe sostituito con il ben più veritiero ‘sparlato’. Una conversazione informale atta a demolire il Presidente di AN Gianfranco Fini. I tre hanno ipotizzato di tutto, dalle sberle – “magari si riprende” – alla malattia – La Russa: “Non vedete come è dimagrito, gli tremano persino le mani, è malato anche se non so di che malattia si tratta” – per finire con l’accusa di essere uno smidollato – “quelli dicono che vogliono togliere quello e quell’altro, e lui dice sempre di sì”. Tutta la conversazione è stata raccolta da un cronista de Il Tempo in modo sapiente e che sa molto di vecchio giornalismo: registrando la conversazione in gran segreto. (ad onor del vero circolano voci, sempre più insistenti, riguardo il “cronista”. Non sembrerebbe più essere un semplice scribacchino, bensì il direttore del quotidiano in persona, Franco Bechis). Apriti cielo: Fini ha subito chiamato i tre promettendo fulmini e saette. Giustamente: è stato sbugiardato con affermazioni probabilmente non veritiere e, per quanto riguarda presunte malattie, personali, sicuramente non piacevoli da leggere su un quotidiano, soprattutto se pronunciate da personaggi dei quali ci si è sempre fidato. I tre, in modo frettoloso e arrampicandosi sugli specchi, hanno fatto recapitare al loro presidente una lettera in cui si scusano delle parole offensive e giurano che trattatasi di dichiarazioni estrapolate dal contesto. Come dire: Gianfranco scusaci, perdonaci, sappi che la figura l’abbiamo fatta più noi di te, ci siamo fatti beccare nel modo più stupido possibile. Insomma, crisi nera che sembrerebbe essersi quietata leggermente ieri in serata, quando il portavoce di Fini ha fatto sapere che la lettera di scuse era stata gradita ed accettata. Ma il problema ancora una volta non è da risolversi con una pietra sopra. Che Fini all’interno di AN sia al centro di una bagarre non è un mistero; la cosa va avanti da molto, più o meno dalla presa di posizione di Fini stesso nel recente referendum sulla fecondazione assistita. Quella libertà di coscienza all’interno del partito e quei ‘tre sì e un no’ votati dal Ministro degli Esteri evidentemente non sono andati giù ai cosiddetti colonnelli di AN che subito l’hanno processato. Tutto si è all’apparenza sgonfiato durante l’Assemblea Nazionale, quando Fini ha recitato una sorta di – diciamolo, inutile – mea culpa. Il problema non andava risolto così, la finta unità del partito è durata giusto un paio di settimane, ed è stata distrutta nel modo più terribile: con quattro chiacchiere da bar. Ad opera di tre personaggi di spicco di AN, ma sempre in un bar. Forse è giunto il momento per Alleanza Nazionale di mettere sul tavolo i suoi problemi, di criticare apertamente Fini per le sue scelte personali (che, ricordiamolo, non costituivano obbligo per il partito: durante il referendum dentro AN si poteva votare ‘sì’, ‘no’ ed astenersi), di ufficializzare, come del resto fa ogni partito, quelle correnti interne che, inesistenti sulla carta, nel loro stato di “semi-clandestinità” risultano essere ancora più deleterie. Personalmente sto con Fini, al di là della questione successa durante l’aperitivo al bar di fianco a Montecitorio. Perché sono convinto che lui sia il leader giusto per una nuova Destra italiana, rispettosa sì dei valori e della tradizione ma allo stesso tempo più moderna, aperta e libera rispetto a ciò che AN è adesso. Ma i problemi all’interno del partito, ripeto, vanno una volta per tutte affrontati e possibilmente risolti, che a furia di finire a “tarallucci e vino” si incomincia a straparlare. E chi straparla evidentemente non si trova più bene all’interno del partito, ergo una rinascita – e magari una ripulita e, credetemi, non necessariamente dai “tre del bar” – non potrà che far bene al futuro della Destra italiana.

[post crosspostato anche su Under Suspicion al quale collaboro col nome di Cruehead]

I dardi: relax

Benedetto XVI durante il meritato riposo in Valle d’Aosta non ha voluto rinunciare ad un ulteriore motivo di relax e di distrazione dai problemi che affronta quotidianamente per cercare di salvare questa società malata. Si è quindi diligentemente messo in fila, ieri a mezzanotte, fuori dalla Mondatori di Aosta, ed ha pazientemente atteso il suo turno per l’acquisto dell’ultimo capitolo della saga di Harry Potter.

venerdì, luglio 15, 2005

I dardi: snobbismo

In casa mia siamo snob, ma talmente snob che, mentre riverniciamo la casa da cima a fondo, gli imbianchini al posto del Corriere sul pavimento ci mettono Il Foglio.

giovedì, luglio 14, 2005

La vergogna sinistroide

È di ieri la notizia che un kamikaze si è fatto esplodere a Baghdad, proprio mentre dei bambini stavano ricevendo caramelle dai soldati americani. La scena, se si è un minimo compassionevoli, è di quelle tristi. L’innocenza dell’infanzia, la gioia innanzi a delle caramelle che viene smorzata con il peggiore dei dolori, l’uccisione. Bene, probabilmente tanto caritatevoli i compagni del manifesto non sono, se hanno avuto il coraggio – e il pelo sullo stomaco – di pubblicare in prima pagina la vignetta qui sotto.

Carlo Rossella ci regala la più bella copertina (tele)giornalistica

Tg5, 0re 13.00. Parte la sigla, quella di sempre. Il sommario, con le notizie solo presentate - rimandi all’interno del telegiornale – in sequenza, brevi, veloci. Fai fatica a renderti conto di quali servizi vedrai. Poi oggi è partita una copertina. Le immagini del 7 luglio londinese, ad una settimana di distanza, scorrevano né troppo lente né troppo veloci. Sequenza sufficiente a renderti conto della tristezza. E poi una musica, la riconosco subito, è l’inno inglese. Ma nessuna banda, nessuna orchestra all’interpretazione. No, c’è il gruppo che è un po’ il simbolo musicale dell’Inghilterra post Beatles e post Stones: sono i Queen. Versione di God Save the Queen targata Brian May, il chitarrista di sempre. L’anno era il 1974 – o forse il ’75? – e il disco A night at the Opera. Una notte all’opera, ma qui le immagini parlano di una giornata all’inferno. Del terrorismo islamista. Ci sono tutti: i ragazzi e le ragazze spaventati e coperti con le protezioni ignifughe e anti attacco chimico. Le urla, le facce sgomente dei Birtish Men, con quel loro aplomb andato a farsi benedire, per scacciare la malignità di quella mattina. La ragazza con la maschera – già paragonata all’Urlo di Much – che di quella strage ne è diventata il simbolo. E l’emozione si è fatta sentire. Ci si è sentiti tutti inermi di fronte a tanto odio, tutti impossibilitati a reagire – e con la rabbia: chi dovrebbe coordinare la reazione sta invece distribuendo carezze in cambio di applausi dall’altro schieramento. Emozione, dicevo. Amplificata da quello scivolare di dita di Brian May, scivolare che mai – nelle quattromila volte che ho ascoltato quel pezzo in quella versione – mi è sembrato così ‘pieno’, così coinvolto, così fiero, lacerato (e lacerante) allo stesso tempo. Quelle tante, tantissime chitarre sovraincise una sull’altra creando un effetto corale, sembravano tante grida di dolore e tante promesse di sopravvivenza. Carlo Rossella oggi ha regalato la più bella copertina di telegiornale di questo anno. Non c’è dubbio.

Harry Potter VS Ratzinger

Questa volta la gaffe c’è stata, eccome. Nulla a che vedere con l’uso di termini come ‘antiumano’ e ‘antricristiano’. Questa volta si è scoperto un altarino mica male. Uno scheletro nell’armadio, verrebbe quasi da dire, salvo poi ricordarsi che sempre del Santo Padre si sta parlando. Perché se si filosofeggia, nella società moderna, al massimo si può ricevere indifferenza. Ma se si attacca uno dei capisaldi della letteratura mondiale, una pietra miliare dell’editoria, il mondo si rivolta. Ratzinger nel 2003, quando era solamente un ‘cardinal’, invio una lettera a Gabrielle Kuby, autrice tedesca del saggio Harry Potter: buono o cattivo? nella quale si complimentava per il lavoro svolto, con le seguenti parole:

Fai bene ad illuminare la gente su Harry Potter perché queste sono seduzioni sottili che agiscono sottotraccia e, per questo, distorcono il cristianesimo nell’anima prima che essa possa svilupparsi nella maniera corretta.

Bene, ora ammesso che non si sa – e non si vuole sapere – quale sia lo sviluppo corretto dell’anima, suvvia, dobbiamo capirlo. E lui, Benedetto XVI, l’ha fatto prima di noi. Quando era cardinale queste sparate le poteva fare benissimo, ora che è Papa si è reso conto di avere fatto una ssttronzzata colossale. Anzi, fonti informative segrete mi hanno anche rivelato che il Santo Padre stesso avrebbe aperto un account su Amazon, dove ha già ordinato – con debito anticipo e con pagamento anticipato tramite Visa – il nuovo episodio della Saga, in uscita fra un paio di giorni.

mercoledì, luglio 13, 2005

Ondata di buonismo

Per arginare il pericolo terrorismo servirebbero delle leggi speciali. E i bei discorsi. Per quanto riguarda il secondo punto, ieri il ministro dell’interno Beppe Pisanu ha svolto il suo compito egregiamente: un bel discorso, con le frasi giuste dette al momento giusto, nel modo giusto e davanti alla platea giusta. Che ha applaudito, incurante dello schieramento; come in rari casi si vede, il centrodestra (ad esclusione di Lega e parte di AN) e il centrosinistra (esclusa ovviamente la triade Diliberto, Pecoraio e Bertinotti) si sono uniti in un lungo applauso. E tutti a dire “che belle parole!”. Belle parole alle quali, purtroppo, sono seguiti i soliti siparietti tipici dell’Italia: ma dove sono le “leggi speciali”, quel pacchetto di leggi che permette di fronteggiare un’emergenza, che il terrorismo è sicuramente? Sparite, si è preferito puntare sul discorso. Per ottenere gli applausi di Prodi e compagnia brutta, che ovviamente hanno posto il loro veto su qualunque ulteriore legislazione, con la scusa nemmeno troppo buona che esistono già le leggi, e vanno applicate. Noi ci siamo presi l’applauso, loro hanno vinto. Un battito di mani, massimo risultato con il minimo sforzo e al centrosinistra pensano già di governare. E da destra la solita ondata di buonismo. Franco Bechis sul Tempo ha descritto perfettamente la situazione, nel suo commento in prima pagina: l’emergenza c’è, e non la si combatte con le armi spuntate, come quelle al peperoncino che ora verranno assegnate alle forze speciali dell’esercito italiano. Una frase che racchiude in sé l’umore di tutti coloro che, innanzi alla minaccia, si sentono impossibilitati ad agire e per giunta nemmeno coperti dallo Stato.

Per la cronaca, un particolare colorito. Bechis aveva anche proposto come misura speciale la limitazione di alcune libertà, tra le quali evidentemente anche quella di non amplificare con la stampa l’azione terroristica. Nulla a che vedere con la libertà di stampa, ovviamente. Ma all’Unità, giornale pidiessino con una redazione parecchio nevrotica, hanno capito – come sempre – quello che volevano loro e nell’edizione del 12 luglio hanno inserito una dichiarazione - condita con la foto di Benito Mussolini - del direttore del Tempo nella ormai “celebre” striscia rossa che compare sotto la testata. Recitava quanto segue:

vale la pena chiedersi alla luce del sole se l’emergenza è tale da dover rimettere in discussione almeno temporaneamente libertà che ci sembravano naturali ed acquisite. Da quella di movimento a quella di pensiero, per citarne alcune fondamentali.

Oggi Bechis si è vendicato e nel suo commento di fondo ha scritto:
Quando dopo il delitto Moro l’Italia si sentì minacciata in maniera eccezionale, rispose con leggi speciali, quel «pacchetto Cossiga» che passò in parlamento anche grazie al pci (stessa ricetta applicata allora dalla Germania). Tutto il Paese discusse anche della restrizione della libertà di stampa, e ha poco da ironizzare l’Unità paragonandoci a Benito Mussolini come ha fatto ieri nella sua prima pagina, perché allora autorevoli esponenti del pci furono in prima linea nel chiedere che la stampa non diventasse megafono dei terroristi. Se l’emergenza è reale, va affrontata con strumenti adeguati.

Tiè.

Si contraddicono anche sugli immigrati

Quando la sinistra scende nelle contraddizioni è maestra. In questi giorni ferve il dibattito circa i Cpt, i centri d’accoglimento per gli immigrati. Centri che rappresentano l’unico modo per poter dare una salvezza alle persone disperate che ogni giorno sbarcano – a centinaia – sulle nostre coste. Sì, gli unici posti decenti dove poterli mandare. Certo, non sono delle suite, ci mancherebbe altro, ma nemmeno dei lager come “certi” personaggi vogliono farci credere – ai quali “certi” personaggi il ministro Giorgio Napoletano, sentendo le affermazioni, ha risposto: “In questo modo si insulta la memoria delle vittime naziste”, tanto per raccontarvi un altro controsenso tutto in casa Unione. Ma cosa sta succedendo di preciso? La sinistra radicale, capitanata dal rifondarolo Vendola, vorrebbe chiudere questi posti e lasciare dunque i clandestini allo sbando proprio in un momento delicato come questo, dove bisogna invece tenere traccia di tutti gli arrivi sui nostri lidi, onde evitare di andare ad appesantire il già forte allarme terrorismo spesso legato appunto al problema dell’immigrazione. Nemmeno una proposta è stata per la verità avanzata in sostituzione di questi Cpt: per ora l’unica cosa che vogliono fare è “discutere”. Onestamente si è già discusso troppo di immigrazione, le leggi ci sono e spesso non si rispettano e i centri di accoglienza è meglio che rimangano al loro posto. Sarà cinismo ma, almeno in quei luoghi, l’immigrato ha un tetto e un piatto di minestra. Tutti i giorni e senza maltrattamenti, che i campi di concentramento erano tutt’altra cosa. Ah, ma la contraddizione? Eccola servita: i Cpt sono stati introdotti dal tandem Napoletano-Turco, ministri di sinistra, sotto la guida del governo Prodi. Ora il candidato premier deve tenere unita una coalizione – allo sbando – divisa (e che si contraddice) anche sugli immigrati. Resisterà almeno fino alle primarie, dove l’insidia radicale di Bertinotti si fa sempre più concreta?

Giulio Anselmi è il nuovo direttore de La Stampa

A Torino il nuovo ballo di moda è la Salza. A decidere il successore di Marcellino Sorgi – che ha guidato per 8 anni “La Stampa” - è l’Enrico Salza dell’Istituto di San Paolo (d’intesa con le banche creditrici-azioniste della Fiat). L’onesto e tosto Giulio Anselmi (galassia Gruppo Espresso) prende possesso della prima scrivania di via Marenco 32, Torino. Finalmente, dopo tante amarezze: l’Avvocato negò al giornalista genovese la direzione del Corrierone preferendogli lo scaltro Mieli, quindi Anselmi (malgrado lo sponsor Romiti) fu superato sul filo di lana da Salvatore Carruba per la direzione del “Sole 24 Ore; infine ci fu l’alt di Eugenio Scalfari per la successione a “La Repubblica” (il Fondatore lo liquidò come “troppo curiale”, per via del legame con il cardinal Siri). Un parto travagliatissimo, con tutte le doglie del tormentone. Quando il pallido Jaky bussò alla porta del principe Carlo Caracciolo, il consiglio che ricevette il nipotino Agnelli fu un sussurro: Anselmi. Cosa che lo contrariò, perché il pupo di Alien Elkann accarezzava l’”idea giovane” (benedetta da Paolino Mieli): Francesco Merlo, Carlo Verdelli, Andrea Monti, Massimo Gramellini, Maurizio Molinari, Mario Calabresi. Anche l’altro Carlo, De Benedetti, è sempre stato un fervido sponsor dell’ex direttore dell’Espresso, quindi editorialista de “La Repubblica”: ha detto spesso a Luca-Luca e altri che Anselmi è il direttore ideale de “La Stampa”. A mettersi di traverso all’avanzata Yaki-Luchino, allora, sarebbe stato Enrico Salza, presidente del Sanpaolo Imi, che avrebbe espresso le sue perplessità (è un eufemismo) a Grande Stevens e Gabetti, i due Grandi Vecchi Fiat. L’uccellamento del Merlo in volo è stata la prima, cocente sconfitta per il baldo Montezuma. L’arrivo di Anselmi, la seconda. Il San Paolo (Imi) nuovo protettore della “Stampa”. [Fonte: Dagospia]

Auguro ad Anselmi di riuscire a mantenere lo stile autorevole e sobrio di Sorgi, e di non far diventare di parte uno dei più illustri ed antichi quotidiani italiani che, per la verità, è in crollo di vendite costante.

Morto un ideale/2

Improvvisamente ricompare l’arcobaleno accanto alla testata. Strano, eh? Già una volta parlai di questi avvenimenti che hanno del miracoloso. Lo feci in occasione del referendum sulla fecondazione assisitita: il simbolo dei ‘4sì’ in luogo di quello della pace mi insospettì: e se morto un ideale ne facessero un altro? Mi sbagliavo. Ma che morte e morte, bastano quattro bombe dum-dum che i vecchi rossi rispolverano tutto. Dal simbolo al tormentone: ritiro, ritiro…

Speriamo sia solo un'impressione

Sul Foglio di oggi è stata pubblicata un’ottima recensione. Del tipo classico che è solito trovarsi sul giornale di Ferrara: nessuna concessione alla classica modalità domanda-risposta, bensì domande “nascoste” nell’articolo e risposte che vanno quindi a comporre il corpo del pezzo stesso. Intervista, si diceva, ad opera di Paola Peduzzi a “due direttori musulman-londinesi”, Abdel Bari Atwan, direttore di al Quds al Arabi, quotidiano in lingua araba edito nella capitale inglese e Faisal Bodi, direttore di Islam Channel. Islamici moderati, si ammetterà senza riserva di dubbio. Ed è proprio questo che deve far riflettere, il fatto che due personaggi di spicco dell’informazione non arrivino ad una condanna vera e propria, ma rimangano sempre sul confine tra una (ovvia) denuncia e un non mi sento di biasimare gli attacchi. Qualche esempio? Eccovi accontentati. “il terrorismo non nasce dal nulla, ha sempre radici politiche, l’occidente deve rimuoverle […] Fuori dall’Iraq, fuori dall’Afghanistan, uno stato per i palestinesi”. Parole queste di Atwan, che poi continua tuonando “A Londra Al Qaeda ha fatto la stessa cosa che l’Ira ha fatto per anni. Perché non si è mai parlato di terrorismo cattolico? L’Occidente non ci accetta. […] si lamentano perché dicono che sono noioso (scherzando sulle sue frequenti apparizioni televisive, ndOG) con tutte le mie battute co0ntro la corruzione, la bella vita, la violazione dei diritti umani” . Dunque, Saddam non era il maestro nella violazione dei diritti umani? – e per onor del vero l’intervistatrice gliel’ha fatto notare, ottendendo come risposta “Saddam nemico, e perché? Non lo neanche mai incontrato”. Cosa c’entra l’Ira – o l’Eta o le Brigate Rosse – trattandosi di terrorismo interno, mirato da questioni di politica riguardanti i singoli paesi e che non ha come fine la demolizione della società occidentale. E poi, corruzione e bella vita non sono espressioni inserite in qualsiasi rivendicazione di strage islamista? Non sono forse due dei peccati maggiori che noi sporchi crociati occidentali siamo soliti commettere? Credo dunque che per dichiarare la propria moderazione non basta la condanna delle stragi se poi, sotto sotto, se ne condividono quasi i motivi. Ovvio che i comunicatori non possono sparare sull’opinione pubblica le loro impressioni personali, debbono tenere un certo riservo. Che viene poi subito smantellato alla prima intervista. Speriamo sia solo un’impressione.