giovedì, novembre 29, 2007

per non far torto a nessuno

Perché non aggiungere anche che ieri, stazione della metropolitana di S. Ambrogio a Milano, distribuivano buoni per ritirare il Corriere in edicola, aggratis ovviamente? E che alla radio dove collaboro arrivano, da un paio di settimane a questa parte, due copie al giorno – ovviamente identiche – de l’Opinione?

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vote for Miles

Ben Ratliff, sul New York Times, recensendo l’uscita del cofanetto con le sessioni complete di On The Corner, avverte: “Non date questo disco ad una persona cui piace A Kind Of Blue”. Vecchio ammonimento che si tira fuori ogni qualvolta si parla del Miles Davis post In A Silent Way [*]. Vecchio e abusato. Che propongo di sostituire con: non date questo disco al solito jazzofilo con le orecchie foderate di prosciutto, perchè John McLaughin gli potrebbe rovinare il rivestimento.

[*] per dire, l’ammonimento lo si usa sempre per i dischi del periodo “elettrico” di Miles Davis. Mai che qualcuno, parlando – chessò – di Nefertiti, avverte che potrebbe non piacere a chi è innamorato di A Kind Of Blue o di Birth Of The Cool. Lì, in fondo, sta ancora quella che per l’ascoltatore medio è la canonicità del jazz.

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mercoledì, novembre 28, 2007

la canzone del mare.

Ci sono cose che toccano le corde dell’anima.
Come questa.

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Un saluto.

Capirete che scrivere qualcosa con un orecchio occupato al telefono, l’altro teso ad ascoltare, una mano sul mouse e nell’altra un panino – bisognerà pur sopravvivere, no? – è decisamente sconveniente. Riuscirete ad aspettare fino all’inizio della prossima settimana? Nel frattempo vi penso, cari lettori.

venerdì, novembre 23, 2007

Guzzantissimo.

Poche volte mi è capitato di essere d’accordo con Paolo Guzzanti come quando stamane ho letto l’articolo che riporto integralmente qui sotto, per assicurare anche a voi la stessa sfiziosissima sensazione che ne ho ricavato io dalla sua lettura. Si parla dell’ultimo “scoop” scodellato da Repubblica, e dell’editoriale firmato dal suo direttore Ezio Mauro apparso ieri, sbattuto in prima pagina e con tanto di sbirciate dal buco della serratura circa una presunta combine tra Rai e Mediaset, ovviamente risalente al periodo in cui il Cav. era Presidente del Consiglio. Leggete attentamente, perché Mauro ieri ha scritto di “telecomando con un tasto unico. E truccato”, mentre oggi Guzzanti ha raccontato di quando di unico c’era invece il quotidiano, che ovviamente influenzava la televisione. E che era truccato per davvero.

Quando si telefonavano loro
[Paolo Guzzanti, Il Giornale, 23.11.2007 – pag.1]

Non ricordo più se il film giusto era Delta Force ma la lettura dell’articolo di Ezio Mauro mi ha fatto l’effetto che le madeleinettes facevano al vecchio Proust il quale si commuoveva e senza porre tempo in mezzo meditava sul tempo perduto, ma anche quello ritrovato. L’articolo di Mauro mi ha portato indietro nel tempo e di questo gli sono grato, già a partire dal titolo: «Struttura delta». Il bis della Spectre. Il bis della P2. Si impone un modesto esercizio di ritorno alla decenza.

L’articolo mi ha riportato con la sua velata magia alla stagione in cui spesso mi trovavo la sera nella stanza di Ezio Mauro, allora direttore della Stampa di Torino (di cui ero editorialista) e dove assistevo alla teleconferenza fra Mauro e il direttore dell’Unità di Roma (Uolter Veltroni), uno dei vicedirettori a caso di Repubblica, e il direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli: tutti insieme, in unico afflato e per una sola causa comune (ma quale? Certamente non la libera informazione in concorrenza) facevano tutti insieme «il giornale».

Cioè: non è che ognuno si faceva il suo, di giornale, come in tutti i Paesi in cui le testate sono orgogliosamente concorrenti. Macché. Questa compagnia di cui Ezio Mauro era il capatàz, fabbricava il giornale comune che l’indomani tutti gli italiani si sarebbero sciroppati prima sulla carta e poi in proiezione sui telegiornali sotto le varie testate. Non lo sapevano, ma leggevano tutti lo stesso giornale. Che giornalismo, che concorrenza, che scuola.

Il pretesto diciamo così umanitario dell’operazione, era quello di aiutare il giovane Uolter che non sapeva fare la prima pagina, non sapeva fare i titoli e si scombinava tutto. Ma il gruppo di comando del giornalismo italiano – capitanato da un Ezio Mauro che sembrava guidare un commando Delta Force (ecco il titolo giusto, altro che Struttura delta) - faceva un unico menabò (lo schema della pagina), tutti i titoli e la scelta delle notizie e dei contenuti, uguali per tutti. Il giornale che veniva fuori era omologato, identico, figlio di un unico Minculpop, o cupola, o mini-p2 che dir si voglia e che lasciava alla fantasia del singolo direttore soltanto il cosiddetto «boxino»: un titolotto basso a due colonne in cui ognuno registrava la curiosità innocua del giorno, del genere bambino morde cane: «Walter, nel boxino mettici quella storia del bambino che ha sbranato un pitbull». E Uolter pubblicava.

Naturalmente non si trattava soltanto di fare la prima pagina. Venivano decise le notizie da dare e quelle da ridurre, da esaltare e da minimizzare. Che concorrenza: affinché nessuno restasse scoperto, tutti davano (o tacevano, o sminuivano, o ingigantivano) la stessa notizia nello stesso modo. Ogni santo giorno. E tutti bevevano la stessa acqua.

Io assistevo a quella grottesca anomalia e osservavo gli sghignazzi furbastri, specialmente quelli di via Marenco dove comandava imperiosamente il proprio, e anche un po’ gli altrui vascelli Ezio Mauro in sfolgorante camicia bianca. Paolo Mieli, sia detto ad onore del vero, non si lasciava troppo comandare, ma tutti e due insieme comandavano sull’Unità e la Repubblica seguiva. Così, negli anni Novanta erano serviti non soltanto i lettori della carta stampata ma anche gli spettatori televisivi. La gente forse non lo sa, ma i telegiornali dosano e misurano i loro titoli, gli spazi, la scaletta dell’importanza di ciò che poi ammanniranno al popolo catodico, sulla base delle decisioni dei tre cavalieri dell’apocalisse, Corriere, Repubblica e Stampa, che poi sarebbe, per così dire, la casta.

Ma la prima pagina si confezionava tra via Marenco, Torino, e via Solferino a Milano, per essere rimpannucciata in piazza Indipendenza e infine rimpallata a via del Taurini dove diventava il vangelo dell’Unità, ovvero la verità, pravda in russo, truth in americano che piace di più a Uolter. Ovviamente anche gli altri giornali e giornaletti e giornalini per non dire dei piccoli telegiornali locali, si adeguavano con ansia e con la lingua di fuori per non restare esclusi dal gruppo di comando. Quando ero a Repubblica (di cui sono stato un fondatore, redattore capo e inviato per 14 anni) assistevo ammirato alla formazione del quadridente formato dal formidabile quotidiano di Scalfari, l’Espresso, Raitre e il Tg3. Messi insieme formavano una seconda divisione corazzata che esercitava un potere assoluto, di comando e di dominio sulla scelta, confezione e pubblicazione della notizia.

Insomma, figuratevi il salto dalla sedia che ho fatto ieri mattina quando mi imbatto in una delle più comiche composizioni a sopracciglio levato del mio vecchio amico Ezio Mauro, ora direttore di Repubblica, il quale si è esibito in un articolo che potrebbe intitolarsi a scelta «Senza vergogna» o «Oggi le comiche». Basti l’incipit: «Una versione italiana e vergognosa del Grande Fratello è dunque calata in questi anni sul sistema televisivo, trascinando Rai e Mediaset fuori da ogni logica di concorrenza per farne la centrale unificata di una informazione omologata, addomesticata, al servizio cieco e totale del berlusconismo al potere». Lui la chiama «Struttura delta». Noi la chiameremmo «Senti chi parla».

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martedì, novembre 20, 2007

An sta delirando

Che i capetti di An si mettessero d’accordo. Perché se per Gianfranco Fini “il tempo sarà galantuomo”, per Gianni Alemanno il Cav. invece “sbatterà la faccia”, e il momento dei galantuomini sembra essere dunque ancora lontano. Detto ciò, Alleanza Nazionale potrebbe fare, finalmente, una mossa anticipata: far sapere a Berlusconi come si sente chi la faccia l’ha già sbattuta.

PS – cercavo un’immagine da corredare a questo post. Mi sarebbe piaciuto da matti una faccia spiaccicata contro un vetro. Così sono andato come di consueto su Google Immagini e ho messo nel campo di ricerca – forse con troppa imprudenza – “sbattere la faccia”. Prima pagina di risultati, niente. Seconda pagina, tra gli altri, un manifesto di Alleanza Nazionale. Raggiunto lo scopo non su Ordine Generale bensì sul motore di ricerca per eccellenza, ho rinunciato all’immagine di corredo.

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lunedì, novembre 19, 2007

dopo la conferenza stampa del Cav.

Dagli appunti, mentre sullo sfondo da Piazza di Pietra in Roma Silvio Berlusconi stava presentando la sua ultima sparigliata delle carte della politica italiana: mano destra appoggiata; fortemente emozionato; discorso tra i più moderati e apparentemente tranquilli mai pronunciati, con tanto di riconoscimento per alcune persone “intelligenti che sono confluite nel Partito Democratico ma che non possono far niente a causa del loro governo ricattato dalla sinistra estrema”; poco gigionismo; consapevolezza del terremoto che si sta creando e dominando; consapevolezza del fatto che la maggioranza degli italiani al di là dei numeri delle firme e dei sondaggi è con lui; voglia leggermente (ma giusto un po’…) nascosta di dialogare con Veltroni per lo meno sulla legge elettorale; mi piace più "Partito della Libertà" di "Popolo della Libertà"; Fini e Casini dovranno affrettarsi a ritornare sui loro passi, ammesso che lo vogliano, perché le porte ora sono sì “non aperte ma spalancate”, ma l’impressione è che inizieranno a chiudersi non appena il procedere degli avvenimenti dimostrerà che non c’è (più) bisogno di loro – o di una parte di loro; non una parola sul comunismo e/o i comunisti.

Un bel discorso.

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magenta.

Marco Belpoliti, nella sua Minima su La Stampa, oggi parla del colore magenta e del fatto che la Deutsche Telekom vorrebbe brevettarlo. L’articolo è come al solito interessante, per vari motivi. Ad esempio Minima è una delle migliori rubriche tra quelle dei principali quotidiani italiani. O ancora possiamo dire che, oggi, ci dà informazioni storico-tecniche sull’oggetto dell’argomento, il magenta appunto, che scommetto sono in pochi a conoscere. Infine, su tutti, la rubrica è stampata in magenta – più o meno nella versione on-line.

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sms

A: 333xxxxxxx

Alle 18 su La7, ma credo anche su SkyTg24, conferenza stampa del Cav. Fossi in te non la perderei. Poi ne parliamo.

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domenica, novembre 18, 2007

Buone letture

Proprio quando alcuni imbecilli bruciavano per l’ennesima volta una bandiera a stelle e strisce, e senza che peraltro la cosa c’entrasse alcunché, Il Foglio pubblicava un fantastico editoriale di Christian Rocca, nel quale sta scritto che siamo “quasi” tutti americani.

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se fosse diventato segretario del Pd magari era la volta buona...

“Insomma, non è che se non chiacchiero qui è perché ce l'ho con voi. Da qualche altra parte chiacchiero sempre.”. Così Mario Adinolfi rincuorando i suoi lettori – o giustificandosi davanti ad essi – perché ultimamente ha poco tempo per il suo blog. Ed è un problema, perché ce l’avesse avuta con loro ne avremmo guadagnato noi.

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Politicamente parlando, quello indossato da Fini è un perfetto cappio al collo

Ho come l’impressione, viste quelle che sono le novità, che se Fini non la smette di fare i capricci, Berlusconi lo rispedisce da dove l'ha preso. Ovvero lo delegittima dopo averlo legittimato quel giorno in cui disse che lo avrebbe tranquillamente votato come sindaco di Roma. E mi dispiace dirlo, perché le mie simpatie per Gianfranco Fini non sono mai state un mistero, ma il popolo italiano, davanti ad una vera forza della natura quale è il Cav., ci mette pochissimo a dimenticarsi di un pur valido leader che però non riesce a capitalizzare quelli che sono i consensi personali – e non del suo partito – che riceve. Mettersi in un angolino a pestare i piedi come sta facendo Fini – e con lui Casini, che però potrebbe avere un futuro dall’altra parte – non ha proprio senso, è un suicidio politico bello e buono. Detto ciò, ovviamente anche il Cav. ora dovrà riuscire a costruire un programma valido e alternativo a quella cazzimma di governo che il centrosinistra ha messo in piedi, ma è un altro paio di maniche. Così come è un altro paio di maniche il fatto che Berlusconi, e quindi Forza Italia, prima o poi sarà costretto a sedersi al tavolo del dialogo; ma è fuori da ogni dubbio che ancora una volta il pallino della politica lo abbia in mano lui. Possono così pensare di fare riforme – più o meno importanti, più o meno incisive – senza di lui, ma è un pensiero cieco, una balla colossale. Senza Berlusconi, ovvero senza il rappresentante del partito che in Italia ha preso più consensi nelle ultime elezioni e che rispetto a queste è cresciuto ancora di svariati punti percentuali, non si va da nessuna parte. È bene che Fini se lo ricordi.

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giovedì, novembre 15, 2007

She's my beauty (they call her Miss Divine)

La Stampa di ieri e di oggi pubblica un piacevole siparietto – scontro proprio per niente - tra Antonio Polito e Michela Vittoria Brambilla. Formula: “Caro direttore-virgola-a-capo”. Soggetti: Come Tu Mi Vuoi, l’ultimo film con protagonisti Cristiana Capotondi e Nicolas Vaporidis, e la bellezza (cinica per l’uno, incolpevole per l’altra).

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mercoledì, novembre 14, 2007

Corriere.it, 14.11.2007

Ridammi la radio, senza l'Audiradio

Quanto affetto e quanto amore. Fabio Santini su Libero [13.11.2007 – pag. 34] scrive un articolo per dire che la radio in cui lavora, Rtl 102.5, stando ai dati Audiradio relativi al quinto bimestre 2007 è la radio più ascoltata dagli italiani, superando persino Radio Deejay – e mettendo parecchia enfasi su quest’ultimo aspetto. Il che, leggendo i dati, potrebbe anche sembrare vero. Casomai è d’obbligo aggiungere almeno tre cose:

1) come Santini saprà bene, lavorando in una radio, il rilevamento degli ascolti Audiradio è a detta di tutti, tranne che di quelli di Audiradio, poco affidabile. Persino peggio dell’Auditel, perché basa le sue rilevazioni su interviste telefoniche durante le quali viene chiesta quale, tra una lista sempre comunicata al telefono, è la radio più ascoltata, per quante ore al giorno e per quanti giorni alla settimana. La massaia che mentre stira ha la radio accesa in cucina perché ha dimenticato di spegnere l’interruttore e perché un po’ di brusio in sottofondo non può far che piacere, tende a falsare i dati. Così come la modalità di rilevamento, telefonica, fa sì che gli intervistati tendano ad indicare quale radio più ascoltata una tra quelle che stanno in cima all’elenco che viene riferito, se non altro per tagliar corto perché in una giornata sono mille gli scassacazzo che chiamano al telefono. E poi basta confrontare le medie giornaliere con quelle settimanali per capire che c’è discrepanza tra le due rilevazioni. C’è chi da tempo sostiene che soluzioni come quella svizzera siano più efficaci e più degne di un paese civile, ma c’è anche a chi va bene così.

2) il caro Santini, per quanto possa voler bene alla sua radio, poteva evitare di scrivere l’articolone-marchetta. Nel quale si legge di “successo straordinario”, di “conduzioni contrappuntate da un modello di intrattenimento intelligente”, di prodotto diversificato “da quello di altre emittenti”. Fossimo un paese onesto, in calce all’articolo ci sarebbe stato il consueto asterisco che indicava “conduttore di Rtl 102.5. Ma ovviamente delle due l’una: se ci fosse stato l’asterisco, non ci sarebbe stato l’articolo – e viceversa.

3) Speriamo che non sia stato – e non dovrebbe – lo stesso Santini a fare il titolo dell’articolo, che recita nel sommario “crolla il mito: Linus superato anche dalla Rai”, e che evidenzia ancora una volta quale sia il mestiere che un padre dovrebbe sperare per un figlio un po’ tonto. Ora, se Rtl ha qualche conto in sospeso con Radio Deejay è affar suo – o per meglio dire, loro. Far scodellare ad presentatore radiofonico un articolo per attaccare una radio concorrente in questo caso suona anche ingiusto, e lo dico senza essere né l’avvocato di Linus (nei confronti del quale sto anche cambiando opinione), né di Radio Deejay. La quale è spesso “sotto” rispetto a Radio1 (e non a tutta la “Rai”, intesa come radio) ma, a dimostrazione della poca affidabilità delle rilevazione Audiradio, sovente solo nelle stime giornaliere e non in quelle settimanali (vedere i dati relativi allo scorso bimestre). Se poi Santini ed Rtl pensano che l’Audiradio sia invece affidabile, perché nell’articolo non c’è traccia del fatto che Rtl è sopra la Rai solo nella rilevazione settimanale, mentre in quella giornaliera è ancora sotto? Noi, che abbiamo letto l’articolone, precisiamo.

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lunedì, novembre 12, 2007

in groppa al riccio

In Italia, come noto, lo studio della popular music in qualunque sua forma – musicale e di studio proprio – è a livelli bassi, per usare un eufemismo. E quel poco che c’è lo si deve a personaggi più che coraggiosi. Tra questi – non gli unici, ma poco ci manca – ci sono gli amici del Centro Studi per il Progressive Italiano di Genova. Che da un paio di giorni hanno anche un blog.

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sabato, novembre 10, 2007

Fabri', metta a fuoco 'sto cannocchiale.

Fabrizio d’Esposito, che è indubbiamente uno dei migliori cronisti in circolazione, sul Riformista lascia trapelare l’ipotesi secondo la quale tra Gianfranco Fini e il Cav. in queste ore ci sarebbe del gelo a causa del fatto che Striscia la Notizia abbia enfatizzato i rumors sulla storia d’amore tra il leader di Alleanza Nazionale e la show-girl Elisabetta Tulliani – pettegolezzo diffuso prima dal settimanale Diva e Donna – e sulla gravidanza, all’ottavo mese, di lei.

Che possa esserci del gelo tra Fini e Berlusconi è cosa probabile: i due, del resto, sono mesi che si lasciano e si prendono, il Cav. così convinto della spallata (e ricordate la vigilia delle ultime elezioni politiche...) e i suoi alleati, tra i quali Gianfranco Fini, così dubbiosi e smaniosi di tenersi le mani libere. Ma che il malumore possa essere rappresentato – o comunque amplificato – dal fatto che essendo Striscia la Notizia – come scrive d’Esposito – “uno dei programmi più seguiti della rete ammiraglia di Berlusconi”, automaticamente ci possa essere lo zampino del Cav. dietro la messa in onda con così tanta sottolineatura del servizio, pare un po’ una forzatura. Fa strano anche perché, proprio in questi giorni durante i quali di Striscia si sta celebrando il ventennale, i giornali sono pieni zeppi di celebrazioni della creatura televisiva più importante degli ultimi vent’anni. E del suo creatore, Antonio Ricci, il quale non ha mai dato modo di pensare che dietro a ciò che manda in onda ci possano essere degli stupidi interessi di bottega – così come nessuno ha mai pensato che Berlusconi si possa servire di un programma di infotainment per poter colpire, ammesso e non concesso che ce ne sia l’intenzione, i suoi alleati politici.

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Dibattere sulle cagate pazzesce (premere play, please)

Questa sera alle 21,30, a Livorno, nella Sala convegni della Fondazione L.E.M. (che significa Livorno Euro Mediterranea), sarà proiettato il film La corazzata Potemkin, capolavoro di Sergej Mikhailovic Eisenstein. Seguirà dibattito con Oliviero Diliberto, leader dei Comunisti italiani. [Fabrizio Rondolino, La Stampa, 10.11.2007]

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venerdì, novembre 09, 2007

dite a Luca di non affittare più cassette di produzione est europea

Ricorderete tutti la storia di quella ragazza di 22 anni, Ramona Angiolini, che aveva il sogno di entrare in Polizia e che, dopo aver superato brillantemente la prova orale e scritta – come raccontano le cronache – è stata scartata dalla commissione medica di controllo a causa di una piccola farfalla tatuata su una caviglia. Ne scrive, a riguardo, anche Daria Bignardi (Vanity Fair, n.45 - 15.11.2007, pag.16) all’interno della sua solita – ma in tutti i sensi! – rubrichetta. Siccome la signora Sofri quando scrive non è mai ingenerosa nel raccontare i fatti suoi prima di entrare in argomento, ci racconta che anche lei voleva farsi un tatuaggio – un piccolo ragno nero sul polso, e vabbè – ma poi ha rinunciato perché nonostante avesse bevuto “un’intera birra media” e i più distruttivi fumi dell’alcol fossero dunque lì lì per trascinarla nella più trasgressiva trasgressione, i tatuaggi in fondo non stanno bene a tutti, bisogna saperli portare e poi a lei “la moda dei tatuaggi” non piace, proprio in funzione dell’essere una moda.

Raccontata la rava e la fava per poter consegnare le battute richieste dal caporedattore, Daria Bignardi conclude l’articolo con l’argomento con il quale l’aveva iniziato: la povera Ramona che sognava di fare la poliziotta, ma aveva un tatuaggio di troppo. E che conclusione ci dà del fatto, la cara Daria? Lei non crede che a Ramona sia stato impedito di entrare in Polizia per via del tatuaggio, bensì la sua ipotesi è “che sia stato per il nome da pornostar”, ipotesi certo “politicamente scorretta” ma comunque che la convince, lo si capisce. La Bignardi è razzista, inteso come inserire una giovane donna in una categoria non di per sé errata o amorale o chissà cosa, ma nei confronti della quale non tutte le giovani donne sono bendisposte? Secondo me sì. Seguitemi: la cara Daria non pensa che la Polizia possa rifiutare una candidata per il fatto che questa ha un tatuaggio, ma perché ha un nome da pornostar. Badate, la Polizia non ha mai affermato in alcun modo che la signorina Angiolini non è stata accettata perché il suo nome sarebbe da pornostar, e quindi sempre la Polizia si presume non ritenga “Ramona” un nome da pornostar. Così come sinceramente non lo ritiene nessuno, o meglio nessuno pensa che esistano nomi più da pornostar di altri, o che il nome sia indicativo in qualche modo della professione di pornostar. A parte la Bignardi, però.

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giovedì, novembre 08, 2007

Magistrale Facci.

Filippo Facci (ri)mette nero su bianco sul Giornale la storia del presunto “editto Bulgaro” di Silvio Berlusconi. E lo fa magistralmente – come sempre. E speriamo che non ci sia bisogno di dover aggiungere altro.

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mercoledì, novembre 07, 2007

se avete voglia di cliccare su Dagospia, la leggete anche lì

Lettera di Ordine Generale – firmata con il suo vero nome, e solo con quello non per mettere la testa sotto la sabbia e rendere quindi il corpo riconoscibile, ma per mantenere un certo profilo informale – appena pubblicata nella Piccola Posta (07.11) di Dagospia.

Caro Dago, ammesso che ai tuoi lettori la cosa interessi (ancora), faccio riferimento alla lettera del sig. Marco pubblicata nella tua "Piccola Posta", riguardante il caso Moggi - Bignardi - Feltri. Il sig. Marco sostiene che le cose sono andate diversamente da come le ha raccontate Feltri, poiché durante le "Invasioni Barbariche" della settimana scorsa, a domanda su come conciliava le 400 telefonate giornaliere con le minzioni, Moggi avrebbe risposto - sempre secondo il sig. Marco - "Se viene con me dopo glielo faccio vedere", attribuendo a Feltri l'errore di aver invece riportato "questo glielo dico dopo" e candidando il direttore di Libero a bersaglio di un ipotetico prossimo V-Day contro i giornalisti italiani.
Premettendo che Feltri non ha certo bisogno della mia difesa, in verità il direttore ha ragione, e per verificare basterebbe andare a rivedersi il video dell'intervista sul sito de La 7. Al minuto 19'54'', a fatidica domanda posta, Moggi risponde "Quello glielo spiego dopo", aggiungendo dopo qualche secondo, e sovrapponendosi alle inevitabili risate del pubblico poco malizioso, "dopo glielo faccio vedere". Risposta simpatica ed ovvia per il tipo di domanda. In ogni caso il "se viene con me" testuale (!) del sig. Marco non esiste.

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martedì, novembre 06, 2007

la mummia Diliberto

Bisogna dare atto al personaggio che questa volta la sua idea non è male, presa come concetto. Dice infatti Oliviero Diliberto, da Mosca: «se il Cremlino decidesse di rimuovere la mummia di Lenin da Mosca potremmo portarla a Roma». Al di là del fatto che se il Cremlino decidesse di rimuovere il corpo imbalsamato di Lenin, per quanto riguarda me e gli italiani, potrebbe anche gettarlo nel Don – previa “pulizia” dalla merda iniettata nel corso degli anni a scopo di mantenere il corpo bello splendente. Il concetto, comunque, è lodevole. Perché ci fa venire in mente che se a sparar cazzate si trova così tanto a suo agio sotto lo zero, possiamo sempre chiedere a qualche russo se è disposto a portarsi a casa la mummia Diliberto. Noi ce ne staremmo liberando.

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Silenzio.

È pur sempre morto Enzo Biagi.

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il processo barbarico

“Le parlo della cupola. La cupola è ridotta a due persone: Giraudo e Moggi. Mi dica lei che cupola è questa qui, perché io tutt’al più tiro la fune e lui suona il batacchio”

Luciano Moggi, Le Invasioni Barbariche (di una non eccezionalmente insopportabile Daria Bignardi), La7, 02.11.2007

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domenica, novembre 04, 2007

Ma Prodi è abituato a ben altri numeri...

Romano Prodi, cioè il Presidente del Consiglio italiano, ha ritenuto necessario dover mandare una lettera al direttore di Repubblica raccontando per filo e per segno la sua privata giornata durante la quale ha sbrigato la semplicissima pratica del rinnovo della carta d’identità – giornata, bisogna dirlo, assolutamente normale per un comune cittadino. Nel raccontare l’episodio, Prodi sottolinea come si sia “impressionato” nell’incontrare “cittadini normali, di un paese normale” e mette enfasi, verso la fine della missiva, sul fatto che uscito dall’ufficio comunale si sia dovuto re-immergere in quella che è la sua vita di Presidente del Consiglio, fatta di “messaggi e telefonate” che lo hanno immediatamente riportato “dentro le terribili tensioni di un altro pezzo di paese”.

Ribadire che la lettera non è di alcun beneficio e interesse per il lettore, è alquanto scontato. Insomma, l’avesse scritta qualcun altro e non il Presidente del Consiglio, Ezio Mauro l’avrebbe riposta nel luogo più adatto, il cestino. Stupisce semmai, dal momento che la lettera per il motivo di cui sopra è stata resa pubblica, che Prodi non abbia nemmeno preso in considerazione che la fetta di popolo italiano da lui incontrata, composta per altro da una buona dose di non italiani – “extracomunitari, con le loro complicate pratiche” – non è per nulla rappresentativa dell’intera popolazione italiana. A meno che – botta di culo!, come presumo si dica nell’alta società – in quell’ufficio del Comune di Bologna situato in Vicolo Bolognetti si trovasse un campione rappresentativo del 31% di italiani che ancora, stando ai sondaggi, accorda fiducia al premier. Il quale, va detto per dovere di cronaca, è riuscito anche a sbagliare un’addizione da terza elementare, quando si affrontano i numeri “con le virgole”: 5,18 + 0,26 fa 5,44€ e non 5,32€ come dichiarato da Prodi. A meno che a lui spetti uno sconto di 0,12 centesimi di euro sull’imposta per il rinnovo della carta d’identità.

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venerdì, novembre 02, 2007